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Una nuova supernova nella galassia Messier 100

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M 100 e la supernova esplosa (indicata dai trattini) in una immagine di Rolando Ligustri. Rolando Ligustri in remoto dal New Mexico con un telescopio Dall- Kirkham 500mm F.4,5 ccd PL11002 tempi posa colore RGB 120+120+120 secondi – Tempi di posa Luminanza 2x300 secondi.
M 100 e la supernova esplosa (indicata dai trattini) in una immagine di Marco Burali e Patrizio Giusti - Luminanza: combinazione di segnali ripresi con TS 130mm F.7 ccd G2 8300 + Takahashi RC 300mm F.7,8 ccd FLI 1001e Tempi di posa 70+240 minuti. Informazione colore RGB: TOA 150mm F.5,8 ccd G2 4000 tempi di posa 60+60+60 minuti.

Nella notte del 29 aprile il bravo astrofilo polacco dal nome impronunciabile Jarosław Grzegorzek mette a segno la sua scoperta numero 11 individuando una supernova di mag. +16,5 nella stupenda galassia a spirale M 100.

Si tratta di una delle più belle galassie a spirale del catalogo di Messier, vista di faccia e distante circa 55 milioni di anni luce nella costellazione della Chioma di Berenice (che anche questo mese è protagonista della rubrica di approfondimento di Stefano Schirinzi su Coelum astronomia 233).

Un campo più ampio per Gianpiero Locatelli con un telescopio Schmidt-Cassegrain 250mm F.6,3 Tempi di posa colore RGI 30+30+30 minuti

Scoperta da Pierre Méchain il 15 marzo 1781, rappresenta una delle principali galassie starburst cioè con un’elevata attività di formazione stellare. Possiede due galassie satelliti NGC4328 e NGC4322 che sembrerebbero collegate ad essa con dei ponti di materia, ed è accompagnata a 17’ a sud da un’altra galassia a spirale NGC4312. La vicinanza però è solo prospettica, perché NGC4312 è in realtà molto più vicina (circa 25 milioni di anni luce) rispetto a M 100.

Dopo M 61, che con 7 supernovae conosciute, detiene il record di supernovae esplose in una galassia Messier, con questa nuova scoperta M 100 si posiziona al secondo posto, raggiungendo M 83 con 6 supernovae esplose al suo interno.

Le cinque precedenti sono state, in ordine cronologico, la SN1901B che rappresenta in assoluto la quinta supernova extragalattica scoperta e la seconda esplosa in una galassia Messier dopo la primissima SN1885A in M 31. Proseguendo, abbiamo avuto la SN1914A, la SN1959E, la SN1979C e la SN2006X scoperta dal giapponese Shoji Suzuki e dal cortinese Marco Migliardi.

Qui le vediamo riprese in una immagine di Rolando Ligustri. Ripresa in remoto dal New Mexico con un telescopio Dall- Kirkham 500mm F.4,5 ccd PL11002 tempi posa colore RGB 120+120+120 secondi – Tempi di posa Luminanza 2x300 secondi.

Tornando all’attuale supernova polacca, denominata SN2019ehk, nella notte seguente la scoperta, dal Lick Observatory sul monte Hamilton in California, con il telescopio Shane da 3 metri, è stato ottenuto il primo spettro che ha permesso di classificare la supernova di tipo II core-collapse giovane cioè scoperta pochi giorni dopo l’esplosione evidenziando un forte assorbimento dovuto a polveri interstellari.

Nella notte del 1° maggio anche gli astronomi di Asiago, con il telescopio Copernico da 1,82 metri, hanno ripreso lo spettro di questa importante supernova, confermando il tipo II e il forte assorbimento, ed evidenziando che i gas eiettati dall’esplosione viaggiano a una velocità di circa 15.000 km/s.

Ma quale sarà il sottotipo di questa tipo II?
Per adesso è ancora presto per poterlo affermare. Una supernova di tipo II alle prime fasi è infatti difficile da catalogare, ancor di più se la polvere interstellare interferisce, andando ad estinguere la luce soprattutto alle lunghezze d’onda di 6000 Angstrom, proprio quelle dove si formano tutte le righe nelle prime fasi: He II, He I e tutte le righe di Balmer eccetto H-Alpha. Bisognerà perciò attendere i prossimi giorni o settimane. Se si formeranno le righe di He I nella parte rossa dello spettro, avremo una IIb. Se l’H-Alpha non svilupperà una componente in assorbimento, nè He I, saremo di fronte ad una II-L. Se infine svilupperà un plateau fotometrico potremo assegnarla al sottotipo II-P.

Una bella immagine della SN2019ehk, ottenuta da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F.5,5 somma di 25 immagini da 75 secondi.

Nei giorni seguenti la scoperta, la supernova è leggermente aumentata di luminosità raggiungendo la mag. +15,5 ma difficilmente riuscirà a diventare più luminosa della mag. +15, sempre a causa del forte assorbimento causato dalle polveri.

Rimane comunque una bella supernova in una stupenda e fotogenica galassia, per di più visibile già in prima serata, che ci permetterà di ottenere delle bellissime immagini.


➜ Leggi anche su Coelum astronomia di maggio: Finalmente! Una nuova scoperta amatoriale italiana.


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Coelum Astronomia di Maggio 2019
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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

10.05 e 24.05: Il cielo al castello di Montarrenti
Come ogni secondo e quarto venerdì del mese, dalle ore 21.30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna prossima al primo quarto (giorno 10) e alle galassie primaverili (giorno 24). Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

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Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

09/05/2019, 09:00 – 12:00, Napoli – Osservatorio Astronomico di Capodimonte
La geologia di Marte – Conversazioni di Fisica a Capodimonte
Una panoramica delle principali strutture geologiche superficiali e dei metodi usati per studiarle e per ricostruire la sua interessante storia geologica. Relatori: Ciprian Popa e Simone Silvestro.
Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

Tre giorni con la sottile falce di Luna e Marte nel Toro

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Sarà molto bello seguire l’evoluzione dell’incontro tra la Luna e il pianeta Marte, che avverrà in prima serata (consigliamo le ore 21:10-21:15) nella prima decade del mese di maggio. Lo scorcio di cielo che farà da teatro per questo balletto celeste sarà quello occidentale, dove le grandi costellazioni invernali – Orione e Toro su tutte – stanno tramontando e, mentre ci salutano, ci donano un’ultima scusa per osservarle o fotografarle.

Iniziamo il giorno 6, quando una sottilissima falce di Luna (fase del 4%) si troverà proprio all’interno della “V” tracciata dalle Iadi, nella costellazione del Toro, a poco più di mezzo grado a nord-nordest della stella Delta Tauri (mag. +3,75) e a 2° 50’ a sudovest dalla ben più brillante Aldebaran (Alfa Tauri, mag. +0,85). La falce di Luna sarà davvero sottilissima e sarà un piacere riprenderla per gli appassionati “cacciatori” di falci sottili.

Passiamo ora al 7 maggio: la falce di Luna si è spostata più in alto (circa 18° di altezza complessiva) e si è fatta più decisa (fase del 9%). Sarà facile individuare a poca distanza da essa (circa 5° a nord-nordovest) il pianeta Marte (mag. +1,7), con il suo colore spiccatamente arancio che crea un bel connubio cromatico, se osservato più ad ampio campo, con le stelle Aldebaran e Betelgeuse (Alfa Orionis, mag. +0,45), situate a una quindicina di gradi o poco più da esso.

Concludiamo questo dinamico quadro astrale il giorno 8 maggio, quando la Luna, ormai in fase del 16% avrà sovrastato tutti i soggetti precedentemente descritti. In questa occasione sarà possibile osservarla e riprenderla anche in luce cinerea.

Sarà molto piacevole e suggestivo osservare di giorno in giorno l’evoluzione di questo incontro e immortalare in una fotografia (o più) le grandi costellazioni di Orione e del Toro (con i Gemelli e l’Auriga poco più in alto) mentre tramontano, in compagnia di elementi naturali o architettonici del paesaggio circostante. Per questa occasione, anche la rubrica di Giorgia Hofer è dedicata alla ripresa di Marte nel paesaggio:

➜ Astrofotografia: È la volta di Marte, il Pianeta Rosso

Ma torneranno utili anche puntate precedenti come:

Fotografiamo le sottili Falci di Luna

Fotografare la Luce Cinerea della Luna

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio 2019

➜ La Luna di Maggio 2019 e una guida all’osservazione del Sinus Medii

➜ La Chioma di Berenice (II parte): l’ammasso stellare della Chioma e le sue stelle.



Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 233

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La Luna di Maggio 2019 e una guida all’osservazione del Sinus Medii

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Le fasi della Luna in aprile, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in maggio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra).

Con il Novilunio la notte tra il 4 e il 5 maggio, inizia un nuovo ciclo lunare con la successiva Fase Crescente incrementando progressivamente la propria visibilità nelle ore serali. La Luna sarà in Primo Quarto il giorno 12 e arriverà al culmine della Fase Crescente col Plenilunio del 18 maggio. La successiva Fase Calante porterà il nostro satellite all’Ultimo Quarto il 26 maggio.

Approfondisci in la Luna di Maggio su Coelum Astronomia 233

A maggio osserviamo

11 maggio I crateri Heraclitus, Licetus e Cuvier

La prima proposta di questo mese, prevista per la serata dell’11 maggio col nostro satellite in fase di 7 giorni (il Primo Quarto è previsto per il giorno successivo alle 03:12), e a nostra disposizione fino alle prime ore della notte seguente, avrà come target una regione lunare di limitata estensione ma molto interessante. Si tratterà infatti di osservare un inconfondibile e fotogenico terzetto costituito dagli antichissimi crateri Heraclitus, Licetus, Cuvier. E ci accorgeremo che in realtà i crateri sono quattro…

➜ Continua con i dettagli dell’osservazione di Heraclitus, Licetus e Cuvier

12 maggio Il Sinus Medii

La seconda e principale proposta di questo mese è per la serata del 12 maggio, quando il nostro satellite, dalle 21:30 circa, sarà in fase di Primo Quarto.

