“La prima volta che si sentì parlare del James Webb Space Telescope (JWST) era il 1989 e il telescopio spaziale Hubble doveva ancora entrare in funzione, sarebbe stato lanciato infatti appena l’anno dopo e ben presto si iniziò a definirlo come il successore di Hubble.”
di Antonella Nota
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Hubble Space Telescope e James Webb Space Telescope a confronto
Che l’Hubble sarebbe rimasto in funzione così a lungo, e così a lungo avrebbe contribuito ad alcune fra le più importanti scoperte astronomiche degli ultimi trent’anni, nessuno poteva pensarlo, così come nessuno avrebbe potuto immaginare che ci sarebbe voluto così tanto tempo per realizzare il JWST. Trentatré anni from concept to reality, per la precisione. Ma possiamo davvero continuare a pensare che l’osservatorio spaziale dallo specchio dorato sia semplicemente il successore del telescopio spaziale che ha fatto la storia? Lo abbiamo chiesto ad Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA.
“All’inizio le ipotesi di durata di Hubble puntavano ai dieci anni, oggi siamo già a 32, come l’energizer bunny, è super strong. Il termine successore quindi perde valore già solo per questioni temporali, sono infatti inaspettatamente operativi contemporaneamente finendo per creare una sinergia. Una sorpresa molto utile per la scienza. Con Hubble che ha uno specchio di due metri e mezzo e Webb di 6 metri e mezzo, sia ha la copertura di tutto lo spettro, a partire dall’ultravioletto e fino all’infrarosso medio. Ciò ribalta completamente l’approccio iniziale ed è indispensabile che ora passi l’idea corretta ceh questi due strumenti in realtà si potenziano a vicenda. Abbiamo anche creato sui social media la campagna “best friends in space. Ci sono un sacco di programmi di ricerca che li usano entrambi, ci aspettiamo risutlati incredibili”.
Quali sono le ragioni per cui dire che JWST è il successore di Hubble è fuorviante e quali quelle per cui può essere considerato tale?
Allora, pensandoci un attimo, l’unico modo in cui vedo una successione è la sfida che abbiamo: portare Webb allo stesso livello di Hubble, quanto a visibilità nella comunità e nel pubblico. Hubble è iconico, è diventato un nome riconosciuto in qualunque parte del mondo, un vero e proprio brand. La gente riconosce le foto di Hubble che sono oramai dappertutto: nei film, nell’arte, ovunque vi sia un’immagine astronomica con grande probabilità si tratta di un’immagine di Hubble. Riuscire a ripercorrere gli stessi step di Hubble in 30 anni stabilendo questa connessione intima con le persone in tutto il mondo: è questa la sfida per noi. Webb sarà il successore di Hubble se riusciremo a portarlo allo stesso livello di visibilità, comprensione e ammirazione.
Perché è così importante che ci si affezioni a una missione spaziale come Hubble e Webb?
Per me non è importante che ci si affezioni, ma capita, succede. È una conseguenza quasi naturale. Se ci pensi, con Rosetta è successa un po’ la stessa cosa perché sono avventure di esplorazione e fanno vivere a tutti le stesse emozioni, e normale che un po’ le persone ci si identifichino. Che Hubble fosse diventato una presenza quasi antropomorfica, che fosse più di un telescopio, però l’abbiamo scoperto quando la NASA ha provato a cancellare l’ultima servicing mission nel 2009: c’è stata una rivolta del pubblico, ricevevamo lettere di bambini che ci mandavano il salvadanaio, la paghetta settimanale, delle cose incredibili. Con Webb la campagna di conquista del pubblico prima del lancio non ha funzionato, Webb è considerato “il costoso”, e certo i ritardi non hanno aiutato. Ora è importante far arrivare il messaggio che i ritardi sono stati condizionati dalla necessità di realizzare un lavoro ben fatto. Che i membri dei team hanno operato con serietà e rispetto per il progetto così ambizioso e importante per il futuro della scienza.
E come sta andando ora?
