La missione New Horizons della NASA, durante il suo flyby al sistema di Plutone, ha raccolto questa immagine ad alta risoluzione di Caronte, la luna più grande del pianeta nano. L’immagine è frutto della sovrapposizione delle immagini raccolte nelle bande blu, rossa e infrarossa dalla camera Multispectral Visual Imaging Camera. I colori sono stati elaborati per evidenziare al meglio la variazione delle proprietà superficiali di Caronte. Crediti: NASA/JHUAPL/SWRI

L’estate scorsa, quando le camere a bordo della sonda New Horizons della NASA hanno iniziato a scorgere Plutone e le sue lune, gli scienziati hanno notato qualcosa di strano nelle immagini: Caronte mostrava una grande regione polare rossastra. Nessuno aveva mai visto niente di simile prima di allora.

Nel corso dei mesi successivi, il team di New Horizons ha raccolto e analizzato molte altre immagini e dati, grazie ai quali i ricercatori ritengono di aver risolto il mistero. I risultati delle loro analisi, pubblicati sull’ultimo numero della rivista Nature, indicano che il colore rosso sulla superficie di Caronte proviene da Plutone, poiché il metano che fuoriesce in forma gassosa dalla superficie del pianeta nano viene intrappolato dalla gravità della luna e rimane nella regione del suo polo nord. A questo seguono effetti dovuti alla luce ultravioletta proveniente dal Sole, che trasforma il metano in idrocarburi più pesanti e quindi in materiali organici rossastri chiamati toline.

«Chi l’avrebbe mai detto: Plutone è un artista di graffiti, uno street artist spaziale che si diverte a colorare il suo compagno di viaggio con macchie rossastre», dice Will Grundy, membro del team New Horizons presso il Lowell Observatory in Arizona e primo autore dello studio. «Ogni volta che esploriamo territori sconosciuti, troviamo nuove sorprese. La natura è ricca di fantasia, e utilizza le leggi fondamentali della fisica e della chimica per creare ogni volta paesaggi sempre più spettacolari».

I ricercatori hanno confrontato tra loro le immagini estremamente dettagliate di Caronte raccolte da New Horizons e le simulazioni al computer di come ci aspettiamo che evolva il ghiaccio ai suoi poli. Gli scienziati della missione avevano già avanzato l’ipotesi che il metano presente nell’atmosfera di Plutone venisse trasferito su Caronte e intrappolato al polo nord trasformandosi in materiale rossastro, ma non avevano modelli teorici a sostegno di questa idea.

L’analisi dei dati ha comportato un duro lavoro per il team, che ha scavato a fondo tra le informazioni raccolte per capire se Caronte possa effettivamente catturare ed elaborare il metano da Plutone. I modelli teorici hanno tenuto conto dell’orbita di Plutone e Caronte, che impiega 248 anni per compiere un’intera rivoluzione attorno al Sole, e hanno mostrato una serie di condizioni meteorologiche estreme ai poli della luna, dove si alternano 100 anni di luce continua a 100 anni di completa oscurità. Nel corso di questi lunghi inverni, le temperature crollano fino a -257° C, abbastanza per portare il metano allo stato solido.

«Le molecole di metano rimbalzano lungo la superficie di Caronte finché non riescono a fuggire nuovamente nello spazio oppure arrivano al polo, dove si congelano formando un sottile strato di metano ghiacciato che persiste fino a che la regione non torna ad essere illuminata», spiega Grundy. Ma mentre il metano sublima rapidamente, gli idrocarburi che si sono formati nel tempo rimangono sulla superficie della luna.

Le osservazioni raccolte da New Horizons hanno permesso di studiare anche l’altro polo di Caronte, attualmente nel pieno del buio invernale, grazie alla luce riflessa da Plutone. I dati hanno confermato che la stessa attività si verifica su entrambi i poli.

«Questo studio risolve uno dei più grandi misteri trovati su Caronte, la più grande luna di Plutone», dice Alan Sternprincipal investigator della missione New Horizons presso il Southwest Research Institute e co-autore dello studio. «Ora si apre davanti a noi la possibilità che anche altri pianeti nani o corpi minori nella fascia di Kuiper abbiano lune su cui si possono osservare fenomeni simili».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “The formation of Charon’s red poles from seasonally cold-trapped volatiles” di W. M. Grundy, D. P. Cruikshank, G. R. Gladstone, C. J. A. Howett, T. R. Lauer, J. R. Spencer, M. E. Summers, M. W. Buie, A. M. Earle, K. Ennico, J. Wm. Parker, S. B. Porter, K. N. Singer, S. A. Stern, A. J. Verbiscer, R. A. Beyer, R. P. Binzel, B. J. Buratti, J. C. Cook, C. M. Dalle Ore, C. B. Olkin, A. H. Parker, S. Protopapa, E. Quirico, K. D. Retherford et al.

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