A un’altezza iniziale di +55° dopo il transito in meridiano delle 20:17 a +58°, a nostra disposizione per tutta la serata e fino alle prime ore della notte successiva. Nel caso specifico andremo a osservare il Sinus Medii. Per quanto riguarda la Regione Polare Nord ne riparliamo tra qualche mese…

➜ continua su Guida all’osservazione del Sinus Medii

13 maggio Massima librazione nella Regione Polare Sud

Come terza proposta ho pensato di riproporre l’osservazione della Regione Polare Sud, considerato che la sera del 13 maggio il punto di massima Librazione coinciderà nuovamente con questa interessantissima regione lunare (la precedente si era verificata a marzo 2019), sempre oggetto di attenzioni da parte dei numerosi astrofili che seguono il nostro satellite.

Pertanto, chi intendesse approfondire ulteriormente l’osservazione delle strutture geologiche esistenti intorno al Polo Sud della Luna, o per chi si fosse perso per vari motivi il precedente appuntamento, questa potrebbe rivelarsi un’ottima occasione. Nel caso specifico, la sera del 13 maggio intorno alle 21:30 la Luna sarà in fase di 8,8 giorni a un’altezza iniziale di +53° poco dopo il transito in meridiano delle 21:10 a +54°.

➜ Vedi Massima librazione sud in Coelum astronomia 231 di marzo 2019

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio 2019

Una sottilissima falce di Luna, ripresa da Claudio Pra. L’età è di appena 18 ore e 37 minuti (fase dello 0,0068%)!

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna di Giorgia Hofer

➜ Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena di Giorgia Hofer

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!

E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 233

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

04.05: Il cielo di maggio.
Come ogni primo sabato del mese, l’appuntamento per il pubblico è alle ore 21.30 presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo del periodo. Al centro dell’attenzione nebulose, ammassi stellari e galassie. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione da effettuare on line sul sito www.astrofilisenesi.it oppure tramite Davide Scutumella 3388861549. In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

10.05 e 24.05: Il cielo al castello di Montarrenti
Come ogni secondo e quarto venerdì del mese, dalle ore 21.30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna prossima al primo quarto (giorno 10) e alle galassie primaverili (giorno 24). Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

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Venere e una sottilissima falce di Luna nelle luci dell’alba

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Maggio inizia con una bella congiunzione, piuttosto ampia (6° 15’ circa) tra una sottile falce di Luna (fase dell’8%) e il brillante pianeta Venere (mag. –3,9).

Sarà molto suggestivo scorgere il luminosissimo pianeta, ancora molto basso sull’orizzonte orientale (circa 5°), immerso nelle luci ambrate dell’alba ormai imminente.

La Luna si troverà leggermente più in basso, più verso est e sarà possibile vederne una sottile falce, quasi fosse una lama incandescente, rivolta proprio verso il pianeta. Considerata la scarsa altezza dei due astri, si consiglia di approfittare dell’occasione per includere elementi del paesaggio prossimi all’orizzonte, magari spingendo anche sugli ingrandimenti, così da creare interessanti effetti prospettici.

Possono essere utili i consigli di Giorgia Hofer di questo mese (anche se riferiti a Marte) oppure alcune rubriche precedenti:

➜ Sempre più basso sull’orizzonte, è la volta di Marte, il Pianeta Rosso

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Maggio 2019

➜ La Luna di Maggio 2019 e una guida all’osservazione del Sinus Medii



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C’è materia oscura nelle galassie?

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UGC 477, galassia a bassa luminosità superficiale (LSB). Crediti: NASA/ESA
UGC 477, galassia a bassa luminosità superficiale (LSB). Crediti: NASA/ESA

L’universo che continua a espandersi. Le stelle ai margini delle galassie che viaggiano a velocità superiore a quelle attese dalla teoria gravitazionale di Newton. Sono solo due dei fenomeni del cosmo che non trovano spiegazione, se non ipotizzando l’esistenza di una forza attrattiva esercitata da una massa mancante e invisibile, una materia oscura.

Nel 2016, però, un gruppo di ricercatori della Case Westerne Reserve University guidati da Stacy McGaugh ha analizzato un insieme di galassie e ipotizzato che la materia oscura non serva a spiegare quelle velocità discrepanti, fornendo una nuova spiegazione con la teoria della gravità modificata MOND (MOdified Newtonian Dynamics). L’ipotesi di McGaugh e colleghi fece scalpore: nelle galassie non c’è materia oscura. Un nuovo studio condotto dai ricercatori della SISSA di Trieste ora smentisce i risultati raggiunti da McGaugh e conferma: la materia oscura deve essere nelle galassie.

Materia oscura, c’è o non c’è nelle galassie?

L’esistenza della materia oscura e dell’energia oscura per spiegare le anomalie osservate nell’universo fu ipotizzata per la prima volta negli anni Settanta. A oggi si ritiene che la materia oscura costituisca circa il 27% dell’universo, mentre l’energia oscura è al 68% e la materia ordinaria solo il 5%. Esistono però solo prove indirette dell’esistenza della materia oscura nel cosmo, evidenziate come anomalie al comportamento atteso per una galassia o per l’espansione dell’universo se seguissero le leggi della gravità di Newton, poi riviste dalla relatività generale di Einstein.

Per alcuni ricercatori quindi l’osservare fenomeni non previsti dalla teoria gravitazionale implica che ci debba essere una qualche massa, chiamata oscura perché a noi invisibile e impossibile da misurare direttamente per ora, che eserciti una forza gravitazionale. Proprio quella forza necessaria a far sì che le leggi della gravità siano rispettate e verificate nell’universo, come nel caso delle anomalie delle velocità delle stelle nelle galassie a spirale.

Su Coelum Astronomia 210 di aprile 2017: Alla ricerca della Materia Oscura. La storia, la ricerca, le teorie principali e quelle alternative. Formato digitale e gratuito, semplicemente clicca e leggi.

Per altri ricercatori invece, la materia oscura non si trova nelle galassie a spirale, ma quelle anomalie possono essere spiegate da altre leggi della natura, come ad esempio la teoria sulla gravità newtoniana modificata o MOND, proposta nel 1983 dal fisico israeliano Mordehai Milgrom. Da allora molte sono state le teorie elaborate sulla modifica della seconda legge di gravità di Newton. I fisici ritengono che nella formula della forza è pari a massa per accelerazione vada introdotta una nuova costante, che dimensionalmente è un’accelerazione, in grado di spiegare il moto delle stelle escludendo la presenza di materia oscura nella galassia.

La discrepanza di velocità nelle galassie: la correlazione di McGaugh

Di quest’ultima teoria si è fatto portavoce McGaugh, che in uno studio pubblicato sulla rivista Physical Review Letters del 2016 sulle velocità di rotazione delle galassie ha scoperto una correlazione tra l’accelerazione centripeta osservata, determinata dalle curve di rotazione, e l’accelerazione centripeta prevista, che si desume dalla distribuzione della materia barionica, formata da stelle e gas. Tra le possibili spiegazioni di questa discrepanza, McGaugh inserì anche la possibilità che la materia oscura non esistesse nelle 153 galassie osservate per lo studio.

I ricercatori della Case Western Reserve University si sono così fatti portavoce di un dubbio, quello che alcuni fenomeni nelle galassie possano essere spiegati senza la materia oscura, anche se le prove a favore della sua esistenza sembrano essere maggiori. McGaugh in una intervista del 2017 a Simmetry Magazine spiegò: “Quando aderiamo a un particolare paradigma, la maggior parte dei nostri ragionamenti è confinata entro i suoi limiti e se incontriamo una situazione che richiede un cambiamento di punto di vista, ci risulta estremamente difficile pensare fuori dagli schemi. Anche se conosciamo le regole del gioco e sappiamo di dover essere pronti a cambiare idea, in linea teorica tutti proviamo a farlo, ma si tratta di cambiamenti di una mentalità così grandi che la nostra natura umana non riesce semplicemente a passare oltre”.

La conferma della SISSA: la materia oscura c’è

C’è però un problema con le teorie di McGaugh. Le sue osservazioni empiriche si sono dimostrate esatte per le galassie a spirale classiche, ma non sono verificate per gli ammassi di galassie più massicci o per galassie di altra natura, come quelle a bassa luminosità superficiale o le nane a disco. Un nuovo studio dei ricercatori della SISSA di Trieste guidato da Chiara Di Paolo e pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal smentisce la possibilità che la correlazione osservata da McGaugh non dipenda dalla materia oscura, confermandone così la presenza nelle galassie. Inoltre fornisce nuovi spunti sia per la comprensione della natura della materia oscura, che per lo studio della sua relazione con quella ordinaria.

Proprio dallo studio di McGaugh del 2016 su 153 galassie a spirale nasce la ricerca coordinata da Di Paolo, che in un comunicato spiega: “Analizzando le curve di rotazione di 153 galassie rotanti, principalmente le “classiche” spirali, hanno ottenuto una relazione empirica tra l’accelerazione gravitazionale totale delle stelle (osservata) e la componente che osserveremmo in presenza della sola materia ordinaria nella classica teoria Newtoniana. Tale relazione empirica, che sembrava valida in tutte le galassie da loro analizzate e a qualunque raggio galattico, ha indotto a spiegare l’accelerazione gravitazionale senza chiamare necessariamente in causa la materia oscura, ma coinvolgendo per esempio teorie di gravità modificata come MOND (MOdified Newtonian Dynamics)”.

