Si, sulla Luna ci siamo andati, con le missioni Apollo e con una miriade di altre missioni robotiche (che tra l’altro hanno visto anche le tracce delle missioni Apollo). Ed è ormai sicuro che ci torneremo, anche come base di partenza per andare “oltre”, ma per farlo occorre scegliere con attenzione i luoghi dove fermarsi e le risorse a disposizione, prima fra tutte la possibilità di trovare e poter estrarre acqua.
La regione del polo sud della Luna ospita alcuni degli ambienti più estremi del Sistema solare: è inimmaginabilmente fredda, craterizzata in modo massiccio e con aree o costantemente esposte alla luce del Sole o nelle tenebre eterne. E questo è proprio uno dei motivi per cui la NASA vuole inviare lì, nel 2024, gli astronauti del suo programma Artemis (leggi l’articolo Ritorno alla Luna. Il programma Artemis su Coelum Astornomia 235, in formato digitale e gratuito).
La parte dei crateri in ombra, infatti, che non vede mai la luce del Sole per via del basso angolo di illuminazione, raggiunge le temperature più fredde mai misurate nel Sistema solare interno. Si è pensato quindi che fosse l’ambiente perfetto per conservare materiali, come l’acqua ghiacciata, inalterati per eoni. E proprio lì sono state trovate riserve d’acqua ghiacciata permanente. Chiamate “trappole di ghiaccio” (cold trap), si è scoperto che le molecole d’acqua vaganti sulla superficie lunare (trasportate da comete e meteoriti e, forse, anche endogene), quando vengono catturate da queste trappole invece di sublimare o restare coinvolte in altri eventi ambientali, restano li, congelate, e si accumulano andando a formare una riserva perenne, una sorta di permafrost lunare.
Un nuovo studio, sui dati dello strumento Lamp (Lyman Alpha Mapping Project) a bordo di LRO, ha invece scoperto che lo strato più superficiale di queste riserve d’acqua, uno strato sottile più delle dimensioni di un globulo rosso, sta lentamente venendo eroso.
Primo autore dello studio, pubblicato su Geophysical Research Letters, è William M. Farrell. fisico del plasma al Goddard Space Flight Center, che spiega: «Si pensa che alcune aree di questi crateri polari intrappolino l’acqua e basta. Ma ci sono particelle di vento solare e meteoroidi che colpiscono la superficie e possono innescare reazioni che si verificano in genere a temperature superficiali più calde. Questo è un qualcosa che non era stato evidenziato».
Particelle cariche di vento solare e micrometeoriti, qui sulla Terra, vengono neutralizzate dalla nostra atmosfera, sulla Luna invece arrivano senza alcun ostacolo e bombardano tutta la superficie lunare, anche quindi le superfici di ghiaccio perenne. Il vento solare scalfisce la superficie lanciando molecole d’acqua anche lontano dalla loro posizioni originale, mentre le micrometeoriti si schiantano sul terreno mischiato con pezzi di ghiaccio, le cui particelle, grazie alla bassa gravità e alla mancanza dell’attrito dell’aria, vengono lanciate anche fino a 30 chilometri di distanza.
È evidente che, fuori dalla zona d’ombra, queste particelle ghiacciate sublimano o si perdono in altri processi ambientali. Quello che ancora non è chiaro è se l’acqua (che arriva e che è arrivata sempre grazie a comete e meteoriti) si ripristina allo stesso modo nel tempo o se queste riserve sono destinate a consumarsi, e quanta ce n’è… ovvero se l’acqua si trova mischiata solo su questa sottile crosta superficiale, o se è presente anche più in profondità. Ad ogni modo è ormai evidente che esiste una sorta di ciclo dell’acqua anche sulla Luna, e questo è già un primo grosso risultato.
Un secondo risultato è stato quello quindi di dedurre che il ghiaccio trovato in questi crateri potrebbe non essere così antico e perenne come si pensava, ma subire appunto una sorta di riciclo, secondo una stima del team di Farrell, potrebbe rinnovarsi, almeno nella sua parte più superficiale, nel giro di 2000 anni. Per confermare i calcoli del team servirà però uno strumento in grado di rilevare l’eventuale “vapore acqueo” presente sopra i crateri polari, una sorta di esosfera composta da una a 10 molecole d’acqua per centimetro cubo liberata da questi impatti.
Tutto questo potrebbe essere una ottima notizia per le prossime missioni umane sulla Luna. Potrebbe infatti significare che non servirà immergersi nelle tenebre ghiacciate dei crateri per estrarre l’acqua, ma basterà trovarsi nei loro pressi, dove ancora il Sole sarà in grado di alimentare rover e macchinari ad energia solare, e potendo magari raccogliere quella “sparata” fuori da questo costante bombardamento, prima che sublimi o si disperda nuovamente.
Non è facile però trovare conferma per questi studi, analizzare il dettaglio di questi eventi nel buio dei crateri non è semplice e bisogna “andara là”. Con una sonda o con una missione umana, ma serve uno strumento che raccolga i dati sul posto. Al momento infatti, gli strumenti utilizzati per questo genere di analisi sono strumenti di telerilevamento in grado di identificare gli elementi chimici presenti in base alla luce riflessa o assorbita, ed è evidente che in zone di buio perenne luce non ce n’è. Quindi in attesa del ritorno degli astronauti sulla superficie lunare, o nuove sonde appositamente inviate per “fiutare” le molecole d’acqua presenti, ci si “accontenta” di provare a vedere se l’ipotesi dell’azione dei meteoridi all’interno dei crateri in ombra può aiutare a spiegare qualcuna delle tante domande sulla presenza di acqua sulla Luna. Ad esempio, potrebbe spiegare perché si trova in macchie di ghiaccio sottile mischiato alla regolite piuttosto che in blocchi di puro ghiaccio d’acqua…
La certezza che la Luna non sia una roccia arida e morta, era stato ipotizzato da tempo e la certezza ce l’abbiamo da una decina d’anni, dopo che, nel 2009, il Lunar Crater Observation and Sensing Satellite (LCROSS) si è schiantato nel cratere Cabeus proprio per analizzare il materiale del fondo del cratere, trovando appunto anche molecole d’acqua. L’LRO poi, con le sue migliaia di orbite e 1 petabyte di dati scientifici restituiti (equivalenti a circa 200.000 film ad alta definizione, trasmessi in streaming online), è stato determinante.
«Sospettavamo che ci fosse acqua ai poli e LCROSS ce l’ha confermato, ma ora abbiamo la prova che ci sia acqua anche alle latitudini medie», spiega Farrell. «Abbiamo anche evidenze che ci sia acqua proveniente dagli impatti dei micrometeoroidi e che abbiamo misurazioni che riguardano i ghiacci. Ma la domanda è: come sono collegate tutte queste fonti d’acqua?». E Farrell e i suoi colleghi sono più vicini a rispondere che mai.
Indice dei contenuti
50 ANNI FA
Lo Sbarco dell’Uomo sulla Luna
La Storia, le Persone, le Emozioni… e tutte le immagini più belle.
Coelum Astronomia di Luglio e Agosto 2019
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