Rappresentazione artistica di un brillamento stellare visto dal pianeta Proxima b, un mondo potenzialmente simile alla Terra. Crediti: Nrao / S. Dagnello

È durato sette secondi. Sulla Terra è stato visto circa due anni fa, il primo maggio 2019. Ma avendo avuto origine a oltre 40mila miliardi di km da noi (dunque a poco più di quattro anni luce di distanza), quando è avvenuto, qui dalle nostre parti, era ancora il 2015. Parliamo di un flare, o brillamento. Dunque di un’eruzione d’energia e materia di potenza spaventosa – l’energia di miliardi di bombe. Un brillamento avvenuto, in questo caso, non sul Sole ma sulla stella a esso più vicina: Proxima Centauri. È stato il più grande brillamento mai registrato sulla nostra dirimpettaia galattica – cento volte più potente di quelli prodotti dal Sole – e uno fra i più violenti mai visti in tutta la nostra galassia.

Proxima centauri è una nana rossa. La sua massa è circa un ottavo di quella del Sole, del quale è coetanea. E le orbitano attorno almeno due pianeti, forse abitabili. Un motivo in più, oltre al fatto di essere la nostra vicina di casa, per renderla un’osservata speciale. E infatti erano ben nove i telescopi – da terra e dallo spazio – che in quel giorno d’inizio maggio avevano gli occhi puntati su di lei, nell’ambito di una campagna osservativa che si è svolta nel corso di diversi mesi nel 2019 per un totale di 40 ore. Nove telescopi, cinque dei quali hanno registrato in diretta il superbrillamento

«Nell’arco di pochi secondi, vista alle lunghezze d’onda dell’ultravioletto la luminosità della stella è aumentata di 14mila volte», ricorda Meredith MacGregor della University of Colorado a Boulder, prima autrice dello studio sul fenomeno pubblicato questa settimana su The Astrophysical Journal Letters.

Un evento che certo non depone a favore della presenza, da quelle parti, di eventuali forme di vita – anche se è durato solo sette secondi. Inoltre è stato il più potente, ma non l’unico, nell’arco delle 40 ore di campagna osservativa. La stima degli scienziati è che i superflare siano fenomeni pressoché quotidiani, per una stella come Proxima Centauri. Occorre poi moltiplicarli per miliardi di anni, per farsi un’idea della raffica di radiazioni subita dai pianeti che la circondano.

Rappresentazione artistica di un brillamento di Proxima Centauri. In primo piano è raffigurato l’esopianeta Proxima b. Crediti: Roberto Molar Candanosa / Carnegie Institution for Science, Nasa/Sdo, Nasa/Jpl

«Se mai ci fosse qualche forma di vita sul pianeta più vicino a Proxima Centauri, dovrebbe essere molto diversa da qualsiasi altra presente qui sulla Terra. Un essere umano, su quel pianeta, avrebbe passato un brutto momento», osserva MacGregor a proposito dell’evento del 2019.

I brillamenti stellari avvengono quando – a seguito di una riconnessione magnetica – la stella accelera gli elettroni a velocità che si avvicinano a quella della luce. Gli elettroni accelerati interagiscono con il plasma altamente carico che costituisce la maggior parte della stella, provocando un’eruzione che produce emissioni lungo tutto lo spettro elettromagnetico.

Spettro elettromagnetico che l’impiego di più telescopi sensibili a diverse lunghezze d’onda – fra i quali Hubble, Tess e Alma – ha consentito di tenere sott’occhio come raramente avviene. L’approccio multibanda ha così portato a una fra le analisi più approfondite mai condotte sui brillamenti di una stella della nostra galassia. Con risultati per alcuni aspetti sorprendenti. Debole in luce visibile, il flare ha generato un’enorme ondata di radiazioni non solo ultraviolette ma anche radio – in particolare in banda millimetrica, mai osservata prima per un flare stellare.

Per saperne di più:

Con i contributi di Marco Malaspina, Isabella Pagano, Giusi Micela, Mario Damasso, Raffaele Gratton, Sabrina Masiero, John Robert Brucato, Amedeo Balbi, Claudio Elidoro, Gianpietro Marchiori e Massimiliano Tordi e l’intervista esclusiva con Giovanni Bignami.


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