Il lavoro della Di Paolo invece si è concentrato su 106 galassie diverse dalle “classiche” spirali, in particolare su 72 galassie a bassa luminosità superficiale (LSB) e 34 galassie nane a dischi. Lo studio ha evidenziato una relazione non coinvolge solo l’accelerazione gravitazionale totale e la sua componente ordinaria, ma anche il raggio galattico e la morfologia delle galassie.

Paolo Salucci, professore di astrofisica della SISSA e co-autore dello studio, ha spiegato: “Abbiamo studiato la relazione tra l’accelerazione totale e la sua componente ordinaria in 106 galassie, ottenendo risultati diversi da quanto precedentemente osservato. Questo non solo dimostra l’inesattezza della relazione empirica precedentemente descritta ma elimina i dubbi sull’esistenza della materia oscura nelle galassie. Inoltre, la nuova relazione trovata potrebbe fornire informazioni cruciali alla comprensione della natura di questa componente indefinita”.

Leggi anche: La strana galassia trasparente: dov’è la sua materia oscura?

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   


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Getti impazziti dal buco nero a trottola

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Rappresentazione artistica delle emissioni provenienti dal buco nero del sistema binario V404 Cygni. L’orologio indica l’evoluzione nel tempo di questi getti. Ogni segmento della figura (separato dalle lancette dell’orologio) mostra i getti visti in un momento diverso, orientati in diverse direzioni. Crediti: Icrar
Rappresentazione artistica delle emissioni provenienti dal buco nero del sistema binario V404 Cygni. L’orologio indica l’evoluzione nel tempo di questi getti. Ogni segmento della figura (separato dalle lancette dell’orologio) mostra i getti visti in un momento diverso, orientati in diverse direzioni. Crediti: Icrar

Guidato da James Miller-Jones dell’International Centre for Radio Astronomy Research (Icrar), un gruppo di ricercatori ha osservato nel dettaglio i getti che sfrecciano dal buco nero del sistema binario V404 Cygni, a quasi 8mila anni luce dalla Terra, in direzione della costellazione del Cigno. Pubblicato oggi sulla rivista Nature, lo studio dimostra che questi getti si comportano in un modo mai visto prima: le due emissioni di materiale si muovono ad alta velocità, probabilmente a distanza di pochi minuti l’una dall’altra, espulse dal buco nero come “spray” di plasma seguendo traiettorie anomale. Allo studio ha partecipato anche Tomaso Belloni, ricercatore all’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) di Brera.

Tra gli oggetti più estremi dell’universo, i buchi neri inglobano voracemente il materiale che gravita attorno a loro e che, prima di essere inghiottito, emette intensa radiazione in raggi X. Nel processo di accrescimento del buco nero, una piccola porzione di materiale viene espulsa violentemente – a velocità prossime a quella della luce – in potenti e luminosi getti di plasma caldo, che formano due colonne lungo l’asse di rotazione del buco nero.

V404 Cygni è un caso particolare a causa di un evidente disallineamento tra il disco di materiale e il buco nero. Quest’ultimo emette lampi di luce improvvisi e intensi, e questi picchi di attività corrispondono a fasi durante le quali attira a sé e inghiotte materiale dalla propria compagna. Il buco nero in V404 Cygni ha una massa di circa dieci volte quella del Sole ed è legato gravitazionalmente a una stella simile al Sole, da cui appunto sta risucchiando parte del materiale.

«La sorgente V404 Cygni, diventata brillantissima nel 2015 (dopo più di 25 anni di quiescenza, ndr) e osservata da satelliti e telescopi di tutto il mondo, si è di nuovo rivelata un sistema importante per la nostra comprensione dei fenomeni relativi ai buchi neri», dice Belloni «È la prima volta, però, che vediamo un getto di materia accelerato da un buco nero cambiare direzione in poche ore. È l’equivalente dell’asse di una trottola che ruota troppo lentamente e oscilla, solo che in questo caso la trottola è un buco nero e chi la fa oscillare è la Relatività generale di Einstein».

Quando Miller-Jones e il suo team hanno studiato questo buco nero, hanno visto che i getti si comportano in un modo imprevisto. Normalmente i getti vengono espulsi direttamente dai poli dei buchi neri, mentre questi arrivano da direzioni diverse e vengono espulsi in momenti leggermente sfalsati cambiando direzione rapidamente (circa ogni due ore).

Rappresentazione artistica del sistema binario V404 Cygni, che consiste in una normale stella in orbita attorno a un buco nero. Il materiale della stella cade verso il buco nero e si muove verso l’interno in un disco di accrescimento, con potenti getti lanciati dalle regioni interne vicino al buco nero. Crediti: Icrar

Secondo gli esperti, il motivo di questo bizzarro comportamento andrebbe ricercato nel disco di accrescimento, cioè il disco di materiale attorno al buco nero. Il disco del sistema V404 Cygni è largo 10 milioni di chilometri e durante la brillante esplosione del 2015 l’interno del disco si è gonfiato.

I ricercatori hanno sfruttato i dati del network di radiotelescopi Very Long Baseline Array (Vlba). Visto che i getti cambiano direzione velocemente, gli esperti hanno utilizzato un approccio diverso dal solito. I ricercatori hanno prodotto 103 immagini individuali, ciascuna di circa 70 secondi, unendole in un filmato. In questo modo sono stati in grado di osservare tutti i piccoli cambiamenti del percorso dei getti.

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “A rapidly-changing jet orientation in the stellar-mass black hole V404 Cygni”, di James C. A. Miller-Jones, Alexandra J. Tetarenko, Gregory R. Sivakoff, Matthew J. Middleton, Diego Altamirano, Gemma E. Anderson, Tomaso M. Belloni, Rob P. Fender, Peter G. Jonker, Elmar G. Körding, Hans A. Krimm, Dipankar Maitra, Sera Markoff, Simone Migliari, Kunal P. Mooley, Michael P. Rupen, David M. Russell, Thomas D. Russell, Craig L. Sarazin, Roberto Soria e Valeriu Tudose

Leggi anche

Il getto di plasma di M 87 su Coelum Astronomia 233 ora online in formato digitale e gratuito (l'”abbonamento”, sempre gratuito, permette di essere avvisati delle prossime uscite).


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Il Cielo di Maggio 2019

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mag > 00:00; 15 Mag > 23:00; 31 Mag > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mag > 00:00; 15 Mag > 23:00; 31 Mag > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

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Luna

Sole e Pianeti

Anche il Leone ha ormai superato il suo periodo di massimo splendore annuale e ora lo vediamo dominare la parte ovest del cielo. Transitano in meridiano invece le costellazioni tipicamente primaverili, come la Vergine, con l’azzurra Spica e il Boote con la brillante Arturo, mentre più in basso, vicino all’orizzonte sud, faranno capolino le stelle più settentrionali del Centauro (tra tutte, la luminosa Menkent, di mag. +2).

Più a est, possiamo riconoscere l’inconfondibile profilo dello Scorpione e il lampeggiare rossastro di Antares che già annuncia l’arrivo delle costellazione estive (Ercole, Corona Borealis, Ofiuco e Aquila) che cominceranno ad alzarsi nella parte orientale del cielo. Verso nordest sarà osservabile anche la Lira, con la fulgida Vega, seguita dal grande Cigno celeste.

Continua l’esplorazione del cielo con:

➜ Il Cielo di maggio con la UAI che questo mese ci porta tra le galassie della Vergine, lì dove dimora M 87, la galassia del momento!

➜ E sempre M 87 è la protagonista delle nostre osservazioni al telescopio: Osserviamo la gigante M 87

IL SOLE

Il Sole descriverà in cielo un arco diurno sempre più ampio, e la durata della notte astronomica si ridurrà quindi ulteriormente, passando da 6,3 a meno di 5 ore; il che significa che verso la metà del mese il Sole si manterrà di almeno 18° sotto l’orizzonte dalle 22:30 alle 3:45, unico periodo in cui sarà possibile dedicarsi alla fotografia e all’osservazione del cielo profondo.

➜ Continua a leggere sul Cielo di Maggio

COSA OFFRE IL CIELO

Marte, sempre più basso sull’orizzonte, continua ad anticipare il suo tramonto, ma Giorgia Hofer ci viene in soccorso con utili consigli per la ripresa nel paesaggio:

➜ Astrofotografia: È la volta di Marte, il Pianeta Rosso

Venere avrà un destino simile, ma al mattino, prima dell’alba. Anche se il suo lento declinare, e la sua brillantezza, lo manterranno osservabile per tutto il mese. Mercurio potremo osservarlo con difficoltà solo nei primi gionrni del mese (all’alba) o negli ultimi (al tramonto). Giove e Saturno invece continuano ad avvicinarsi all’opposizione, migliorando le loro condizioni di osservabilità e potremo, in maggio, vederli sorgere sempre prima, dalla seconda metà della notte di inizio mese, alla tarda serata della fine del mese.

In opposizione questo mese troviamo invece il grande pianeta nano (1) Cerere. Con una magnitudine di +7 sarà sempre necessario uno strumento per avvistarlo, ma si tratta del suo periodo migliore. Approfondisci le condizioni dei singoli pianeti, dei pianeti nani e dei principali asteroidi nella sezione dedicate del Cielo del mese di Maggio.

Segnaliamo invece tra i tanti incontri tra la Luna e gli astri di questo mese, che trovate sempre tra le pagine della rivista o in questa sezione del sito nel corso del mese.

Per quanto riguarda le falci lunari, le troviamo concentrate prima e dopo la Luna Nuova del 5 maggio. Quindi subito, nella prima settimana del mese. Per maggior informzioni su cosa osservare del nostro satellite naturale, leggi anche:

La Luna di Maggio 2019

Trovate come sempre tutte le informazioni sulle rubriche:

E ancora su Coelum astronomia 233

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ Comete. Una sfida ancora più ardua di quella dello scorso mese: La Atlas impossibile?