La mia impressione è che si siano già fatti passi da gigante in questo primo mese. Grazie al fatto che il lancio è stato fantastico e con il contributo della NASA che ha gestito la campagna di comunicazione sul deployment in modo eccezionale, abbiamo visto infatti la nostra following base moltiplicarsi di giorno in giorno. Il nostro profilo su Twitter, e parlo solo di quello europeo, aumenta di duemila follower al giorno. Sono tutti lì che seguono, che vogliono vedere la fine, e quindi per noi la sfida è quella di continuare a tenere tutti informati, ma anche approfittare di questo momento per attrarre l’interesse del pubblico nei confronti dell’astronomia e della scienza. Gli astronomi hanno vita facile: è facile ispirare un pubblico facendo vedere immagini bellissime o parlando di fenomeni celesti ma per me oggi, a livello di educazione scientifica, si potrebbe fare molto di più e missioni così hanno proprio il potenziale di allargare gli orizzonti, creare curiosità e formare la prossima generazione di scienziati, che non devono essere necessariamente astronomi.
L’orbita di Webb è molto diversa da quella di Hubble, in primo luogo per via della distanza. Cosa succederebbe se qualcosa dovesse funzionare male, come accaduto ad Hubble?
Nella scelta di posizionare Webb in L2, scienziati e ingegneri erano assolutamente consci dei rischi: Webb avrebbe dovuto funzionare dal primo momento, e non ci sarebbero state possibilità di riparazione. E la differenza fra una missione che funziona e una che fallisce è proprio la preparazione, tornando quindi al motivo per cui sono stati spesi tanti anni per i test, con il risultato di essere immersi in un’esperienza gratificante ed entusiasmante in cui tutto sembra andare nel verso giusto e non per fortuna ma per professionalità. Webb avrà anche un lunga ed inaspettata durata: grazie una manovra di intersezione nell’orbita praticamente perfetta, è stato risparmiato molto carburante durante le minime correzioni, lasciandone una buona scorta per le operatività future. Si parla di oltre vent’anni per una missione che doveva durarne a malapena 5 o al massimo 10, un grandissimo successo.
Qualcuno parla della possibilità di impiegare missioni robotiche…
Gli ingegneri sono sempre estremamente creativi, e abbiamo visto in passato che hanno il pregio di non fermarsi di fronte a nulla. Quindi non escludo, per quanto non ci sia nulla di programmato, che i team potrebbero stupirci in qualche “diavoleria” in caso di un’inattese criticità. Al momento tutto sta andando benissimo. A metterci tranquilli è l’esperienza vissuta con Hubble quando c’è stato il problema dell’aberrazione sferica, le cose alla fine si sono aggiustate, certo non immediatamente e ci sono voluti due o tre anni, però la comunità scientifica è stata molto reattiva. Personalmente quindi sono molto fiduciosa e una missione robotica sarebbe l’unica opzione, l’intervento degli astronauti è da escludere: Webb è troppo lontano ed è troppo pericoloso e oggi ancora non esiste un modo per metterli in sicurezza. Poi è vero anche che non si esclude mai nessuna ipotesi a priori. “The sky’s the limit”, non c’è limite alla creatività del cervello umano.
Come saranno le immagini di Webb rispetto a quelle di Hubble?
Allora le immagini saranno diverse. Saranno bellissime, sì certamente, ma saranno diverse per due motivi. Intanto Webb è cento volte più potente di Hubble e quindi riuscirà a vedere i dettagli che con Hubble erano assolutamente non visibili. Qualsiasi cosa osservata con un in gradimento 100 invece di 10 sarebbe assolutamente diversa: un universo completamente nuovo. Webb poi, come dicevamo, opera nell’infrarosso, che è una regione dello spettro ancora abbastanza sconosciuta. Abbiamo già avuto satelliti infrarossi (come Spitzer o ancora prima Iras), stiamo parlando però di strumenti piccoli e di conseguenza con una capacità limitata in risoluzione (l’abilità di vedere separati due oggetti deboli). Con uno specchio da sei metri e metri e mezzo JWST cambierà completamente la visione dell’universo.
