L’ammasso di galassie Abell 1314 si trova nella costellazione dell’Orsa Maggiore a una distanza di circa 460 milioni di anni luce dalla Terra. L’oggetto ospita emissioni radio su larga scala che sono state causate dalla sua fusione con un altro cluster. Le emissioni radio non termiche rilevate con il telescopio Lofar sono mostrate in rosso e rosa, e l’emissione termica dei raggi X rilevata con il telescopio Chandra è mostrata in grigio, sovrapposta a un’immagine ottica. Crediti: Amanda Wilber/LOFAR Surveys Team

Un gruppo internazionale di oltre 200 ricercatori provenienti da 18 paesi, tra cui alcuni dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dell’Università di Bologna, ha pubblicato la prima tornata di articoli riguardanti la fase iniziale di un’importante surveyrealizzata con il potente telescopio europeo Low Frequency Array (Lofar), la più estesa rete per osservazioni radioastronomiche in bassa frequenza al mondo attualmente operativa. I ricercatori hanno rilevato centinaia di migliaia di galassie finora avvolte nel mistero, gettando nuova luce su molte aree di ricerca tra cui fisica dei buchi neri e lo studio dell’evoluzione degli ammassi di galassie. I primi 25 articoli che descrivono questi risultati (uno degli articoli è a prima firma italiana) sono stati pubblicati oggi in un numero speciale della rivista scientifica Astronomy & Astrophysics.

La radioastronomia permette di studiare aspetti dei fenomeni celesti che non sono accessibili in altre bande. Durante questa prima fase di rilevazioni, le antenne Lofar (25mila, raggruppate in 51 stazioni distribuite al momento in 7 stati europei) hanno osservato un quarto dell’emisfero settentrionale a basse frequenze. Con questi articoli, circa il 10 per cento dei dati viene reso pubblico. Lofar ha tracciato 300 mila sorgenti, quasi tutte galassie nel lontano Universo: i loro segnali radio hanno viaggiato miliardi di anni luce prima di raggiungere la Terra.

Questa immagine mostra come il radiotelescopio Lofar apre una nuova era per lo studio dell’Universo. In grigio è mostrata una porzione di cielo in luce visibile. Le tonalità arancioni mostrano la radiazione radio che viene emessa nella stessa parte del cielo. L’immagine radio sembra completamente diversa e cambia le nostre ipotesi su come le galassie nascono e si sviluppano. Crediti: Rafael Mostert/Lofar Team/Sloan Digital Sky Survey DR13

Questa immagine mostra come il radiotelescopio Lofar apre una nuova era per lo studio dell’Universo. In grigio è mostrata una porzione di cielo in luce visibile. Le tonalità arancioni mostrano la radiazione radio che viene emessa nella stessa parte del cielo. L’immagine radio sembra completamente diversa e cambia le nostre ipotesi su come le galassie nascono e si sviluppano. Crediti: Rafael Mostert/Lofar Team/Sloan Digital Sky Survey DR13

Lofar ha una sensibilità notevole e questo permette di rispondere a molte domande sulla formazione ed evoluzione dei buchi neri: per esempio è possibile vedere che getti di materiale sono presenti in tutte le galassie più massicce, il che significa che i loro buchi neri non smettono mai di “mangiare”. Ma con le antenne progettate e sviluppate da Astron, l’Istituto olandese per la radioastronomia, è possibile studiare nel dettaglio anche gli ammassi di galassie, cioè raggruppamenti di centinaia di migliaia di galassie circondate da un gas a temperature di centinaia di milioni di gradi: quando due ammassi interagiscono fra loro, producono emissioni radio che viaggiano per milioni di anni luce. Le antenne di Lofar sono progettate per essere sensibili proprio a queste emissioni.

«Quello che stiamo iniziando a vedere con Lofar», spiega Annalisa Bonafede, professoressa associata dell’Università di Bologna e ricercatrice dell’Inaf – Ira di Bologna, «è che, in alcuni casi, anche gli ammassi di galassie che non mostrano evidenza di forti interazioni possono mostrare questa emissione, ma a un livello molto basso che comunque in precedenza non era rilevabile. Questa scoperta ci dice che anche gli eventi di interazione minore fra ammassi possono innescare meccanismi di accelerazione di particelle su enormi scale».

La creazione di mappe radio a bassa frequenza richiede sia un notevole tempo di utilizzo dei telescopi che di calcolo ed è necessario l’impiego di grandi team per l’analisi dei dati. Le antenne di Lofar producono un’immensa quantità di dati – basti pensare che gli esperti hanno elaborato l’equivalente di dieci milioni di Dvd di dati.

Mappa con la distribuzione delle stazioni osservative che compongono Lofar. Crediti: Astron

«Questa serie di articoli vede un coinvolgimento significativo di ricercatori e associati Inaf a dimostrazione della vitalità della comunità radioastronomica Italiana. Oggi l’Inaf guida un consorzio nazionale che è membro della collaborazione Lofar e pertanto nell’immediato futuro ci aspettiamo un contributo molto importante all’esplorazione dei dati Lofar da parte della nostra comunità», aggiunge Gianfranco Brunetti, primo ricercatore all’Inaf – Ira di Bologna che da alcuni anni guida le ricerche Lofar nell’ambito degli ammassi di galassie, nonché coordinatore del consorzio Lofar italiano. «Inoltre va detto che oggi stiamo sviluppando degli strumenti per l’analisi dei dati Lofar che sono molto più potenti di quelli utilizzati in questi primi articoli e che ci permetteranno di ottenere immagini ancora più profonde e dettagliate».

I 25 articoli pubblicati nel numero speciale di Astronomy & Astrophysics sono stati condotti solo con il primo 2 per cento del rilevamento del cielo. Il team mira a ottenere immagini ad alta risoluzione dell’intero cielo del nord, rivelando così 15 milioni di sorgenti radio in totale.

Guarda il servizio video sul canale YouTube MediaInaf TV:

Per saperne di più:

  • Guarda sul sito di Lofar le altre immagini della survey
  • Consulta il numero speciale di Astronomy & Astrophysics “Lofar Surveys”. I ricercatori italiani che hanno partecipato, a vario titolo, a 21 dei 25 articoli sono: per l’Inaf (Ira di Bologna, Iasf Milano, Osservatorio di Cagliari) A. Botteon, M. Brienza, G. Brunetti, E. Carretti, R. Cassano, V. Cuciti, F. Gastaldello, R. Paladino, I. Prandoni, V. Vacca; per l’Università di Bologna A. Bonafede, F. Vazza e D. Dallacasa. Ricordiamo che l’Inaf guida un consorzio nazionale di cui fa parte anche il dipartimento di fisica dell’Università di Torino e ha pianificato di investire in Lofar circa 2,5 milioni di euro, da aprile 2018 e per i prossimi 4 anni, e parteciperà con il suo personale allo sviluppo della nuova generazione di dispositivi elettronici allo stato dell’arte che equipaggeranno il radiotelescopio diffuso europeo.

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Coelum Astronomia di Febbraio 2019
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