La domanda sulle origini è da sempre quella più affascinante e dibattuta, un po’ in tutti i campi. Quella sulla formazione dell’Universo e delle prime galassie, poi, è il rovello preferito da generazioni di cosmologi ed astrofisici, per non scomodare teologi e filosofi. Bene: fino ad ora tra gli scienziati circolava una “idea prevalente”. Vale a dire che all’origine degli oggetti più massicci dell’Universo, come la nostra Via Lattea, ci fossero drammatici e spettacolari scontri fra galassie. Oggi però un lavoro pubblicato sull’ultimo numero della rivista Nature da parte di un team tutto italiano di ricercatori dell’INAF e dell’Università di Firenze – cofinanziato dall’ASI – propone un nuovo scenario: le prime galassie si sarebbero accresciute catturando enormi quantità di gas, essenzialmente idrogeno ed elio, presente in regioni di spazio vicine.

“Molti dei modelli di formazione ed evoluzione delle galassie – spiega con soddisfazione Giovanni Cresci, dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, primo autore dell’articolo – andranno ripensati alla luce di questi risultati”. Soddisfazione ampiamente condivisa anche dall’Agenzia Spaziale Italiana, che ha contribuito finanziaramente nella ricerca: “ASI – dice Barbara Negri, Responsabile dell’Unità Esplorazione e Osservazione dell’Universo dell’Agenzia – da anni supporta lo studio dell’Universo attraverso il finanziamento sia di attività di sviluppo di modelli teorici che di analisi dati, finalizzate alla progettazione di nuovi strumenti per le future missioni spaziali”.

VLT Very Large Telescope
Lo strumento SINFONI installato al telescopio VLT (Very Large Telescope) dello European Southern Observatory in Cile

Per studiare la composizione chimica del gas presente in tre galassie a disco distanti oltre 12 miliardi di anni luce da noi (quindi formatesi solo 2 miliardi di anni dopo il Big Bang) gli astronomi hanno utilizzato lo strumento SINFONI installato al telescopio VLT (Very Large Telescope) dello European Southern Observatory in Cile. Il punto di forza di SINFONI è la sua capacità di fornire informazioni su come è distribuita la materia nelle galassie e, soprattutto, da cosa è composta. Questo ha permesso di studiare per la prima volta in galassie così distanti la variazione della composizione chimica del gas dal loro centro fin verso la periferia.

Bene. In ognuna delle tre galassie sono state individuate regioni prossime al centro, in corrispondenza delle zone di formazione stellare più intensa, molto povere di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno. Una scoperta sorprendete, in disaccordo con la maggior parte dei modelli teorici di evoluzione chimica e con quello che si osserva in galassie vicine, dove la quantità di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno diminuisce via via che ci si sposta verso regioni esterne della galassia. Le osservazioni confermano dunque lo scenario in cui la formazione di nuove stelle è associata all’accrescimento di gas primordiale nelle regioni centrali: le zone esterne delle galassie sono arricchite in elementi pesanti prodotti all’interno delle stelle, mentre la scarsezza di elementi pesanti in quelle prossime al centro è dovuta al nuovo gas extragalattico, quasi totalmente composto da idrogeno. Ecco dunque la prova mancante che l’assorbimento di ingenti quantità di gas, senza il bisogno di più violente fusioni fra galassie, è davvero presente e capace di sostenere la formazione di nuove stelle, almeno nelle galassie più massicce dell’universo primordiale.

Il team di ricerca che ha condotto il lavoro pubblicato su Nature è composto, oltre Giovanni Cresci, da Filippo Mannucci e Laura Magrini dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Roberto Maiolino dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma e da Alessandro Marconi e Alessio Gnerucci del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Firenze.

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