Facciamo un esempio: Hubble con uno specchio di 2 metri e mezzo è riuscito ad allargare l’orizzonte dell’universo osservato fino a 400-500 milioni dopo il Big Bang, e quindi ha osservato galassie che si erano formate 400-500 milioni di anni dopo il momento iniziale. La speranza è che Webb superi quel limite e arrivi ai primi 100 milioni di anni fino ad osservare veramente come si sono formate le prime galassie. Mi chiedono ogni tanto, riuscirà Webb a vedere anche le prime stelle? Forse, questa è il grande sogno. Le prime stelle probabilmente sono comparse proprio nei primi 100 milioni di anni, siamo proprio al limite quindi delle potenzialità.
Per JWST inoltre, dobbiamo tener conto che, a differenza di Hubble, che la sua attività scientifica principale non dipenderà esattamente dalle immagini.
Ci spieghi meglio…
JWST è, principalmente, un telescopio spettroscopico. Questa è una cosa a cui il pubblico dovrà abituarsi, e sarà una sfida per noi spiegare la differenza tra fare astronomia usando solo immagini e fare astronomia avendo informazioni quantitative che vengono dagli spettri. Gli strumenti che ci aspettiamo che faranno faville, nel caso di Webb, sono appunto gli spettrografi: quello europeo Nirspec, in particolare, nel corso del primo anno osserverà per ben il 40 per cento del tempo. Gli spettri sono fondamentali perché permettono agli astronomi di capire di capire la composizione di ciò che stanno guardando. Non solo come si mostra ma quali sono le proprietà chimiche, fisiche, la temperatura, la gravità e i moti. Sarà una rivoluzione della comunicazione perché dobbiamo riuscire a spiegare al pubblico che vede uno spettro, molto simile ad un elettrocardiogramma, l’importanza che tutti quei tracciati hanno per le scoperte che Webb farà.
Considerando la diversità negli strumenti e il diverso regime di lunghezza d’onda, potremmo quindi dire che JWST prende in carico quello che ha fatto Hubble per migliorarlo da un lato e completarlo dall’altro?
Assolutamente si!
Quindi, per questo, possiamo dire che JWST è il successore di Hubble: ha un’eredità da cui partire.
Si, forse questo è l’unico aspetto in cui considerare JWST il successore di Hubble ha senso. Diciamo che è una crescita rispetto alla missione precedente. Hubble ha messo le fondamenta e Webb costruirà la casa, o forse il grattacielo, non c’è dubbio. Però ci tengo a precisare che continueranno a lavorare insieme perché sono di fatto complementari ed è importantissimo: Webb lavora solamente nell’infrarosso, vicino e lontano, mentre l’ottico e l’ultravioletto li ha solo Hubble. Secondo me continueremo a vedere le immagini bellissime di Hubble che ci spiegheranno le incredibili scoperte astrofisiche che farà Webb. Questa è la mia predizione: che questa sinergia fra i due ci presenterà una visione del cielo sempre più ricca, la nostra comprensione dell’Universo in generale diventerà molto più completa e per questo dovremo ringraziare questi due “colossi scientifici” che lavorano in sinergia.
Biografia
Antonella Nota ricopre il ruolo di Project Scientist del telescopio spaziale James Webb per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) allo Space Telescope Science Institute (STSCI) di Baltimora. Nata a Venezia, Nota è sempre stata appassionata di astronomia. Dopo la laurea all’università degli studi di Padova ha ottenuto una posizione come ricercatrice postdoc all’ESA, in Germania. Un anno e mezzo dopo si è trasferita a STSCI, negli Stati Uniti, per lavorare a uno degli strumenti del telescopio spaziale Hubble, la Faint Object Camera. Dopo aver ottenuto una posizione permanente per l’ESA nello stesso istituto, ha assunto il ruolo di capo del Science Mission Office, dirigendo circa 150 scienziati dell’istituto, per poi cominciare a curare la parte scientifica del telescopio spaziale Hubble e James Webb. Attualmente, per l’osservatorio spaziale Webb, si occupa di comunicazione di policy scientifiche alla comunità scientifica e con il pubblico.
Per Approfondire
L’articolo completo su JWST è in COELUM ASTRONOMIA N°255