immagine stereoscopica di Ryugu (parallel eyes) Credit: Brian May / Patrick Michel / JAXA

Uno dei primi ad annunciare l’evento è stato Brian May, astrofisico e chitarrista dei Queen (!), che da Milano ha rilanciato la prima immagine stereoscopica di Ryugu (quella che mostriamo in apertura). I due frames sono stati ripresi a soli 13 minuti di distanza e la piccola differenza di prospettiva, dovuta alla rotazione dell’asteroide, fornisce di fatto una immagine in rilievo che però va vista da un occhio allenato o tramite un visore stereoscopico, in modo che l’occhio destro veda l’immagine a destra e viceversa; le due immagini vengono poi combinate dal cervello per restituire la sensazione di profondità. Questa tecnica è detta “parallel eyes” perchè i due occhi puntano in direzioni parallele, come se fissassero un unico oggetto a distanza infinita… siccome però lo schermo è a poche decine di centimetri, ci vuole un certo sforzo (e un pò di allenamento) per costringere gli occhi a mettere a fuoco così vicino senza perdere il suddetto allineamento. Un trucco consiste nell’avvicinarsi molto allo schermo senza sforzarsi di fissarlo ma rilassando lo sguardo come se si guardasse oltre; una volta che le due immagini (sfocate) appaiono sovrapposte, bisogna allontanarsi lentamente cercando di mantenerle allineate, in modo da vedere l’immagine 3D sempre più a fuoco e apprezzarla in pieno). Una diversa tecnica, che personalmente trovo più comoda da usare, è quella del “cross-eyes” in cui le due immagini sono scambiate di posto e vengono guardate incrociando gli occhi come se l’oggetto fosse molto più vicino; qui sotto ho realizzato la versione da usare in questo caso:

Versione “Crossed Eyes” dello stereogramma – Credit: Brian May / Patrick Michel / JAXA – Processing: M. di Lorenzo
credit: JAXA / Processing: M. Di Lorenzo

Qui a destra, la prima immagine ripresa dalla distanza di 20 km e pubblicata su twitter, opportunamente processata per mostrare i minimi dettagli; è stata aggiunta la barra della scala. Assumendo che la scala originale (2,16 m/pixel) non sia stata manomessa, da questa immagine è possibile stimare il diametro polare ed equatoriale: 840 x 880 metri rispettivamente (il secondo dato più incerto a causa della presenza del terminatore e quindi della difficoltà nello stimare la parte mancante). Il grosso cratere poco sopra l’equatore misura circa 110 metri.

Intanto l’istituto Chiba ha annunciato ieri di essere riuscito a fare la prima stima accurata di distanza dall’asteroide utilizzando il laser altimetro e misurando il tempo di andata e ritorno degli impulsi di luce. I primi tentativi erano stati effettuati 4 giorni prima, ma la riflettività dell’asteroide si è rivelata più bassa del previsto e solo ieri si è riusciti a rivelare la luce riflessa (o meglio, diffusa) dalla sua superficie; ne è risultata una distanza di 22,4 km. Secondo la tabella di marcia ufficiale, questa era effettivamente la distanza attorno alle 4 UT (le 6 ora italiana) ma quei tabulati erano stati calcolati prima della misura in questione e potrebbero venire corretti a breve…

La decima e ultima correzione di rotta (TMC-10) è avvenuta alle 0:51 UTC (2:51 ora italiana) ed ha portato la velocità relativa della sonda da 55 cm/s a meno di 1 cm/s, come mostrato nel seguente diagramma tratta dall’ultima press release e presentato anche all’odierna conferenza stampa (entrambe rigorosamente in idioma nipponico):


Infine, qui sotto, i grafici della distanza e della velocità relativa relative all’intera fase di approccio (riportati anche nel Mission Log); a destra anche l’andamento delle dimensioni apparenti dell’asteroide e della scala delle immagini riprese dalla fotocamera telescopica ONC-T. I gradoni orizzontali non sono realistici e derivano da buchi temporali nei tabulati ufficiali di JAXA, presumibilmente dovuti a revisioni sui valori di distanza realmente rilevati, discrepanti rispetto al modello precedente.

Data source: Jaxa – Processing: M. Di Lorenzo

Riferimenti: https://twitter.com/haya2e_jaxa

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