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di Paolo Baldo – Astronautinews.it
Giovedì 4 febbraio si è spento, all’età di 85 anni, l’astronauta Edgar Mitchell, che proprio il 5 febbraio di 45 anni fa divenne il sesto uomo a mettere piede sulla Luna. I familiari hanno reso noto che la morte, avvenuta verso le ore 22, lo ha colto nel sonno mentre Mitchell si trovava in una casa di cura a Lake Worth, in Florida, a seguito di una breve malattia.
Nato il 17 settembre 1930 a Hereford, in Texas, Edgar Dean Mitchell fu selezionato dalla NASA nel 1966, con il quinto gruppo di astronauti. Nel 1964 aveva conseguito un dottorato in aeronautica e astronautica presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. Ufficiale pilota della U.S. Navy dal 1954, prima di entrare alla NASA aveva svolto il ruolo di pilota collaudatore e ricercatore presso la base aerea di Edwards, in California.
Mitchell effettuò un’unica missione spaziale, in qualità di pilota del modulo lunare di Apollo 14, partita da Cape Canaveral alle 21:03 GMT del 31 gennaio 1971. Il 5 febbraio successivo, a bordo del modulo lunare Antares, Mitchell atterrò sulla Luna assieme al suo comandante Alan Shepard mentre Stuart Roosa, il terzo membro di equipaggio, rimase ad attenderli in orbita lunare a bordo del modulo di comando Kitty Hawk.
Fu un atterraggio estremamente movimentato in quanto per ben due volte gli astronauti si trovarono ad un passo dal dover abortire la discesa. Il primo problema si verificò durante l’ultima orbita di Antares prima della discesa finale quando si accese una spia di aborto. Pur trattandosi di un falso segnale, se la spia fosse rimasta accesa anche dopo l’accensione del motore di discesa, il computer lo avrebbe interpretato come un aborto reale e avrebbe comandato la risalita e l’annullamento dell’atterraggio. Con una corsa contro il tempo, Mitchell dovette digitare sulla tastiera di controllo una sequenza di oltre 80 caratteri per inviare al computer una serie di comandi per aggirare il problema software. La spia si spense appena 30 secondi prima dell’accensione del motore salvando la missione. Ma non era ancora finita.
Quando Antares fu a 6.000 metri dalla superficie non si attivò come previsto il radar altimetro necessario per atterrare in sicurezza. Se il radar fosse stato ancora inattivo sotto i 3.000 metri di quota il computer avrebbe ordinato la risalita immediata. Con meno di due minuti a disposizione, i controllori a Terra comunicarono agli astronauti di resettare il radar sperando in un suo ripristino. La manovra ebbe l’effetto sperato e con enorme sollievo il radar si mise a funzionare, permettendo ad Antares di continuare la discesa che terminò alle 9:18 GMT del 5 febbraio 1972, quando le sue quattro zampe toccarono il suolo lunare sull’altopiano di Fra Mauro.
Cinque ore e 24 minuti dopo essere atterrati, Shepard e Mitchell iniziarono la prima delle due attività extra-veicolari (EVA) previste. La seconda venne effettuata alle 8:11 GMT del giorno successivo, al termine della quale i due astronauti stabilirono il nuovo record di EVA lunari con una durata complessiva di oltre nove ore. Nel corso delle due uscite, Shepard e Mitchell installarono diversi strumenti scientifici e raccolsero ben 43 kg di rocce (un altro record fino a quel momento) anche grazie all’utilizzo di un carrello trasportatore (chiamato MET – Modular Equipment Transporter) che venne impiegato per la prima, nonché unica, volta proprio durante Apollo 14.
Uno degli obiettivi della seconda EVA prevedeva il raggiungimento del bordo di un cratere (chiamato Cone Crater) di 300 metri di diametro, ma i due astronauti non riuscirono a trovarlo a causa di alcune pendenze del terreno che li trassero in inganno e nascosero il bordo alla loro vista. Dopo vari tentativi e con la riserva di ossigeno che andava esaurendosi, alla fine si decise di abbandonare le ricerche e tornare indietro. Osservando per mezzo della sonda LRO (Lunar Recoinassance Orbiter) le tracce lasciate dai due astronauti si è oggi appurato che arrivarono a soli 30 metri dal bordo!
