In questa impressione artistica due piccole ma estremamente dense stelle a neutroni stanno per fondersi ed esplodere in una kilonova! Un evento estremamente raro capace di produrre dia onde gravitazionali, che lampi gamma di breve durata, entrambi osservati il 17 agosto di quest'anno, dalla collaborazione LIGO-Virgo e dai telescopi Fermi e INTEGRAL rispettivamente. Le successive osservazioni con numerosi telescopi dell'ESO hanno confermato la natura di kilonova dell'oggetto, ospitata nella galassia NGC 4993, a circa 130 milioni di anni luce da noi. Sono le kilonovae le fonti principali nell'universo degli elementi chimici più pesanti, come l'oro e il platino. Crediti: University of Warwick/Mark Garlick

I rumors giravano già qualche tempo fa, quando si è avuta la conferma del quarto evento di onde gravitazionali rivelato da LIGO e primo per l’interferometro di Cascina Virgo, un twit lasciava pensare che ci fosse dell’altro, che un altro evento fosse stato registrato e che ci fosse anche l’osservazione della controparte visuale… e finalmente è arrivata la conferma, che va oltre le aspettative! È stata effettuata la prima osservazione diretta della controparte visibile di una sorgente di onde gravitazionali, ovvero… si è riuscito a vedere da dove ha avuto origine e cos’è rimasto di quell’evento.

La correlazione tra le due osservazioni, gravitazionale ed elettromagnetica, è stata possibile grazie a una collaborazione globale e alla rapida reazione di tutti gli enti e gli osservatori partecipanti.

Ma andiamo con ordine, il 17 agosto 2017 l’interferometro LIGO negli Stati Uniti, in collaborazione con l’Interferometro Virgo in Italia, ha ottenuto la quinta rivelazione di onde gravitazionali, a cui è stata data la sigla GW170817. Solo due secondi più tardi, due Osservatori spaziali, il telescopio spaziale a raggi gamma Fermi, della NASA, e INTEGRAL dell’ESA hanno raccolto un lampo gamma di breve durata proveniente dalla stessa zona di cielo.

Grazie all'avvio delle attività dell'interferometro Virgo, nell'agosto 2017, è stato possibile restringere l'area di provenienza del segnale delle onde gravitazionali rivelate da LIGO. Sullo sfondo un'immagine tridimensionale della Via Lattea, centrata su di noi, sulla sfera celeste sono evidenziate le aree di provenienza delle onde gravitazionali rivelate fin'ora. In giallo l'area ben più limitata, identificata dalla collaborazione dei due interferometri, dell'onda di cui è stata trovata anche la controparte visuale. Crediti: LIGO/Virgo/NASA/Leo Singer/Axel Mellinger

L’area di provenienza di un’onda gravitazionale è sempre molto ampia, da qui la difficoltà a individuarne con esattezza l’origine, e in questo caso, proprio grazie alla collaborazione LIGO-Virgo, si è riusciti a identificarla in modo più preciso, con una regione del cielo meridionale comunque ancora ampia: circa 35 gradi quadrati, quanto svariate centinaia di lune piene e contenente milioni di stelle….

Dal Cile, appena calata la notte, si sono attivati diversi telescopi, per osservare a tappeto quell’area di cielo, alla ricerca di una sorgente. Tra gli altri: il telescopio nell’infrarosso e nel visibile VISTA dell’ESO e il VLT Survey all’Osservatorio Paranal, il telescopio italiano REM (Rapid Eye Mount) a La Silla dell’ESO, il telescopio da 0,4 metri LCO dell’Osservatorio di Las Cumbres e il DECam dell’Osservatorio Interamericano di Cerro Tololo. Ma il primo ad annunciare la presenza di un nuovo punto di luce è stato il telescopio da 1 metro Swope, quasi in contemporanea con le osservazioni di VISTA all’infrarosso.