➜ Supernovae: Finalemente! Una nuova scoperta per i cacciatori di supernovae italiani.

La Chioma di Berenice (II parte): l’ammasso stellare della Chioma e le sue stelle.

e il Calendario di tutti gli eventi di aprile 2019, giorno per giorno!

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Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 233

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InSight. Terremoto su Marte?

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In questa immagine del 19 marzo scorso, il braccio robotico di InSight ha appena coperto con lo scudo protettivo il sismografo SEIS, adagiato sulla superficie marziana. Crediti: NASA/JPL-Caltech
In questa immagine del 19 marzo scorso, il braccio robotico di InSight ha appena coperto con lo scudo protettivo il sismografo SEIS, adagiato sulla superficie marziana. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Il 6 aprile scorso SEIS, il sismografo dedicato all’analisi della struttura interna di Marte, portato dal lander InSight della NASA sulla superficie marziana, potrebbe aver rilevato per la prima volta un debole segnale sismico. Si sta ancora studiando la natura del segnale, ma sembra proprio essere il primo tremito proveniente dall’interno del pianeta, e non causato dal vento o dai movimenti stessi del lander, come quelli registrati fin’ora. Nel suo 128 Sol, InSight potrebbe essere stato testimone di un, anche se davvero lieve, terremoto marziano, paragonabile ai terremoti lunari, rilevati dalle missioni Apollo.

«Le prime letture di InSight portano avanti la scienza iniziata con le missioni Apollo della NASA», dichiara Bruce Banerdt del JPL, PI della missione. «Fino ad ora abbiamo raccolto rumore di fondo, ma questo primo evento apre ufficialmente un nuovo campo di ricerca: la sismologia marziana!»

Durante le missioni Apollo, sono infatti stati installati cinque sismometri che hanno misurato migliaia di eventi simili, nel periodo tra il 1969 e il 1977, rivelando così l’attività sismica della Luna. Conoscendo il modo in cui queste onde sismiche si propagano attraverso diversi tipi di materiali, grazie a queste rilevazioni è stato possibile conoscere la struttura interna della Luna e avanzare ipotesi sulla sua formazione. La stessa cosa si sta cercando di fare su Marte.

Nella grafica il lander InSight con tutte le sue funzioni e la sua strumentazione. Sulla destra la cupola di SEIS. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Principale obiettivo di InSight è quindi raccogliere dati per lo sviluppo di un modello della struttura interna di Marte, della quale sappiamo ancora poco, ma questo primo evento è ancora troppo debole per essere davvero utile. Grazie al silenzio che regna sulla superficie marziana, SEIS è in grado di rilevare anche i più piccoli movimenti interni. Tanto piccoli che sulla Terra sarebbe impossibile distinguerli dal rumore di fondo.

«L’evento “Martian Sol 128” è emozionante perché le sue dimensioni e la sua lunga durata si adattano al profilo dei terremoti rilevati sulla superficie lunare durante le missioni Apollo», ha dichiarato Lori Glaze, direttore della divisione Planetary Science presso la sede della NASA.

Studiando l’interno del Pianeta Rossa, i ricercatori contano poi di capire  più a fondo la formazione di pianeti rocciosi, come anche la Luna e la Terra.

Non è l’unico segnale raccolto fin’ora, altri tre eventi sismici si sono verificati il ​​14 marzo (Sol 105), il 10 aprile (Sol 132) e l’11 aprile (Sol 133), rilevati dai più sensibili sensori Very Broad Band di SEIS, ma si è trattato di segnali ancora più lievi dell’evento Sol 128 e quindi di origine ancora più ambigua. In ogni caso, indipendentemente dalla sua causa, il segnale Sol 128 è considerato una pietra miliare della missione:

«Abbiamo atteso mesi per un segnale come questo», spiega Philippe Lognonné, responsabile del team SEIS presso l’Institut de Physique du Globe di Parigi (IPGP). «È così eccitante avere finalmente una prova che Marte è ancora sismicamente attivo. Non vediamo l’ora di condividere i risultati dettagliati una volta che avremo avuto la possibilità di analizzarli».

SEIS, il sismografo, prima che venisse ricoperto dallo scudo che lo protegge da vento e sbalzi di temperatura. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Lo strumento è stato fornito dall’agenzia spaziale francese, il Centre National d’Études Spatiales (CNES), e i primi eventi sismici sono stati identificati dal team InSight’s Marsquake Service, guidato dallo Swiss Federal Institute of Technology. «Siamo lieti di questo primo risultato e siamo ansiosi di fare molte altre misurazioni di questo tipo con SEIS nei prossimi anni», ha dichiarato Charles Yana, responsabile delle operazioni della missione SEIS al CNES.

Noi qui sappiamo bene come funziano i terremoti sulla Terra, a causa del movimento delle placche tettoniche, lo studiamo praticamente fin da piccoli. Ma Marte e Luna non hanno placche tettoniche, derive dei continenti o cose simili… i loro movimenti interni sono causati da un continuo processo di raffreddamento e contrazione che crea delle tensioni che, quando sono abbastanza forti da rompere la crosta, causano un terremoto.

Non è stato semplice ideare uno strumento che fosse trasportabile e che potesse essere messo in sicurezza su Marte. Qui sulla Terra spesso i sismometri di alta qualità sono sigillati in caveau sotterranei, per essere isolati da cambiamenti di temperatura e condizioni meteorologiche. Anche se, come abbiamo detto, la superficie di Marte è molto più silenziosa della Terra, sono presenti venti, anche se leggeri, tempeste di sabbia e, soprattutto, è soggetta a sbalzi di temperatura decisamente elevati, ed è stato quindi comunque necessario uno sforzo ingegneristico notevole.

SEIS ha diverse e ingegnose barriere isolanti, tra cui una copertura chiamata “Wind and Thermal Shield”, letteralmente uno scudo per proteggerlo dai cambiamenti estremi della temperatura del pianeta e dai suoi venti. È stato poi necessario un braccio robotico per posizionarlo a diretto contatto con il terreno a distanza dal lander.

Adesso è il momento di cominciare ad analizzare i dati ricevuti, e attendere i successivi… sperando anche in qualche scossa più intensa. Nel frattempo, nel video qui di seguito, vedete e potete sentire a confronto i suoni del vento, del braccio robotico e del primo probabile evento sismico registrati da SEIS direttamente dal Pianeta Rosso.


La Foto del Secolo
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Accademia delle Stelle

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Accademia delle Stelle

Scuola di Astronomia a Roma
Ad aprile, due nuovi corsi di Astronomia: dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).

Da giovedì 4 aprile: Corsi di ArcheoAstronomia.

Corso di Archeoastronomia ed astronomia Culturale per scoprire le conoscenze astronomiche degli antichi attraverso l’importanza che l’astronomia ha avuto in tutta la storia dell’umanità.

Da lunedì 29 aprile: Corso avanzato.
8 conferenze su argomenti che non vengono trattati di solito nei corsi base di astronomia. Approfondimenti che rivestono un interesse enorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.

Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.

Informazioni:
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Rischio geomagnetico, il Mediterraneo s’attrezza

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Schema dei principali effetti dello Space Weather sui sistemi biologici e tecnologici a terra e nello spazio. Crediti: Crediti: Esa; Belgian Institute for Space Aeronomy. Traduzione: M. Messerotti
Schema dei principali effetti dello Space Weather sui sistemi biologici e tecnologici a terra e nello spazio. Crediti: Crediti: Esa; Belgian Institute for Space Aeronomy. Traduzione: M. Messerotti

Droni, automobili senza pilota, aerei… tutti mezzi che si affidano per il loro funzionamento ai sistemi satellitari globali di navigazione – il Gps innanzi tutto. E che per questo motivo ci rendono estremamente vulnerabili ai capricci della nostra stella, il Sole. In particolare, alle tempeste geomagnetiche, e più in generale al cosiddetto space weather, il meteo spaziale: un “meteo” le cui turbolenze sono all’origine sia di fenomeni affascinanti quali le aurore polari sia di conseguenze assai meno piacevoli quali, appunto, disturbi alle reti di telecomunicazioni o blackout lungo le linee elettriche.

Per iniziare a coordinare – su scala macroregionale – i numerosi servizi già esistenti dedicati allo studio e al monitoraggio dello space weather, l’Agenzia spaziale europea (Esa) ha ora approvato e finanzierà il progetto “Space Weather User Needs for the Mediterranean Region”: un piano d’azione espressamente orientato all’area del Mediterraneo. Un progetto di breve durata – se tutto va bene un anno, in quanto propedeutico a progetti futuri di più ampio respiro – del quale fa parte anche l’Istituto nazionale di astrofisica.

Ed è proprio al responsabile italiano del progetto – nonché coordinatore del neonato gruppo per la “Meteorologia e Climatologia dello Spazio (Space Weather and Space Climate)” dell’Inaf – Mauro Messerotti, fisico solare all’Inaf di Trieste, che ci siamo rivolti per scoprirne le finalità.

Quali sono le nazioni coinvolte?

«Anzitutto la Spagna, che ha il ruolo di coordinatrice del progetto, poi oltre all’Italia ci sono anche la Francia e la Grecia. Sono le nazioni che, soprattutto per la loro già provata esperienza nel campo dello space weather, sono state ritenute particolarmente affidabili per effettuare questo studio».

Perché un’attenzione particolare dedicata proprio al Mediterraneo?

