Rappresentazione artistica del centro brillante una galassia distante, il quasar 3C 279 che contiene un buco nero supermassiccio con una massa circa un miliardo di volte quella del Sole. È così lontano dalla Terra che la sua luce ha impiegato più di 5 miliardi di anni per raggiungerci. Credit: Eso/M. Kornmesser

La collaborazione scientifica internazionale Event Horizon Telescope (Eht), che ha realizzato la famosissima prima immagine di un buco nero, ora è riuscita a ritrarre, con un livello di dettaglio inedito, il quasar 3C 279, un getto relativistico originato probabilmente dalle vicinanze di un buco nero supermassiccio. La tecnica utilizzata da Eht, chiamata interferometria a base molto lunga (Vlbi), ha permesso agli scienziati di studiare la morfologia su scala fine del getto vicino alla sua base, dove si pensa abbia origine un’emissione di raggi gamma molto variabile. I risultati sono pubblicati nel numero di Astronomy and Astrophysics del 7 aprile. La collaborazione Eht continua così a estrarre informazioni fondamentali dalla eccezionale raccolta dati della campagna osservativa globale condotta nell’aprile 2017.

L'articolo pubblicato in occasione della prima immagine di un buco nero da EHT. In formato digitale e gratuito: clicca sull'immagine e leggi!

«Ogni volta che apriamo una nuova finestra osservativa sul nostro universo, esso ci regala nuove emozioni», commenta Mariafelicia De Laurentis, ricercatrice all’Infn e professore all’Università Federico II di Napoli, membro della Collaborazione Eht. «Il risultato ottenuto ci permette ora di avere una maggiore comprensione della natura e dei processi fisici alla base di queste enormi sorgenti di energia: siamo riusciti ad aggiungere un altro tassello al grande puzzle della storia dell’universo».

«Comprendere in dettaglio i processi fisici legati alla formazione dei getti relativistici, e il meccanismo di accelerazione e collimazione di questi ultimi, ha rappresentato, da 50 anni a questa parte, uno dei principali filoni di ricerca dell’astrofisica moderna», spiega Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam, principale partner europeo di Eht. «Oggi, grazie al progetto Eht, possiamo avere finalmente accesso alla base di questi getti giganteschi, che si propagano per migliaia e alle volte milioni di anni luce, e capire la loro relazione fisica dal buco nero centrale».

3C 279, obiettivo di questo studio, è una galassia nella costellazione della Vergine, che gli scienziati classificano come quasar (contrazione di quasi-stellar, cioè sorgente “quasi stellare”) perché al suo centro brilla un punto di luce ultra-luminoso e variabile quando enormi quantità di gas e stelle cadono all’interno del un gigantesco buco nero che si trova al suo centro. Il buco nero, la cui massa è circa un miliardo di volte quella del Sole, “ingoia” le stelle e il gas che si avvicinano al suo potente disco di accrescimento per poi espellerne una parte del gas in due sottili getti di plasma a velocità vicine alla velocità della luce.

La rete di radiotelescopi di Eht. Crediti: Eso/O. Furtak

Questo processo racconta di enormi forze in gioco al suo centro e ora i telescopi di Eht ne mostrano i dettagli, i più nitidi di sempre, con una risoluzione più fine di un anno luce, riuscendo a vedere sia il getto (fino al disco di accrescimento), sia il getto e il disco stessi mentre sono in azione. I dati recentemente analizzati mostrano che il getto, normalmente diritto, ha invece alla base un’inaspettata forma contorta. Inoltre, per la prima volta si osservano delle strutture perpendicolari al getto, che potrebbero essere interpretate come il disco di accrescimento dai cui poli vengono espulsi i getti. Confrontando le immagini nei giorni successivi, si vedono queste strutture cambiare nei minimi dettagli, quindi forse quello che si osserva è la rotazione del disco di accrescimento e della materia che viene disintegrata e cade, un processo che, oltre all’espulsione del getto, in precedenza non era mai stato visualizzato dal vero ma solo tramite simulazioni numeriche.

«I risultati di Eht hanno rivelato la parte più interna del getto di 3C 279, già osservato su grande scala a lunghezze d’onda maggiori con tecniche Vlbi», spiega Kazi Rygl, ricercatrice Inaf a Bologna nel team scientifico di Eht, che ha lavorato con la collega Elisabetta Liuzzo alla calibrazione dei dati. «Questo nuovo studio ci permette di comprendere meglio i processi fisici e la struttura dei getti nei nuclei galattici attivi».

I telescopi che hanno contribuito a questo risultato sono Alma, Apex, il telescopio Iram da 30 metri, il James Clerk Maxwell Telescope, il Large Millimeter Telescope, il Submillimeter Array, il Submillimeter Telescope e il South Pole Telescope. I telescopi lavorano insieme usando una tecnica chiamata interferometria di base molto lunga (Vlbi), che sincronizza gli osservatori distribuiti in varie parti del mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per formare un enorme telescopio delle dimensioni della Terra. La tecnica Vlbi consente a Eht di raggiungere una risoluzione di 20 micro-secondi d’arco, equivalente alla risoluzione che servirebbe a individuare dalla Luna un’arancia sulla Terra. I dati “grezzi” acquisiti dai singoli telescopi sono combinati usando super-computer specifici (chiamati correlatori), ospitati dall’Mpifr di Bonn e dall’Osservatorio Haystack del Mit, i quali forniscono in uscita dei dati “correlati” da cui è possibile ricostruire un’immagine della sorgente radio osservata.

La campagna di osservazione dell’Eht di marzo/aprile 2020 è stata annullata a causa dell’epidemia globale Covid-19. La collaborazione Eht è ora impegnata a pianificare i prossimi passi, sia delle nuove osservazioni sia dell’analisi dei dati già raccolti.

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