Poco meno di 150 milioni di chilometri ci separano dal Sole, e questo è un dato da tempo assodato. Ma dopo la XXVIII Assemblea Generale dell’International Astronomical Union (IAU), tenutasi a Pechino (Cina) lo scorso agosto, gli astronomi di tutto il mondo hanno rivisto leggermente il valore di questa distanza, un’unità di misura molto usata in astronomia, appunto l’unità astronomica (UA): il nuovo valore è di 149.597.870.700 metri, niente di più, niente di meno.

Con la precisazione di questa distanza, si è conclusa una diatriba scientifica che durava ormai da secoli, sin dal lontano 1672,quando l’astronomo italiano Giovanni Cassini misurò la distanza Terra-Sole, grazie alla collaborazione del suo collega Jean Richer. I due osservarono Marte da due posizioni diverse, e misurando la parallasse, o differenza angolare, tra le due osservaioni calcolarono indirettamente la distanza della Terra dal Sole.

Nel corso dei secoli, grazie all’evolversi delle strumentazioni, le osservazioni e le misurazioni si fecero più accurate, ma fino alla metà del secolo scorso il metodo della parallasse era l’unico possibile per le misurazioni all’interno del Sistema solare. Con il passare del tempo la misura divenne più precisa (coinvolgendo anche il calcolo della massa della nostra stella madre), ma l’avvento delle teorie di Einstein, che implicano che il tempo-spazio è relativo e dipende dalla posizione dell’osservatore e che inoltre il Sole, irraggiando energia, perde massa, complicarono i calcoli. L’ultima definizione ufficiale della UA era “il raggio di una orbita Newtoniana circolare, non perturbata descritta attorno al Sole da una particella di massa infinitesima, che si muova mediamente di  0,01720209895 radianti al giorno (o costante di Gauss).

La nuova definizione è finalmente assoluta, espressa nel sistema metrico decimale e non dipendente dalla massa del Sole. Il metro è infatti a sua volta definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un 299.792,458mo di secondo.