Un’emissione luminosissima di raggi X proveniente da un buco nero nella galassia Andromeda. È quello che ha registrato un team internazionale di astronomi, tra cui due ricercatori dell’INAF, monitorando, con il satellite XMM dell’ESA la più grande galassia del nostro “Gruppo Locale” che comprende, oltre la Via Lattea, le Nubi di Magellano e un’altra quarantina di galassie meno note.
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È la prima volta che viene registrato una così intensa luminosità da un buco nero di un’altra galassia. Cosa questo implichi lo spiega Massimo Della Valle, Direttore dell’Osservatorio Astronomico Di Capodimonte dell’INAFe tra gli autori della ricerca pubblicata da Nature.
“A Gennaio di quest’anno – dice Della Valle — abbiamo scoperto una sorgente luminosissima che non era presente nei nostri archivi. Nel breve volgere di poche settimane la sorgente raggiunse una luminosità X straordinaria, simile a quella delle cosiddette sorgenti ULX (UltraLuminous sources X). Gli astronomi per anni hanno dibattuto se questa luminosità fosse dovuta dall’accrescimento di materiale, ad un tasso elevatissimo, di un buco nero “stellare”, cioè inferiore alle 10 masse solari, o piuttosto dall’accrescimento, ad un tasso più basso di un buco nero di massa intermedia (100-1000 masse solari). Le nostre osservazioni – conclude il direttore dell’osservatorio di Napoli — supportano il primo scenario e tendono a ridimensionare il ruolo dei buchi neri di massa intermedia se non addirittura ad escludere la loro esistenza. Questi oggetti saranno i “banchi di prova” ideali per studiare l’accrescimento vicino al limite di Eddington, che è ben lungi dall’essere compreso”.
E di limite di Eddington parla il principale autore della ricerca, Matt Middleton del Dipartimento di Fisica dell’Università di Durham, in questi giorni a Napoli per una conferenza all’osservatorio e che abbiamo per l’occasione raggiunto: “Queste osservazioni, per la prima volta, hanno offerto l’opportunità di studiare l’accrescimento in condizioni limite e straordinarie, vicino al limite di Eddington per l’appunto. Se comprendiamo appieno questo fenomeno sarà possibile capire come alcuni dei primi oggetti formatisi nell’Universo, circa 13 miliardi di anni fa immediatamente dopo il Big Bang, come i quasars abbiano potuto accrescere materia tanto rapidamente, per poi ridistribuirla nell’Universo “giovane”. Materia dalla quale si sono successivamente formate stelle e galassie”.
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Del perché della scelta di Andromeda quale galassia da tenere sotto osservazione, risponde Marina Orio dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova: “La relativa vicinanza di Andromeda, a soli due milioni e mezzo di anni luce di distanza, offre un’occasione unica di studiare un intero sistema di popolazioni stellari a diverse lunghezze d’onda. Abbiamo – continua la ricercatrice italiana — iniziato questo programma con il principale obiettivo di seguire, nella banda X, le esplosioni di stelle novae, cioè di stelle binarie formate da una nana bianca e una stella, di norma più piccola del Sole, che viene “cannibalizzata” poco alla volta. In particolare seguiamo le fasi immediatamente successive all’outburst, spesso caratterizzate da un’emissione X “soft” (meno di 10keV) dovuta al bruciamento residuo dello strato di idrogeno trasferito dalla stella di piccolo massa alla nana bianca”.
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