Un campione di una pallasite ritrovata nel deserto di Atacama, Cile.

Sembrano veri e propri gioielli caduti sulla Terra dallo spazio. Le pallasiti, rare (ne sono stati raccolti solo 61 esemplari) e bellissime meteoriti, contengono cristalli giallo/olivastri, di un minerale chiamato appunto olivina, incastonati in una matrice a base di ferro e nichel. Identificate per la prima volta oltre 200 anni fa dal tedesco Peter Pallas (cui devono il nome), da allora affascinano gli scienziati che si domandano da cosa derivi la loro struttura, così diversa da quella di tutti gli altri metoriti.

L’ipotesi più accreditata era che si fossero formati sulla linea di passaggio tra nucleo ferroso e mantello roccioso in qualche pianeta o asteroide dalla struttura differenziata. È lì che ferro, nichel e olivina (a sua volta un minerale composto di silicio, ossigeno e ferro o magnesio) più probabilmente possono incontrarsi.

Ma uno studio pubblicato su Science e firmato da John Tarduno dell’Università di Rochester, negli Stati Uniti, ribalta letteralmente la teoria e suggerisce che la loro origine vada ricondotta piuttosto all’impatto tra un asteroide minore e un pianeta grande più o meno un trentesimo della Terra. Il fatto che i granelli metallici dell’olivina siano tutti polarizzati magneticamente nella stessa direzione, in particolare, è quello che ha portato i ricercatori a concludere che le pallasiti debbano essersi formate lontano dal nucleo del pianeta o asteroide.

“Crediamo che la matrice di ferro e nichel nelle pallasiti derivi dalla collisione con un asteroide” confemra Francis Nimmo, professore all’Università della California a Santa Cruz e coautore dello studio. “Il ferro fuso proveniente dall’asteroide più piccolo è stato iniettato nel mantello del corpo più grande, creando la trama che ora osserviamo nelle pallasiti”.

“Prima si pensava che il ferro proveniente dal nucleo fosse stato in qualche modo ‘spremuto’ all’interno dell’olivina del mantello” chiarisce Tarduno “ma i granelli magnetici nell’olivina mostrano che non è così”. Infatti, per magnetizzare in quel modo i granelli doveva esserci un nucleo di ferro fuso in grado di creare un campo magnetico. Ma le temperature sulla linea di confine tra nucleo e mantello sono troppo alte perché avvenga la magnetizzazione. Quindi le pallasiti devono essersi formate più vicino alla superficie.

Non solo: riscaldando i materiali fino a far perdere loro la magnetizzazione, i ricercatori sono riusciti a misurare la forza del camp magnetico che li aveva originariamente polarizzati, e quindi le dimensioni del pianeta colpito dall’impatto con l’asteroide: doveva essere di circa 200 km di diametro, trenta volte più piccolo della Terra.