I sistemi planetari nati in regioni di formazione stellare dense e massicce ereditano notevoli quantità di alluminio-26, che ne asciuga i “mattoni” prima dell’accrescimento (a sinistra). I pianeti nati invece in regioni di formazione stellare di piccola massa raccolgono numerosi corpi ricchi di acqua ed emergono come mondi oceanici (a destra). Crediti: Thibaut Roger

L’acqua è un elemento essenziale per la vita. Sul nostro pianeta copre più dei due terzi della superficie: verrebbe da dire, dunque, che ce n’è in abbondanza. Tuttavia, non è così – o meglio, non è così in termini astronomici. I pianeti rocciosi del Sistema solare, infatti, appaiono veramente asciutti. E fortunatamente per noi – si potrebbe dire – se si considera l’alternativa a questa condizione: perché se il contenuto dacqua interna di un pianeta è significativamente maggiore di quello terrestre, il suo mantello – in geologia e in geofisica, l’involucro che si trova tra la crosta (più superficiale) e il nucleo (più interno) – sarebbe coperto da un oceano profondo caratterizzato da impenetrabili strati di ghiaccio. Strati che, prevenendo processi geochimici, come ad esempio il ciclo del carbonio, impedirebbero la formazione di un clima stabile e delle condizioni superficiali favorevoli alla vita così come la conosciamo. Come si dice in questi casi, il “troppo stroppia”. Ci si chiede, dunque: quali sono i meccanismi in gioco che hanno permesso alla Terra di diventare ciò che è, impedendo che diventasse un mondo oceanico ghiacciato e inospitale?

La risposta è deducibile dai risultati ottenuti dal team di ricerca del National Centre of Competence in Research PlanetS (Nccr PlanetS) utilizzando modelli al computer per simulare la formazione dei pianeti dai loro blocchi di costruzione, i cosiddetti planetesimi: corpi rocciosi e ghiacciati dalle dimensioni di dozzine di chilometri che si formano nel disco di polveri e gas attorno a giovani stelle, e che successivamente – a seguito del processo di accrescimento – diventeranno dei pianeti embrionali.

«Oggi si ritiene che la Terra abbia ereditato la maggior parte della sua acqua dai planetesimi, che ne contenevano in quantità relativamente abbondanti», dice Tim Lichtenberg, ricercatore dell’università di Oxford e primo autore dell’articolo, «ma se un pianeta terrestre accresce molto materiale oltre la cosiddetta linea di neve, l’acqua che riceve è troppa, e diventa un mondo ghiacciato». Tuttavia, se questi planetesimi vengono riscaldati dall’interno, parte del loro contenuto iniziale del ghiaccio dacqua evapora prima che esso sia inglobato nel pianeta stesso, producendo pianeti rocciosi come la Terra e non pianeti ghiacciati inospitali alla vita. Questo è esattamente il processo che potrebbe essere avvenuto nel nostro pianeta durante la sua formazione dopo la nascita del Sistema solare, 4.6 miliardi di anni fa, e che può essere ancora in corso in numerosi altri sistemi planetari».

Schema che mostra gli effetti dell’arricchimento con alluminio-26 dei planetesimi durante l’accrescimento planetario. A sinistra, sistemi planetari poveri di Al26; a destra, sistemi planetari ricchi di Al26. RP è il raggio planetario. Le frecce indicano rispettivamente: la capacità di accrescimento (al centro), il contenuto di acqua planetesimale (in basso a destra, blu-marrone) e il contenuto di alluminio 26 (in basso a destra, rosso-bianco). Crediti: Tim Lichtenberg et al., Nature Astronomy, 2019

Ma chi o che cosa avrebbe prodotto questa “asciugatura” del planetesimo che – sottraendo la sua quota di ghiaccio dacqua – avrebbe favorito la formazione della Terra così come la conosciamo impedendo l’evoluzione in un mondo ghiacciato? Secondo gli autori dello studio, la responsabile sarebbe stata una esplosione di supernova avvenuta nelle vicinanze cosmiche durante la formazione del nostro proto-Sole.

Elementi radioattivi – incluso l’isotopo radioattivo dell’alluminio-26 – contenuti nella massiccia stella morente esplosa sarebbero stati iniettati nel giovane Sistema solare o dai venti stellari o dagli ejecta dell’esplosione stessa. Successivamente, il decadimento radioattivo dell’alluminio-26 avrebbe riscaldato e asciugato l’acqua contenuta nel planetesimo dal quale si sarebbe formata la Terra, facendo in modo che essa diventasse come oggi la vediamo.

Attraverso i loro modelli, i ricercatori hanno simulato la formazione di migliaia di pianeti e investigato, in particolare, il loro contenuto finale di acqua, dimostrando che proprio questo riscaldamento radiogenico – cioè il riscaldamento dovuto alla produzione di calore a seguito del decadimento dell’alluminio 26 – abbia sistematicamente disidratato i planetesimi prima che questi diventassero pianeti primordiali.

«I risultati delle nostre simulazioni», conclude il ricercatore, «suggeriscono che esistano due tipi qualitativamente diversi di sistemi planetari: quelli simili al Sistema solare, dove i pianeti hanno poca acqua, e quelli, invece, in cui si sono formati mondi oceanici perché nessuna stella massiccia – e quindi nessun isotopo radioattivo dell’alluminio – era presente nei dintorni del sistema planetario in formazione. La presenza di alluminio-26 durante la formazione planetaria potrebbe, dunque, aver comportato una differenza di un ordine di grandezza nel bilancio di acqua tra le due specie di sistemi planetari. Ulteriore studi potranno sempre più aiutarci a comprendere se il nostro pianeta sia unico nel suo genere o se, invece, ci siano un’infinità di mondi dello stesso tipo».

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Coelum Astronomia di Febbraio 2019
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