Non solo li hanno visti: ne hanno pure catturato la firma chimica. Ed è una firma che lascia sbalorditi. Oggetto di quest’impresa notevole, i cui risultati sono usciti sull’ultimo numero di The Astrophysical Journal, è il sistema planetario in orbita attorno a HR 8799, una stella a 128 anni luce dalla Terra. Di pianeti extrasolari e di sistemi planetari se ne conoscono a centinaia, ma nella maggior parte dei casi ciò che di essi è possibile osservare è solo un’ombra, un effetto indiretto: come l’occultazione della stella ospite, o le perturbazioni gravitazionali che essa subisce. A maggior ragione, dunque, quest’osservazione ha una portata storica: per la prima volta non solo sono stati osservati direttamente quattro pianeti, ma si sono pure ottenuti i loro spettri. Tutto in un colpo solo.

In queste immagini, il procedimento seguito per ottenere gli spettri. (i) il telescopio punta la stella: si può notare l’ombra del coronografo; (ii) viene attivato il sistema di ottica adattiva: l’immagine diventa molto più nitida; (iii) la stella viene occultata dal coronografo e si dà inizio a un’esposizione di 5 minuti; (iv) viene calibrato il sensore di fronte d’onda, che permette la rimozione degli effetti dovuti a difetti delle ottiche; (v) i dati vengono processati da un algoritmo sviluppato ad hoc, ed emergono chiaramente i quattro pianeti.

Per ottenerli, gli astronomi hanno fatto ricorso a una suite di strumenti e software, battezzata Project 1640, installata sul telescopio Hale, in California, al Palomar Observatory. Una suite composta, anzitutto, da un sistema di ottica adattiva avanzatissimo, capace di correggere milioni di volte al secondo le aberrazioni introdotte dalla turbolenza dell’atmosfera terrestre. Poi un coronografo, in grado di rimuovere con precisione l’accecante luce della stella madre, da 1 a 10 milioni di volte  più intensa di quella dei pianeti. Ancora, uno spettrografo che sforna immagini al ritmo di 30 al secondo. E, infine, un sensore di fronte d’onda.

Ma cosa ci dicono, gli spettri così ottenuti? In breve, che là fuori la natura mostra una varietà inaspettata: un apparente squilibrio chimico tale da rimettere in discussione cos’è normale e cosa no. Ammoniaca e metano, per esempio: ci si attendeva che le due molecole, in mondi dalle temperature non troppo estreme, tendessero a convivere, seppure in proporzioni variabili. E invece è saltato fuori che nei quattro pianeti attorno a HR 8799 può esserci anche solo l’una o solo l’altro. Questo nonostante la temperatura media sia, almeno secondo gli standard astronomici, relativamente tiepida: di poco superiore ai 700 gradi. C’è poi dell’anidride carbonica, e fin qui nulla d’anomalo, ma anche dell’acetilene: una molecola mai osservata prima in un pianeta extrasolare.

«Sono risultati molto strani», conferma il primo autore dell’articolo, Ben Oppenheimer, dell’American Museum of Natural History. «Questi pianeti caldi e “rossi” sono diversi da qualsiasi altro oggetto dell’universo conosciuto. Tutti e quattro hanno spettri diversi fra loro, e tutti e quattro mostrano peculiarità. Insomma, i teorici avranno parecchio da lavorare».

Provando a riassumerlo schematicamente, ecco l’insolito quartetto che s’è parato innanzi a Oppenheimer e colleghi: assegnando ai quattro pianeti le lettere da ‘b’ a ‘e’, come fanno gli astronomi, risulta che ‘b’ sembra aver tutto fuorché il metano, a ‘c’ mancano sia il metano sia l’anidride carbonica, a ‘d’ difetta invece l’ammoniaca mentre ad ‘e’ mancano ammoniaca e metano. In compenso, sembra che su tutti ci sia un cielo almeno parzialmente nuvoloso, come si deduce dall’abbondanza della componente “rossa” negli spettri. E per fortuna, verrebbe da dire, visto che la stella ospite, HR 8799, oltre a esibire un comportamento quanto mai ballerino (la sua luminosità varia dell’8% in appena due giorni), emette raggi ultravioletti in quantità mille volte superiore al Sole.

Una buona crema protettiva, in ogni caso, non basterebbe, spiega Ian Parry, della Cambridge University, fra i coautori dell’articolo: «Dagli spettri si deduce chiaramente che questi quattro mondi sono troppo tossici e troppo caldi per ospitare la vita come noi la conosciamo. Ma la cosa veramente interessante sono le prospettive delle tecniche che abbiamo sviluppato: tecniche che un giorno saranno in grado di offrirci la prima prova certa dell’esistenza della vita su un pianeta al di fuori del sistema solare».

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