Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà. Finché ci saranno il giorno e la notte.
Ve la ricordate? E’ una delle frasi più potenti del film Ladyhawke. Sempre insieme, eternamente divisi, come due facce della stessa medaglia, o come due lati di uno stesso pianeta.
Nell’universo esistono pianeti molto vicini alla loro stella, e a causa di ciò, la gravità li lega ad essa a tal punto che sono costretti a guardarla sempre in volto, sempre uno negli occhi dell’altra. Come in una storia d’amore tormentata. E quando si parla di stelle, non si va tanto per il sottile. Questo fenomeno si chiama risonanza mareale. Una parte sempre in ombra, l’altra sempre in luce. Pianeti di questo tipo sono particolarmente comuni perché esistono attorno a stelle che costituiscono circa il 70% delle stelle viste nel cielo notturno, le cosiddette stelle nane M, che sono relativamente più deboli del nostro sole. Esiste però una zona di equilibrio, come un porto franco fra due fazioni in guerra, un’area speciale chiamata terminatore, che è un anello circa a metà, dove le condizioni sono più accettabili. Né troppo caldo, né troppo freddo. Né troppa luce, né solo ombra. E queste condizioni sono essenziali se si ricerca uno degli ingredienti essenziali per la vita: la presenza di acqua allo stato liquido. Infatti, nel lato oscuro dei pianeti in risonanza mareale, la notte perpetua produrrebbe temperature molto basse che causerebbero il congelamento dell’acqua mentre il lato del pianeta sempre rivolto verso la stella potrebbe essere troppo caldo perché l’acqua rimanga a lungo prima di divenire vapore. In queste condizioni, la vita è difficile che si riesca a sviluppare. Non impossibile, ma difficile. In un nuovo studio, Ana Lobo, ricercatrice di post-dottorato presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’UCI e Aomawa Shields, professore associato di fisica e astronomia dell’UCI, hanno condotto delle simulazioni per comprendere meglio il comportamento del clima dei pianeti in risonanza utilizzando un software specifico per modellare il clima del nostro pianeta, ma con alcuni aggiustamenti, come, ad esempio, il fatto che la rotazione del pianeta è rallentata dalla vicinanza della stella madre. Il risultato è stato che, effettivamente, questi pianeti possono sostenere climi abitabili confinati in questa regione terminatore.
Questo studio ci racconta che non sono soltanto i pianeti con oceani a poter ospitare la vita, ma anche i pianeti le cui condizioni medie non sono proprio ottimali, ma che nascondono al loro interno, delle vere e proprie oasi. Anche se non possiedono oceani diffusi, potrebbero avere laghi o altri specchi più piccoli di acqua allo stato liquido.
Acqua. Si torna sempre all’acqua. Ovviamente, se il pianeta è per lo più coperto d’acqua, allora l’acqua rivolta verso la stella probabilmente evaporerebbe e coprirebbe l’intero pianeta in uno spesso strato di vapore mentre se c’è molta terra sul pianeta, lo scenario è proprio quello descritto in precedenza. Ed il clima adatto alla vita, nella zona del terminatore, potrebbe anche essere stabile.
Questo però significa che la vita, non essendo distribuita sulla loro intera superficie, si concentrerebbe in una ristretta fascia, con la conseguente presenza di biofirme solo in parti specifiche dell’atmosfera del pianeta.
Quello che è certo è che questo lavoro aiuterà anche a selezionare i target futuri per i telescopi come il James Webb Space Telescope o il Large Ultraviolet Optical Infrared Surveyor telescope, attualmente in fase di sviluppo alla NASA, ed aumentare le possibilità di trovare e identificare correttamente un pianeta abitabile.
Per approfondire: Ana H. Lobo et al, “Terminator Habitability: The Case for Limited Water Availability on M-dwarf Planets”, The Astrophysical Journal (2023).