«Le regioni che si affacciano sul Mediterraneo hanno delle peculiarità che riguardano alcuni degli impatti dello space weather, soprattutto per quanto attiene agli effetti regionali delle modificazioni della ionosfera, delle correnti geomagneticamente indotte e anche dello stesso geomagnetismo. C’è quindi un insieme di perturbazioni che sono specifiche di quest’area mediterranea, e che quindi l’Agenzia spaziale europea – che è appunto la promotrice di un’infrastruttura che si chiama Esa Space Situation Awareness – Space Weather Segment – è interessata a sviluppare».

Questo perché il Mediterraneo è più vulnerabile allo space weather di altre regioni?

«No, non siamo più vulnerabili. È proprio perché l’Esa vuole capire meglio quali siano le specificità – e quindi eventualmente sviluppare dei servizi addizionali, o degli affinamenti dei servizi esistenti, nell’ambito, appunto, della sua infrastruttura. Infrastruttura che fornisce più di cento servizi – quindi dati specifici 24/7, con osservazione continue e con previsioni continue – per tutti gli utenti, principalmente europei».

Che tipo di servizi?

«È una rete che comprende quasi 150 tipologie di servizi, che si estendono dall’osservazione del Sole per arrivare alla ionosfera, alla magnetosfera, alle correnti geometricamente indotte. Servizi che sono forniti da provider che distribuiti in Europa. In Italia, per l’Inaf, c’è l’Osservatorio astrofisico di Catania, che fornisce le informazioni relative alle regioni attive del Sole e alle osservazioni della cromosfera in luce rossa dell’idrogeno, e c’è anche l’osservatorio di neutroni Svirco, che si trova allo Iaps di Roma, che facendo parte della rete mondiale di osservatori di neutroni fornisce i dati alla rete dell’Esa. Poi ci sono, appunto, osservazioni di tipo ionosferico, osservazioni di tipo geomagnetico… C’è una copertura completa di tutto quello che è l’ambiente Sole-Terra, in maniera tale da poterlo monitorare, facendo anche dove possibile delle previsioni di quello che ci si aspetta».

Previsioni di quali eventi?

«Per esempio, le turbolenze della ionosfera, oppure l’arrivo di un’espulsione coronale di massa. Tutto questo, dicevo, è organizzato in quasi 150 servizi».

Se tutto va bene, arriveremo dunque ad avere anche noi europei un servizio simile allo Space Weather Prediction Center del Noaa americano?

«È quello a cui si sta puntando attualmente, proprio perché l’Europa ha vari servizi a livello nazionale. L’Inaf ora si sta organizzando in questo senso, entro l’anno si metterà a punto una rete di servizi nazionali preliminare per lo space weather, fatta con gli asset dell’Inaf. Anche altre nazioni, naturalmente, hanno in corso qualche cosa del genere. Il tutto è al momento coordinato a livello europeo dall’Agenzia spaziale europea, che per prima ha spinto in questa direzione».

Leggi anche

Space Weather – Tra Sole e Terra nella tempesta di Luca Zangrilli, Alessandro Bemporad, Alberto Cora, Silvano Fineschi e Salvatore Mancuso.


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Due giorni nel Sagittario con Luna e Saturno

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La mattina del 25 aprile, alle ore 5:30 circa, ancora alti sull’orizzonte sud, potremo ammirare il pianeta Saturno, che ci apparirà come una stella brillante (mag. +0,5) e la Luna, in fase del 67%.

I due astri saranno alti circa 24° e mezzo sull’orizzonte all’orario indicato. La congiunzione sarà piuttosto ampia, con la Luna che si posizionerà a circa 5° e mezzo a ovest di Saturno. L’incontro avverrà tra le stelle del Sagittario, di cui sarà riconoscibile la tipica forma a “teiera” più a verso ovest.

Anche in questo caso, potremo seguire i due astri fin dal loro sorgere (dopo le ore 2) dall’orizzonte sudest, sarà possibile fotografare i soggetti immersi nel paesaggio naturale o urbano, facendo attenzione che, all’ora indicata in cartina, il fondo del cielo sarà già piuttosto rischiarato dalle luci del crepuscolo mattutino.

La mattina successiva, il 26 aprile, saranno ancora visibili affiancati, anche se di poco più distanti, stavolta con Saturno a ovest della Luna.

E con temperature e meteo che devono ancora “sistemarsi”, nubi e foschie sono sempre in agguato. Può essere allora un buon momento per provare a scorgere, e riprendere, un effetto ottico suggestivo che può dare qualcosa in più alle vostre immagini: la Corona Lunare.

Scopriamolo non solo con questa bellissima immagine (qui a destra) di Giorgia Hofer, ma anche con i suoi consigli e i racconti delle sue avventure astrofotografiche.

La Corona Lunare

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

E ancora su Coelum astronomia di aprile:

Le falci Lunari di Aprile

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


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Misteri e curiosità del cosmo

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

26.04: Il cielo al castello di Montarrenti
Come ogni secondo e quarto venerdì del mese, dalle ore 21.30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna al primo quarto (giorno 12) e alle galassie primaverili (giorno 26). Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

AstronomiAmo

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AstronomiAmo

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

VII edizione del Premio Internazionale Federico II e i Poeti tra le stelle

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premio2019-01-rit

premio2019-01-ritÈ partita la VII edizione del Premio Internazionale Federico II e i Poeti tra le stelle, concorso artistico-letterario per autori di opere ispirate al cosmo e agli oggetti celesti. Il bando, che scadrà il 30 aprile 2019, è aperto anche a tutti gli studenti delle scuole italiane.

Quattro le categorie:

– Federico II e i Poeti tra le stelle VII edizione dedicata alle opere poetiche

– V edizione De Arte narrandi dedicata alle opere narrative

– IV edizione Stupor Mundi dedicata alle opere artistiche

– VII edizione Puer Apuliae dedicato agli studenti

La cerimonia di premiazione si svolgerà in Puglia nel mese di luglio 2019.
Tutte le opere saranno pubblicate sul sito: www.poetitralestelle.it e sulla pagina facebook del Premio www.facebook.com/poetitralestelle/
BANDO PREMIO POETI TRA LE STELLE_VII EDIZIONE 2019
www.astropuglia.it

Una nube forgiata da due stelle per il 29° compleanno di Hubble ST

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La Nebulosa Granchio Australe. Credit: NASA, ESA, and STScI

Il 24 aprile 1990, il telescopio spaziale Hubble ha iniziato il suo glorioso viaggio nello spazio. In 29 anni questa nostra, straordinaria finestra sul cosmo ha rivoluzionato il modo in cui studiamo l’astronomia, oltre a mostrarci un Universo dalla bellezza strabiliante. Ogni anno il team di Hubble pubblica un’immagine speciale, in occasione dell’anniversario del telescopio. L’oggetto scelto per quest’anno è una meravigliosa planetaria, la Nebulosa Granchio Australe (Southern Crab Nebula), dall’aspetto simile a due clessidre annidate una dentro l’altra.

La nube, così chiamata per distinguerla dalla ben nota Nebulosa del Granchio, un resto di supernova nella Costellazione del Toro, è stata creata dalla turbolenta relazione tra un’insolita coppia di stelle al suo centro. Una delle due è una gigante rossa, una stella che ha consumato il suo combustibile nucleare, per poi gonfiarsi espellendo nello spazio gli strati gassosi esterni, attraverso un energico vento stellare. Parte del materiale espulso dalla gigante viene trascinato dalla gravità verso la compagna, una piccola e densa nana bianca, residuo derivante dalla morte di una stella simile al Sole. Quando l’accumulo di gas sulla sua superficie raggiunge una soglia critica, anche la nana bianca espelle materia nello spazio, dando luogo a un’eruzione improvvisa.

Nell’immagine la Nebulosa ripresa dal telescopio Hubble nel 1999 Credit: Romano Corradi, Instituto de Astrofisica de Canarias, Tenerife, Spain; Mario Livio, Space Telescope Science Institute, Baltimore, Md.; Ulisse Munari, Osservatorio Astronomico di Padova-Asiago, Italy; HugoSchwarz, Nordic Optical Telescope, Canarias, Spain; and NASA/ESA

Secondo gli astronomi la complessità della nube è dovuta alle burrascose ed episodiche eruzioni, conseguenti all’interazione tra le due stelle. Alla fine la gigante rossa cesserà di espellere gli strati esterni, smettendo di alimentare la compagna, per poi finire i suoi giorni anch’essa come nana bianca. Ma prima che ciò accada, altre emissioni di materiale creeranno strutture ancora più complesse. La nebulosa era già stata immortalata da Hubble nel 1999, ma questa nuova ripresa rivela in dettaglio le complessità al suo interno, suggerendo che le strutture a forma di clessidra corrispondano a diversi eventi eruttivi, avvenuti a distanza di varie migliaia di anni. La Nebulosa del Granchio Australe sfoggia la sua bellezza a circa 7.000 anni luce di distanza dalla Terra, nella Costellazione del Centauro. L’immagine rappresenta l’ennesima dimostrazione del ruolo fondamentale svolto dal telescopio Hubble nello svelare oggetti tra i più straordinari e misteriosi del cosmo.

Fonte: https://www.spacetelescope.org/news/heic1907/


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Finalmente individuata nello spazio la molecola “mancante”.

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Illustrazione della nebulosa planetaria NGC 7027 e delle molecole di idruro di elio, una combinazione di elio (in rosso) e idrogeno (in blu), il primo tipo di molecola a formarsi nell'universo primordiale. Crediti: NASA / SOFIA / L. Proudfit / D.Rutter
Illustrazione della nebulosa planetaria NGC 7027 e delle molecole di idruro di elio – una combinazione di elio (in rosso) e idrogeno (in blu) – il primo tipo di molecola a formarsi nell'universo primordiale e per la prima volta individuato nell'universo moderno. Crediti: NASA / SOFIA / L. Proudfit / D.Rutter

Il primo tipo di molecola che si sia mai formata nell’universo è stata per la prima volta rilevata nello spazio dopo decenni di ricerche, grazie allo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy SOFIA della NASA.

