Impressione artistica di una variabile luminosa blu. Crediti: ESO/L. Calçada

Tra il 2001 e il 2011, vari gruppi di astronomi hanno individuato e studiato una stella massiccia, chiamata PHL 293B, nella galassia nana Kinman, in una fase evolutiva avanzata e quindi particolarmente instabile. Quello che ci si aspetta da questo tipo di stelle è che esplodano prima o poi come supernovae, spargendo il loro materiale nello spazio e aumentando notevolmente la loro luminosità anche per numerose settimane o mesi, per poi lasciare dietro di sé un resto che in parte si disperde dando vita a spettacolari nebulose, e in parte collassa o in una stella a neutroni o in un buco nero, a seconda della massa iniziale. I nostri lettori le conoscono bene, grazie alla rubrica mensile a cura dell’ISSP dedicata a loro e ai numerosi articoli pubblicati.
Quando questa esplosione debba avvenire non è possibile determinarlo, e comunque l’arco di tempo in cui può accadere va ben oltre la vita umana, ma in attesa di arrivare a quel punto, le stelle di questo tipo mostrano a tratti drammatici cambiamenti dello spettro e della luminosità, informandoci di trovarsi nel loro stadio evolutivo finale.

Andrew Allan del Trinity College di Dublino e i suoi collaboratori in Irlanda, Cile e Stati Uniti d’America, volevano studiare più a fondo queste fasi finali in stelle molto massicce, e PHL 293B sembrava il soggetto perfetto. Quando però hanno puntato il VLT dell’ESO verso la galassia, nell’agosto del 2019, è arrivata la “sorpresa”.
Nessuna traccia della stella!

La galassia nana Kinman, nota anche come PHL 293B, ripresa dalla Wide Field Camera 3 del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA nel 2011, prima della scomparsa della stella massiccia. Crediti: NASA, ESA/Hubble, J. Andrews (U. Arizona)
Ora, una stella così grande non può sparire nel nulla, qualcosa deve essere successo e sono eventi che non passano inosservati.
È vero che, situata a circa 75 milioni di anni luce di distanza da noi nella costellazione dell’Acquario, la galassia nana Kinman è troppo lontana perché gli astronomi possano distinguerla dalle altre singole stelle, come accade per le supernovae che programmi automatici, ma anche gli astrofili, riescono a scoprire, ma dallo spettro della luce proveniente dall’area della galassia, è possibile rivelare tracce della presenza di alcune stelle tra quelle più massicce.

Dal 2001 al 2011, la luce ricevuta dalla galassia ha sempre mostrato la firma, ovvero le tracce della presenza, di una stellavariabile blu luminosa” (chiamate anche variabile S Doradus) da 2,5 milioni  a 3,5 milioni di volte più luminosa del Sole!
Come detto, stelle così massicce e luminose, verso la fine della loro vita, diventano instabili e mostrano ampi cambiamenti nella luminosità e quindi modifiche nelle tracce che ne rivelano la presenza nello spettro della galassia. Nonostante questo però restano comunque visibili delle tracce specifiche che gli scienziati possono identificare.

Nelle osservazioni del 2019, invece, semplicemente… non c’era più nulla, e senza nuovi indizi che rivelassero cosa poteva essere successo. «Sarebbe estremamente insolito che una stella così massiccia scompaia senza produrre una brillante esplosione di supernova», spiega Allan. Lo studio è stato pubblicato il 30 giugno scorso su Mnras (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society).

Il team ha prima orientato lo strumento ESPRESSO verso la stella, nell’agosto 2019, utilizzando contemporaneamente i quattro telescopi da 8 metri del VLT, senza riuscire a trovare la firma che si aspettavano, a indicare la presenza della stella luminosa. Poi, alcuni mesi dopo, il gruppo ha provato con lo strumento X-shooter, e ancora una volta non ha trovato tracce della stella.

Il team ha quindi cercato retroattivamente tracce nei dati raccolti in passato sempre dallo strumento X-shooter e da UVES, sul VLT dell’ESO situato nel deserto cileno di Atacama e da altri telescopi in località diverse. «L’archivio scientifico dell’ESO ci ha permesso di trovare e utilizzare i dati dello stesso oggetto ottenuti nel 2002 e ne 2009», racconta Andrea Mehner, astronoma dell’ESO in Cile, che ha partecipato allo studio. «Il confronto degli spettri UVES ad alta risoluzione del 2002 con le nostre osservazioni ottenute nel 2019 con il più recente spettrografo ad alta risoluzione ESPRESSO dell’ESO è stato particolarmente rivelatore, sia dal punto di vista astronomico che da quello della strumentazione».