La fonte sembrava molto vicina a NGC 4993, una galassia lenticolare nella costellazione dell’Idra, e man mano che la notte si è spostata verso ovest altri Osservatori da terra si sono attivati: dalle Hawaii, i telescopi Pan-STARRS e Subaru l’hanno individuata potendone anche osservare la rapida evoluzione.

Nella cartina l'Idra, la più ampia costellazione del cielo. La maggiorparte delle sue stelle sono visibili a occhio nudo, sotto un cielo buio. Il cerchietto rosso indica la posizione della galassia NGC 4993, che ha ospitato la kilonova GW170817. NGC 4993 può essere vista come una macchiolina molto tenue solo attraverso una buona strumentazione amatoriale. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope

«Ci sono rare occasioni in cui uno scienziato ha la possibilità di assistere all’inizio di una nuova era», osserva Elena Pian, astronomo dell’INAF e autore principale di uno degli studi pubblicati su Nature. «Questo è uno di quelli!».

Nel diagramma la copertura delle differenti lunghezze d'onda dei numerosi strumenti dell'ESO che hanno osservato l'esplosione della kilonova in NGC 4993. Crediti: ESO

La galassia sarebbe presto stata troppo vicino al Sole per essere osservata, l’evento si sarebbe potuto seguire solo entro la fine di agosto, e alla improvvisa chiamata all’osservazione dell’ESO, una delle più ampie che siano mai state fatte, hanno risposto in molti tra gli Osservatori dell’ESO stesso e dei suoi partner: oltre al VLT anche il New Technology Telescope (NTT), il VST, il telescopio da 2,2 metri MPG e ALMA (l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e più di 70 Osservatori in tutto il mondo, incluso il telescopio spaziale Hubble (NASA/ESO). Tutti hanno osservato l’evento, la sua evoluzione e i suoi effetti su un ampio spettro di lunghezze d’onda (qui un elenco degli strumenti di alcuni osservatori utilizzati).

La galassia NGC 4993 ripresa da diversi strumenti e telescopi ESO, tutti rivelano la debole fonte di luce vicino al nucleo luminoso della galassia (sulla sinistra in alto). Oltre ad essere vista da Terra, l'esplosione, chiamata kilonova, ha prodotto sia onde gravitazionali, rivelate dagli interferometri di LIGO-Virgo, sia lampi gamma raccolti da Fermi e INTEGRAL dallo spazio. Credit: VLT/VIMOS. VLT/MUSE, MPG/ESO 2.2-metre telescope/GROND, VISTA/VIRCAM, VST/OmegaCAM

Sia le osservazioni telescopiche che quelle gravitazionali concordano sulla distanza dell’evento: l’onda è stata generata alla stessa distanza in cui si trova NGC 4993, circa 130 milioni di anni luce dalla Terra. Una conferma che la rende anche la sorgente più vicina di un’onda gravitazionale rivelata, e anche di uno tra i più brevi raggi gamma mai visti.

C’è da dire che un’onda gravitazionale di questo genere difficilmente avremmo potuto rivelarla se fosse stata più distante, era infatti significativamente più debole delle prime quattro. L’ipotesi quindi è che l’origine sia stata non la fusione di coppie di buchi neri, come nelle prime quattro onde rivelate, ma una kilonova, un evento esplosivo luminoso 1000 volte più di una nova generata dalla fusione di due stelle a neutroni.

L’onda gravitazionale viene generata dal rilascio di energia del movimento dei due oggetti massici, come sono le stelle a neutroni, ma per poter essere sufficientemente ampia da essere “vista” dalla nostra strumentazione deve essere amplificata da un evento catastrofico, come l’improvvisa accelerazione dei due oggetti sul punto di fondersi e la conseguente esplosione di energia generata.