Alle origini dell’Universo esistevano solo pochi tipi di atomi. Circa 100 mila anni dopo il Big Bang l’elio e l’idrogeno si sono per la prima volta combinati dando origine alla prima molecola della storia dell’universo: l’elio idruro. Una molecola che, almeno in alcune parti del nostro universo, dovrebbe essere ancora presente, e che invece, pur sapendo dove cercarla, non si era ancora mai riusciti a individuarla.

Proprio come un anello mancante nell’evoluzione, mancava la prova dell’esistenza nello spazio di questo primo anello dell’evoluzione dell’universo.

Un'immagine, in luce visibile e infrarossa, di NGC 7027 ripresa dal telescopio spaziale Hubble nel 1998. Offre una visione completa di come si è modellata nel tempo, rivelando i diversi passi della sua evoluzione. Credito: William B. Latter (SIRTF Science Center / Caltech) e NASA / ESA

SOFIA, un telescopio riflettore dal diametro di 2,5 metri a bordo di un Boeing 747SP, ha trovato questa molecola in una nebulosa planetaria, residuo di una stella simile al Sole. NGC 7027, questa la sigla della nebulosa, si trova a 3000 anni luce di distanza, nei dintorni della costellazione del Cigno. Una nebulosa che aveva tutte le caratteristiche per permettere a questa misteriose molecole di formarsi, e che oggi conferma quello che conosciamo della chimica dell’universo primordiale e di come si sia evoluta fino a diventare la complessa chimica dell’universo di oggi. I risultati dello studio sono pubblicati nel numero di questa settimana di Nature.

«Questa molecola era in agguato là fuori, ma avevamo bisogno degli strumenti giusti per fare osservazioni nella giusta posizione – e SOFIA è stata in grado di farlo perfettamente», ha dichiarato Harold Yorke, direttore del SOFIA Science Center, nella Silicon Valley in California.

Il nostro universo, oggi, pullula di enormi strutture complesse, dalle galassie, alle stelle e i loro pianeti, ma più di 13 miliardi di anni fa, dopo il Big Bang, tutto quello che esisteva erano pochi atomi e altissime temperature. Quando gli atomi cominciarono a formare le prime molecole, l’universo fu finalmente in grado di raffreddarsi e cominciare e prendere forma.

E proprio questa prima molecola, l’idruro di elio, potrebbe aver poi interagito con l’idrogeno per creare l’idrogeno molecolare, alla base della formazione delle prime stelle. Le stelle poi hanno forgiato tutti gli elementi dell’universo che conosciamo oggi, ma mancava questo primo passo. Questa molecola che doveva esserci ma non si trovava. Fino ad ora…

«La mancanza di prove dell’esistenza dell’elio idruro nello spazio interstellare era un dilemma per l’astronomia per decenni», ha spiegato Rolf Guesten dell’Istituto Max Planck per l’astronomia radio, a Bonn, in Germania, e autore principale dell’articolo.

L’idruro di elio, oltretutto, è una molecola schizzinosa. L’elio stesso è un gas nobile che tende difficilmente a combinarsi con qualsiasi altro tipo di atomo. Ma nel 1925, gli scienziati furono in grado di creare la molecola in laboratorio forzando l’elio a condividere uno dei suoi elettroni con uno ione idrogeno.

Solo alla fine degli anni ’70, gli scienziati che studiavano la nebulosa planetaria NGC 7027, ritennero che potesse essere l’ambiente giusto per formare l’idruro di elio. La radiazione ultravioletta e il calore delle vecchie stelle dell’ammasso creano le condizioni adatte per questa molecola, non così propensa a formarsi. Ma non riuscirono a individuarla. Studi sucessivi davano sempre più per certa la sua presenza, ma i telescopi spaziali utilizzati non avevano la tecnologia specifica per distinguere il segnale dell’elio idruro nell’insieme delle altre molecole nella nebulosa.

Nel 2016, si chiese aiuto a SOFIA. Viaggiando a 14 chilometri circa di altezza, le osservazioni  non subiscono le interferenze degli strati più bassi e umidi dell’atmosfera terrestre, lasciando passare quasi l’85% in più della radiazione infrarossa e, a differenza dei telescopi spaziali, forse più avvantaggiati ancora da questo punto di vista, SOFIA può spostarsi sul globo per osservare la zona di cielo desiderata e rientrare a Terra quando vuole, potendo così essere costantemente aggiornato con gli strumenti più recenti.

«Siamo in grado di sostituire gli strumenti e installare la tecnologia più recente», ha dichiarato Naseem Rangwala, vice-scienziato del progetto SOFIA. «Questa flessibilità ci consente di migliorare le osservazioni e rispondere alle domande più pressanti alle quali gli scienziati vogliono dare una risposta».

Un recente aggiornamento a uno degli strumenti SOFIA, il German Receiver a frequenze terahertz (GREAT), ha aggiunto al rilevatore un canale specifico per l’idruro di elio che i precedenti telescopi non avevano. Lo strumento funziona come un ricevitore radio: si sintonizza sulla frequenza della molecola che si sta cercando, in modo simile alla sintonizzazione di una radio FM sulla stazione giusta. Quando SOFIA ha preso il volo nei cieli notturni, i ricercatori hanno potuto essere a bordo per leggere i dati dallo strumento in tempo reale, e il segnale dell’elio idruro è finalmente arrivato forte e chiaro.

«È stato così eccitante trovarsi lì, vedere l’idruro di elio tra i dati per la prima volta», ha detto Guesten. «È il lieto fine di una lunga ricerca ed elimina i dubbi sulla nostra comprensione della chimica dell’universo primordiale».


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La Luna incontra Giove

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La mattina del 23 aprile, alle 5:30 circa, guardando verso ovest-sudovest sarà possibile ammirare una bella congiunzione – non strettissima, circa 4° 30’ di separazione – tra la Luna (fase dell’84%) e il brillante pianeta Giove (mag. –2,4).

Il nostro satellite naturale si troverà a ovest rispetto a Giove e i due astri saranno alti circa 25° sull’orizzonte. Il quadro è  completato dalla presenza a poca distanza della rossa stella Antares (mag. +1,05), stella alfa della costellazione dello Scorpione, la cui figura è facilmente riconoscibile più verso ovest.

I due astri potremo in realtà osservarli fin dal loro sorgere (poco dopo la mezzanotte della sera prima) attraversare il cielo da sudest verso  sudovest, quando potremo riprenderli immersi nel paesaggio.

E con temperature e meteo che devono ancora “sistemarsi”, nubi e foschie sono sempre in agguato. Può essere allora un buon momento per provare a scorgere, e riprendere, un effetto ottico suggestivo che può dare qualcosa in più alle vostre immagini: la Corona Lunare.

Scopriamolo non solo con questa bellissima immagine (qui a destra) di Giorgia Hofer, ma anche con i suoi consigli e i racconti delle sue avventure astrofotografiche.

La Corona Lunare

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Le falci Lunari di Aprile

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➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
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Tgo passa al setaccio l’atmosfera marziana

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La sonda Trace Gas Orbiter analizza l’atmosfera marziana. Crediti: Esa/Atg Medialab

La ricerca di metano nell’atmosfera del Pianeta Rosso e l’analisi delle polveri sospese sono gli argomenti principali delle indagini svolte da un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). La missione dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e RosCosmos ExoMars ha utilizzato strumenti che vedono un fondamentale contributo italiano, sia dal punto di vista scientifico sia dal punto di vista tecnologico e industriale, con Thales Alenia Space Italia alla guida della progettazione di entrambe le missioni ExoMars e il forte supporto fornito dall’Asi.

«La sonda Tgo», spiegano Giancarlo BellucciGiuseppe Etiope, i due ricercatori italiani dell’Inaf e dell’Ingv che hanno collaborato allo studio, «attraverso i due spettrometri ad alta precisione Nomad e Acs, ha scandagliato l’atmosfera di Marte a varie latitudini da aprile ad agosto del 2018 non rilevando, in questa fascia spazio-temporale, il metano. Il gas potrebbe però esistere a concentrazioni inferiori rispetto a quelle rilevabili dagli strumenti (0.05 parti per miliardo in volume, o ppbv)».

Tale risultato è solo apparentemente in contrasto con le precedenti rilevazioni di metano effettuate attraverso telescopi terrestri, il rover Curiosity della Nasa e, recentemente, attraverso la sonda europea Mars Express, e apre a nuove interpretazioni poiché sulla base delle conoscenze attuali, il metano, una volta rilasciato nell’atmosfera di Marte, dovrebbe diffondersi velocemente ovunque, persistendo per alcune centinaia di anni.

«In particolare», prosegue Giancarlo Bellucci dell’Inaf, «il metano su Marte sembra apparire e scomparire velocemente, suggerendo la presenza di un meccanismo di distruzione in grado di rimuovere efficientemente tale gas dall’atmosfera. Diversi meccanismi sono già stati proposti e alcuni di questi sembrano essere in grado di spiegare le variazioni spazio-temporali osservate. Tuttavia, si tratta ancora di risultati preliminari di simulazioni o di esperimenti eseguiti in laboratorio su campioni limitati, la cui validità e importanza statistica dovrà essere dimostrata da ulteriori studi».

Alcuni ricercatori considerano plausibile la variabilità della presenza di metano nell’atmosfera marziana.