Prima di risalire per l’ultima volta a bordo del modulo lunare, ci fu un fuori programma che sorprese tutto il mondo. Shepard aveva portato con sé due palline e una testa ferro 6 che agganciò al manico di un attrezzo costruendosi così un’improvvisata mazza da golf. Con questa, a suo dire, riuscì a spedire “miglia e miglia” lontano una pallina. La pallina non viaggiò in realtà “per chilometri” ma per tre o quattrocento metri al massimo… Ma tanto bastò per fare di Shepard il primo golfista sulla Luna. Anche Mitchell volle tuttavia lasciare un ricordo “ludico” e da parte sua lanciò a mo’ di giavellotto un’asta utilizzata per un esperimento e non più necessaria.
Alle 18:48 GMT del 6 febbraio si concluse l’esperienza lunare di Shepard e Mitchell, con Antares che decollò per ricongiungersi con Kitty Hawk. Mai prima di allora due uomini erano rimasti per così tanto tempo (33,5 ore) sulla Luna e i loro 3,3 km percorsi a piedi rimangono tutt’ora imbattuti (anche perché nelle successive missioni gli astronauti poterono spostarsi utilizzando un rover). La missione si concluse alle 21:05 GMT del 9 febbraio 1972 con l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico meridionale e il successivo recupero da parte della portaelicotteri USS New Orleans. L’equipaggio di Apollo 14 viene ricordato anche per essere stato l’ultimo a doversi sottoporre alla quarantena successiva al rientro a Terra. Questo protocollo di sicurezza fu infatti ritenuto non più necessario e abolito per le successive missioni.
Prima della missione che lo portò sulla Luna, Mitchell fece parte dell’equipaggio di supporto di Apollo 9 e fu la riserva del pilota del modulo lunare di Apollo 10. Durante la crisi di Apollo 13 Mitchell eseguì le prove al simulatore che portarono a sviluppare le procedure per poter pilotare il modulo lunare con il modulo di comando ancora agganciato. Per questo suo lavoro fu insignito dal Presidente Nixon della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti. Dopo Apollo 14 ricoprì ancora il ruolo di riserva del pilota del modulo lunare per la missione Apollo 16. Nello stesso anno, il 1972, Mitchell si ritirò dalla NASA e dalla U.S. Navy, dove raggiunse il grado di Capitano di Vascello.
Durante il viaggio di ritorno verso la Terra di Apollo 14, Mitchell effettuò su base strettamente personale (e senza informare i suoi compagni di missione) alcuni esperimenti di percezione extrasensoriale. Questo suo interesse in materia si concretizzò nel 1973, quando fondò l’Institute of Noetic Sciences per aiutare la ricerca in questo settore. Mitchell nel corso della sua vita ha più volte dichiarato di credere fermamente negli UFO sebbene ha ammesso di non averne mai visto uno di persona.
Autore di svariati libri e premiato con medaglie al merito, sia da parte della NASA che della U.S. Navy, Edgar Mitchell è stato inserito nella International Space Hall of Fame nel 1979 e nella U.S. Astronaut Hall of Fame nel 1997.
Con la sua scomparsa non rimane in vita più nessuno della missione Apollo 14, essendo Shepard e Roosa deceduti rispettivamente nel luglio 1998 e nel dicembre 1994. Delle undici missioni Apollo con equipaggio questa diventa perciò la prima a perdere tutti e tre gli astronauti, essendo ancora in vita almeno un membro di equipaggio per ognuna delle altre dieci missioni, con addirittura quattro di esse (Apollo 8, 9, 10 e 16) che vedono ancora fra noi tutti gli astronauti.
Con i suoi 85 anni, Edgar Mitchell è inoltre il secondo astronauta più anziano ad averci lasciato, superato solo da Scott Carpenter, scomparso nell’ottobre 2013 a 88 anni. Oltre alla moglie, Mitchell lascia cinque figli (un sesto è deceduto prima di lui), nove nipoti e un pronipote.
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