I vecchi dati indicavano che la stella nella galassia nana Kinman avrebbe potuto trovarsi in un periodo di forte espulsione di materia che, probabilmente, si è concluso in qualche momento dopo il 2011. L’instabilità di queste stelle le porta a sperimentare enormi esplosioni nel corso della vita, durante le quali il tasso di perdita di massa si innalza moltissimo. Un po’ quello che probabilmente sta accadendo a Betelgeuse, per la quale la diminuzione improvvisa e prolungata di luminosità, e la successiva ripresa, sembra siano dovute all’esplusione di grandi quantità di materiale che si è raffreddato e ne ha oscurato in parte la luminosità nella nostra direzione di vista, per poi però disperdersi e renderla di nuovo luminosa.

Sulla base delle osservazioni e dei modelli evolutivi utilizzati, gli astronomi hanno suggerito due spiegazioni.
Una più prosaica: analogamente a Betelgeuse, l’espulsione di materia potrebbe aver comportato la trasformazione della variabile blu luminosa in una stella meno luminosa, che potrebbe anche essere banalmente ancora nascosta dalla polvere, che fatica a disperdersi per motivi gravitazionali. In effetti, ci sono delle osservazioni nel vicino infrarosso, tra il 2009 e il 2019, che mostrano una nube di polvere calda attorno alla stella, ma servirebbero analoghe osservazioni nell’infrarosso medio, che ancora non è stato possibile fare, per rivelare la presenza di polveri più fredde, che potrebbero confermare questa ipotesi. La stella c’è, è ancora viva, nessun evento di supernova sarebbe giustamente stato registrato, ma sarebbe molto più debole di quanto ci si aspetti e nascosta alla perfezione (per quanto la tecnologia di oggi ci permetta di sapere) dalle sue stesse polveri.

Nell'immagine di sinistra vediamo N6946-BH1, la stella "scomparsa" nel 2017 e ripresa dal telescopio spaziale Hubble. A sinistra nel 2007, la stella è visibile, nel 2009 ha avuto un imporvviso aumento della luminosità, per diversi mesi, dopo di che ci si aspettava di vedere il materiale espandersi nello spazio... invece ne è sparita ogni traccia, e si pensa che sia collassata, risucchiando il materiale espulso, per diventare un buco nero. L'unica cosa che è stata possibile osservare inseguito, era radiazione infrarossa che si pensa emessa dai detriti in caduta verso il buco nero. Credits: NASA, ESA, and C. Kochanek (OSU)
L’alternativa, ben più intrigante, è che la stella potrebbe essere collassata direttamente in un buco nero, senza produrre prima un’esplosione di supernova. Un evento davvero raro: quello che al momento sappiamo di come muoiono stelle di grande massa ci dice che la maggior parte di loro conclude la propria vita come supernovae spettacolari visibili per molto tempo, e solo dopo collassano in quel che resta di loro.
Nel 2017 però, un altro studio è stato pubblicato su un fenomeno simile: una gigante rossa, in una galassia a 22 anni luce da noi, si è improvvisamente illuminata per alcuni mesi, senza però esplodere ma scomparendo nel nulla. Secondo gli astronomi si è trattato di un caso di “supernova fallita”, che invece di esplodere spargendo parte del suo materiale nello spazio per poi collassare, è direttamente collassata su se stessa, probabilmente trasformandosi in buco nero di massa stellare.

La nostra variabile luminosa blu, secondo i ricercatori, sarebbe stata in eruzione tra il 2001 e il 2011, diventanto tanto luminosa da lasciare le tracce osservate che hanno reso possibile la sua individuazione, per poi, in un qualche momento dopo il 2011, subire lo stesso destino: collassare in un buco nero portandosi dietro gran parte del materiale espulso, in modo tranquillo e “silenzioso”…
«Potremmo aver rilevato il momento in cui una delle stelle più massicce dell’Universo locale si addentra dolcemente nella notte», ipotizza Jose Groh, membro del team e anch’egli del Trinity College di Dublino.

«La nostra scoperta non sarebbe stata possibile senza i potenti telescopi dell’ESO da 8 metri, la loro strumentazione unica e l’accesso a tali capacità a seguito del recente accordo dell’Irlanda di aderire all’ESO” conclude Groh – l’Irlanda è infatti diventata uno stato membro dell’ESO nel settembre 2018.

Per sbrogliare il mistero saranno però necessari ulteriori studi. In particolare, l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, che è previsto venga messo in funzione nel 2025, sarà in grado di risolvere le singole stelle in galassie lontane come la galassia nana Kinman, dando un grosso aiuto per provare a rintracciare i resti, e comprendere quindi in cosa si è trasformata questa stella “scomparsa”.


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