«Il metano», chiarisce Giuseppe Etiope dell’Ingv, «potrebbe essere prodotto all’interno del pianeta e la sua migrazione e fuoruscita nell’atmosfera potrebbe avvenire solo in certe zone, geologicamente idonee, specialmente dove esistono faglie e fratture nelle rocce. Abbiamo già verificato in studi precedenti che, come sulla Terra, questa fuoriuscita di gas dalle rocce può essere episodica e saltuaria. Questo spiegherebbe in parte le variazioni di metano rilevate finora. Rimane però l’ipotesi del meccanismo di rimozione rapida del gas dall’atmosfera: questo è l’aspetto da scoprire nel prossimo futuro. Comunque la sonda Tgo non rileva metano in concentrazioni al di sotto di 0.05 ppbv. Con questo limite è ancora possibile avere emissioni locali di metano, simili ad alcune osservate sulla Terra, che una volta diluite nell’atmosfera marziana darebbero luogo a una bassa concentrazione di fondo. Il metano potrebbe dunque essere rilevato solo in prossimità della zona di emissione e in un periodo non troppo lontano dall’evento di rilascio».

Inoltre, al fine di analizzare le polveri sospese, i due spettrometri a bordo della sonda Tgo hanno realizzato le prime misurazioni ad alta risoluzione dell’atmosfera marziana durante una tempesta di sabbia con il metodo dell’occultazione solare, osservando cioè come la luce del Sole viene assorbita nell’atmosfera, rivelando così la composizione chimica dei suoi costituenti.

«La misura del profilo verticale dell’acqua in condizioni di tempesta di polvere globale ha permesso di determinare gli effetti del riscaldamento atmosferico sulla distribuzione del vapore acqueo», spiega Giancarlo Bellucci. «In condizioni normali, infatti, il vapore acqueo condensa sotto i 40 km. A causa della tempesta globale, invece, l’atmosfera si riscalda e il vapore acqueo può migrare a quote più elevate. Questo meccanismo era previsto dai modelli di circolazione atmosferica ma questa è la prima volta che viene osservato. La sonda Tgo, inoltre, ha anche misurato per la prima volta la distribuzione verticale di un isotopo dell’acqua, importante per la comprensione della storia dell’acqua su Marte».

Ciò ha permesso di ricostruire la distribuzione verticale del vapore acqueo e dell’acqua semi-pesante(in cui uno dei due atomi di idrogeno è sostituito da un atomo di deuterio, una forma di idrogeno con un neutrone aggiuntivo) dalla prossimità della superficie marziana fino a oltre 80 km di altezza. I nuovi risultati evidenziano l’azione che esercita la polvere presente nell’atmosfera sul vapore d’acqua, così come la perdita di atomi di idrogeno nello spazio.

«Alle latitudini settentrionali», conclude Ann Carine Vandaele, del Royal Belgian Institute for Space Aeronomy (Bira-Iasb) e principal investigator di Nomad, «abbiamo osservato nuvole di polvere a quote di circa 25-40 km che in precedenza non erano state rilevate, mentre alle latitudini meridionali abbiamo visto strati di polvere spostarsi a quote più alte».

Guarda il servizio video su Media Inaf Tv:

Per saperne di più:


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AstronomiAmo

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AstronomiAmo

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:

16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

Quasi sulla Luna. Beresheet, il lander israeliano, non ce l’ha fatta.

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L'ultima immagine postata su twitter da SpaceIL (@TeamSpaceIL), poco prima che iniziassero i problemi. Berensheet è a 22 chilometri dalla Luna. Crediti: SpaceIL

Berensheet, il lander privato israeliano di SpaceIL, non ce l’ha fatta. Al momento dell’atterraggio l’imprevisto, e la sua corsa è finita si sulla Luna, ma non con l’atterraggio morbido che ci si aspettava.

La trasmissione in diretta di ieri sera, alle 21 circa italiane dell’11 aprile, ha seguito le manovre che avrebbero dovuto portare il lander nel mare della Serenità, sul lato visibile della Luna. In area spettatori, con i membri del team di Beresheet al lavoro in sala controllo, anche il neo rieletto primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

L'ultima immagine che sarebbe arrivata dalla Beresheet, prima di schiantarsi sul suolo lunare. Ancora non c'è la conferma dalla telemetria, ma l'immagine è stata ricevuta dal team controllo quando il lander era a circa 7,5 km dalla superficie.

Ma a pochi chilometri dalla meta, nella fase di riorientamento della sonda, i primi problemi. Un guasto al motore principale, …non funziona. Si tenta un riavvio dei sistemi, sembra quasi di farcela… ma no, niente. La telemetria segnala l’inevitabile. La sonda prende velocità e, a poco più di un centinaio di metri dalla superficie lunare, si interrompono le comunicazioni.

È la fine di un sogno, un sogno che comunque è arrivato lontano, più lontano di quanto si poteva immaginare: ha portato in orbita lunare Israele. Ed era già un successo.

Ma sarebbe dovuta essere ben di più per il paese: il primo lander israeliano e il primo gruppo privato non governativo ad arrivare sulla superficie lunare. Due primati che avrebbero inserito Israele nella ristretta cerchia dei paesi scesi sulla Luna: Stati Uniti, Unione Sovietica (Russia), Cina e India.

SpaceIL è infatti nata per partecipare al Lunar X Prize di Google che, nel 2007, ha lanciato una sfida alle compagnie private perché costruissero un veicolo spaziale che potesse atterrare sulla Luna. 30 milioni di dollari per il progetto vicente. La scadenza è stata prorogata più volte, in attesa di qualcuno che reclamasse il premio, fino al 5 aprile 2018, quando si sono arresi.

Il viaggio della Beresheet inizia a bordo del Falcon 9. Crediti: SpaceX

Il 21 febbraio 2019, Beresheet viene comunque lanciata verso il suo sogno a bordo di un Falcon 9 della SpaceX. A realizzarlo hanno contribuito 100 milioni di dollari raccolti da imprenditori e Istituti di ricerca, con l’appoggio delle Industrie Aerospaziali Israeliane (Iai) e dell’Agenzia Spaziale Israeliana (Isa). La NASA ha fornito la tecnologia per le comunicazioni, ma anche da altri paesi sono arrivati contributi, come dalla Swedish Space Corporation, mentre in Italia è stato il gruppo Leonardo a realizzare, in provincia di Milano, i pannelli solari.

«Non ce l’abbiamo fatta, ma ci abbiamo sicuramente provato, e il risultato di arrivare dove siamo arrivati è davvero eccezionale», ha detto Morris Khan, un imprenditore israeliano tra i grossi finanziatori di Beresheet. «Possiamo esserne orgogliosi!».

Ma SpaceIL non si arrende, il primo ministro israeliano annuncia, in ebraico, che «Un lander istraeliano atterrerà sulla Luna! È una promessa! Una promessa! Tra due o tre anni». Parliamo di un progetto privato e non governativo, ma è indubbio che il governo di Israele l’abbia fatto suo e gli si voglia dare anche un impatto (legittimamente) nel panorama politico internazionale del momento…

E le sue parole arrivano in contemporanea con il twit del presidente della X Prize Foundation, Peter Diamandis, che annuncia che 1 milione di dollari, del Moonshot Award, verranno comunque assegnati a SpaceIL, come contributo al notevole risultato raggiunto e per supportare un secondo tentativo.

…e Beresheet 2.0 sia!


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13 aprile: la Luna occulta M 44

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La sera del 13 aprile potremo assistere a un evento interessante che coinvolge il nostro satellite naturale, la Luna, e l’ammasso del Presepe, M 44. Nonostante si trovi in fase del 61%, e quindi con una luminosità non trascurabile, tra le ore 21:00 del 13 aprile e l’1:00 del 14 aprile, sarà comunque possibile osservare il lembo oscuro della Luna occultare in successione alcune stelle che compongono l’ammasso, le più luminose delle quali hanno magnitudine compresa tra la +6 e la +7.

La minima distanza dal centro dell’ammasso sarà raggiunta attorno alla mezzanotte. Sarà possibile seguire il fenomeno al binocolo o al telescopio.

Se si desidera effettuare scatti fotografici al fenomeno, si ricorda che, a grande campo, per far risaltare le deboli stelle di M 44 sarà necessario aumentare il tempo di esposizione, cosa che comporta una forte sovraesposizione della Luna. Meglio tentare la ripresa ad alto ingrandimento (per la quale sarà necessario un teleobiettivo o, meglio, un telescopio) del momento dell’occultazione di una delle stelle al lembo lunare oscuro.

Maggiori dettagli nel Calendario degli eventi giorno per giorno!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

E ancora su Coelum astronomia di aprile:

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 232

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L’ultimo uomo sulla Luna

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L’ultimo uomo sulla Luna

L’astronauta Gene Cernan e la corsa allo spazio degli Stati Uniti

Cernan è scomparso il 16 gennaio 2017 a 82 anni, ma ha lasciato una grande eredità. Il libro, scritto a quattro mani con il giornalista Don Davis, con un linguaggio chiaro e diretto, racconta il punto di vista del comandante dell’ultima missione umana sulla luna: Apollo 17.

Diversi anni fa, a Cape Canaveral (con me anche Paolo Attivissimo), avevamo parlato del progetto a Gene Cernan, proprio nei giorni in cui giravano il documentario sulla sua incredibile vita. Ci disse: «parlatene con il mio editore, io sarò felice che anche gli italiani possano leggerlo». Il lavoro appariva improbo, ma qualche anno dopo un editore coraggioso ha deciso di raccogliere la sfida.

Nel momento in cui ci apprestiamo a celebrare il 50° anniversario dell’uomo sulla Luna, una piccola casa editrice di Bologna, Cartabianca Publishing, con lodevole iniziativa ha deciso di pubblicare l’edizione italiana del libro di Cernan e Davis, sia in versione cartacea – acquistabile solo direttamente presso il sito www.cartabianca.com – che in formato ebook. Dallo scorso 13 dicembre è infatti disponibile anche in Italia “L’ultimo uomo sulla Luna”: il poderoso (384 pagine!) e avvincente racconto di Eugene Cernan, uno spaccato di quegli anni straordinari che hanno esteso non solo metaforicamente i confini fisici e mentali dell’umanità.