In aggiunta a questo, l’ipotesi principale per spiegare i lampi gamma di breve durata, vede proprio come sorgente la fusione di questo tipo di stelle. Le kilonovae sono quindi oggetti teorizzati da lungo tempo, più di 30 anni fa, ma non se ne era ancora mai osservata una, e la rilevazione simultanea del lampo gamma e dell’onda gravitazionale ha fatto pensare che forse la fine della caccia alla kilonova era vicina. Ma è grazie alle osservazioni dei telescopi ESO, che hanno rivelato una serie di proprietà dell’evento molto vicine a quelle delle previsioni teoriche, che se ne è potuta confermare l’identità.

In questo mosaico la kilonova (cliccare per ingrandire) diventa sempre più rossa fino a scomparire in una settimana circa dalla sua esplosione, il 17 agosto 2017. Questa immagine è stata ottenuta dal telescopio a infrarossi di VISTA, nell'Osservatorio cileno Paranal dell'ESO. Credit: ESO/N.R. Tanvir, A.J. Levan and the VIN-ROUGE collaboration

A seguito della fusione delle due stelle di neutroni, l’energia liberata ha provocato un’esplosione di elementi chimici pesanti in rapida espansione, a quasi un quinto della velocità della luce. La kilonova si è mostrata all’osservazione in un rapido cambiamento di colore dal profondo blu al profondo rosso nell’arco di una sola settimana, più repentino di qualsiasi altra esplosione stellare osservata.

«Quando lo spettro è apparso sui nostri schermi ho capito che si trattava dell’evento transitorio più insolito che avessi mai osservato», racconta  Stephen Smartt, che ha condotto le osservazioni con il NTT dell’ESO, all’interno del progetto ePESSTO, una survey spettroscopica di oggetti transienti. «Non avevo mai visto niente di simile. I nostri dati, insieme a dati provenienti dagli altri gruppi, hanno dimostrato a tutti che questa non era una supernova o una stella variabile in primo piano, ma era qualcosa di molto notevole».

L’analisi degli spettri ha poi suggerito la presenza tra i resti diffusi nello spazio dall’esplosione di cesio e tellurium, indici della formazione di metalli più pesanti del ferro in reazioni nucleari all’interno di nuclei stellari a così alta densità, una nucleosintesi chiamata processo r anch’essa fin’ora solo teorizzata… per la prima volta abbiamo potuto assistere alla dispersione di questi elementi nello spazio e confermarne quindi la provenienza.

La fusione di due nuclei stellari ad altra densità, produce una violenta esplosione chiamata kilonova. SDa un evento del genere ci si aspetta l'espulsione nello spazio di elementi chimici pesanti, che alcuni dei quali vediamo indicati nell'illustrazione assieme al loro numero atomico. Credit: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser

Non deve stupire quindi che la notizia sia stata data in contemporanea da più fonti: tre eventi simultanei che si sono tenuti a Washington, con la conferenza stampa organizzata dalla collaborazione scientifica LIGO-VIRGO presso la National Science Foundation (NSF), a Monaco con la conferenza stampa dell’ESO (European Southern Observatory) nel suo quartier generale di Garching, e a Venezia dove si terrà una conferenza stampa organizzata dall’ESA (European Space Agency).

In un colpo solo sono tanti i risultati raggiunti, tante le previsioni e le teorie che trovano conferma e il tutto grazie a una inter-collaborazione senza precedenti di progetti e strumentazioni capaci di raccogliere e analizzare diversi tipi di segnali.

«I dati analizzati fin’ora corrispondono sorprendentemente alla teoria. È un trionfo per i fisici teorici, una conferma che gli eventi rivelati dalla collaborazione LIGO-Virgo sono assolutamente reali e un risultato sorprendente per l’ESO nell’aver raccolto tali quantitò di dati sulle kilonovae», aggiunge Stefano Covino, autore principale di uno degli studi su Nature Astronomy.

L’ultima parola a Andrew Levano, autore principale di un altro degli studi pubblicati: «La grande forza dell’ESO è stata di avere a disposizione una vasta gamma di telescopi e strumenti in grado di affrontare grandi e complessi progetti astronomici e di farlo in tempi brevi. È l’inizio di una nuova era di una astronomia “multimessaggero”!».


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