L’ultimo uomo sulla Luna

L’astronauta Gene Cernan e la corsa allo spazio degli Stati Uniti

di Eugene Cernan e Don Davis
Cartabianca editore, dicembre 2018

Formato cartaceo: (384 pagine – € 17,90) disponibile solo presso lo store online della casa editrice.
Prezzo: € 17,90

Formato Ebook: Kindle, Apple iPad e in formato “universale” ePub (presso il sito della casa editrice e tutti i maggiori rivenditori online).
La versione ebook contiene un’estesa galleria fotografica di immagini appositamente restaurate, molte delle quali inedite e provenienti dagli archivi della famiglia Cernan.
Prezzo: € 17,90

Anteprima ebook in pdf

Cos’ha di speciale questo libro da renderlo diverso dai pochissimi altri scritti da astronauti di quell’epoca e disponibili in italiano? Innanzitutto lo stile di Cernan, sicuramente “limato” da un giornalista esperto qual è Davis: è assolutamente discorsivo, raramente magniloquente e con un impiego di terminologia tecnica e gergale limitata strettamente alla funzionalità della narrazione. Come lo stesso celeberrimo regista di Apollo 13, Ron Howard, ebbe a dichiarare: «Niente fisica avanzata, niente paroloni scientifici, solo le memorie assolutamente affascinanti del ruolo cruciale avuto da Cernan nella conquista dello spazio». Ciò non significa però che il testo sia esageratamente semplificato, né che il suo linguaggio sia edulcorato. Si tratta semplicemente di un testo da leggere tutto d’un fiato, dal quale traspare chiarissimo, fin dai primi paragrafi, l’altro pregio de “L’ultimo uomo sulla Luna”: la sua schiettezza e immediatezza.

Molti libri scritti da astronauti d’oltreoceano tendono a “premere l’acceleratore” sull’aspetto epico di quelle imprese, alimentando ego sicuramente un po’ ingombranti che talvolta prendono il sopravvento sulla narrazione stessa, risultando in testi stucchevoli e sempre un po’ sopra le righe, con quel carattere da eroe USA senza macchia e senza paura che poco ha a che fare con la realtà dei fatti. Il libro di Cernan è quasi l’opposto: è vero che si tratta di un libro scritto da un astronauta a stelle e strisce ma, a differenza dei suoi colleghi, il comandante dell’Apollo 17 preferisce non nascondere il lato umano delle proprie vicende personali, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i propri familiari, amici e colleghi.
Forse non sarà poetico come Michael Collins, ma nemmeno spaccone come Buzz Aldrin, né troppo controllato come Neil Armstrong. Quindi molto spazio all’uomo, e poco al superuomo, nelle righe di questo libro in cui vengono portate alla luce l’ambizione e la paura, la gioia e lo stress, la meraviglia per il creato e lo sconforto per le tragedie umane.

Eugene Cernan nella foto di rito. Crediti: NASA

Uno dei punti di forza de “L’ultimo uomo sulla Luna” è proprio il rapporto intenso e per certi versi complesso e sfaccettato tra Cernan e la sua famiglia. Come la sua prima moglie Barbara sintetizzò mirabilmente in una frase passata alla storia: «Se credete che andare sulla Luna sia difficile, pensate a com’è per coloro che invece restano sulla Terra». E lo stesso profondo e intenso legame familiare fece sì che lo stesso Cernan lasciasse un segno indelebile sulla Luna, dedicato alla propria figlioletta Tracy, o a dedicare le ultime parole del libro alla propria nipotina Ashley.
E proprio la figlia e la nipote di Cernan hanno scritto appositamente per l’edizione italiana del libro – su richiesta della casa editrice Cartabianca – due toccanti postfazioni, in cui si riassume tutto ciò che il loro padre, e nonno, ha fatto dal 1999 al giorno della sua scomparsa.

Eugene Cernan è uno dei personaggi che più di altri, persino più del primo uomo a mettere piede sulla Luna, incarna l’ideale dell’epoca d’oro dell’astronautica. Questo personaggio non celeberrimo, con i piedi ben piantati a terra – come testimoniano le sue umili origini da figlio di immigrati cechi e slovacchi – ma con lo sguardo rivolto alle stelle, è quanto di più autentico si possa desiderare da chi ha letteralmente compiuto passi che sono entrati nella storia. Oltre ad avere partecipato alle missioni spaziali Gemini 9 e Apollo 10 (nelle quali ha orbitato rispettivamente, attorno alla Terra e alla Luna), Eugene Cernan è stato il comandante della missione Apollo conclusiva, la numero 17, ed è stato l’ultimo essere umano ad avere calpestato la superficie della Luna. Il 14 dicembre 1972, Gene Cernan, Comandante di Apollo 17, risaliva la scaletta del modulo lunare e decollava dalla valle lunare di Taurus-Littrow. Si concludeva così l’ultima esplorazione umana sulla luna.

Se si deve muovere qualche critica a “L’ultimo uomo sulla Luna”, si può dire che – pur avendo posto grande attenzione alle proprie vicende personali – Cernan è stato un po’ sbrigativo nel descrivere il resto della sua vita, dopo l’ultima storica missione spaziale, così come piuttosto soft è la trattazione di alcuni momenti di tensione, come ad esempio i rapporti piuttosto problematici con alcuni suoi colleghi o qualche reticenza nella descrizione di un suo noto incidente con un elicottero mentre volava radente sul mare. Ma questo è nel suo stile: lasciare da parte il gossip per concentrarsi su ciò che reputava veramente importante.
E gli si può perdonare anche il suo indulgere in qualche preferenza politica o nel descrivere qualcuno di quei piccoli privilegi che un uomo comune poteva solo sognarsi. Nel libro racconta dei grandi sacrifici che tutti gli astronauti e le loro famiglie dovettero affrontare e della consapevolezza degli enormi rischi a cui si esponevano. Ancora una volta, Cernan non ci parla solamente del lato eroico e affascinante della vita di un astronauta, ma anche delle paure, dei fallimenti e delle frustrazioni che dovettero sopportare per raggiungere l’obiettivo che appariva ai più impossibile.

Luigi Pizzimenti, autore della recensione, con Cernan. Copyright: Luigi Pizzimenti

Il mio rapporto personale con il Capitano era davvero unico. È stato fra i primi astronauti del programma Apollo che ho incontrato e da allora non ci siamo mai persi di vista. Era un uomo con una grande personalità, affabile e naturalmente orgoglioso della sua carriera astronautica.

Ogni volta che incontravi il comandante Cernan, sapeva coinvolgerti con la sua voce bassa e profonda che ti trasportava con lui sulla Luna e ti faceva rivivere le sue emozioni:
Cernan: «Una delle cose che ho osservato è che quasi nessuna delle domande che ricevo riguardano la tecnologia che abbiamo utilizzato. Le persone non chiedono quanto velocemente andavamo mentre orbitavamo intorno alla luna, le domande che le persone fanno sono sull’umanità di questa esperienza: che cosa sentivate? Come dormivate? Eravate spaventati? Vogliono sapere dell’esperienza del fare il primo passo sulla Luna. Rispondo che è stato importante per me e nessuno me lo può portare via. Per me i passi memorabili sono stati gli ultimi».

La sua esperienza è stata solo tecnologica o anche di fede?
«Quello che ho pensato mentre guardavo la Terra dalla Luna, è che era tutto troppo bello per essere accaduto per caso. Guardando la Terra, ho avuto la sensazione che fossi seduto sulla veranda di Dio».

Sulla Luna pensavate ai rischi che stavate correndo?
«Abbiamo trascorso tre giorni di duro lavoro, avevamo una missione da compiere. Ero consapevole che se fossi caduto e la mia tuta si fosse strappata o se il motore non si fosse riacceso potevo morire, ma non vivevo tutto ciò con paura. Siamo stati sempre consapevoli dell’ambiente ostile che ci circondava. Abbiamo scavato trincee e fatto carotaggi, scattato migliaia di foto di quella magnifica desolazione. Jack (Harrison Schmitt, pilota del modulo lunare) ha fatto un ottimo lavoro come geologo. Era sempre molto concentrato nel suo lavoro. Ho dovuto dirgli: Jack, prenditi una pausa, lo devi a te stesso, guarda dove sei».

Come si torna alla vita di tutti i giorni sulla Terra?
«Torni a casa ed è tutto normale. Avevo vissuto sulla luna per 72 ore e poi ero di nuovo nel mondo reale. È talmente incredibile che spesso mi chiedo se ho fatto quello che penso, se è successo davvero. Sono rimasto nel programma spaziale per 13 anni ed è stato come se qualcuno avesse tagliato quegli anni dalla mia vita e mi avesse messo in un mondo diverso – nel caso di Apollo 17 è stato letteralmente così – e poi mi avesse restituito di nuovo al mio mondo originale. È quasi come se avessi vissuto due vite diverse».

Gli astronauti sono delle persone speciali?
«Siamo solo la punta della lancia, Armstrong, Shepard, Lovell e tutti gli altri, abbiamo rappresentato le persone che ci hanno inviato sulla Luna. È importante ricordare che tutti insieme siamo andati sulla luna. Ecco perché fino a quando ci saremo, andremo ancora in giro a raccontare la nostra avventura, perché abbiamo la responsabilità di ispirare le nuove generazioni».

Ciò che conta davvero è che le memorie di Eugene Cernan – con tutti i suoi pregi ma soprattutto tutti i suoi difetti, che lo rendono ancora più umano e forse più grande proprio perché non infallibile – siano ora disponibili anche per i lettori italiani.
E chissà se fra loro, come era solito dire il comandante Cernan, non ci sia già chi in futuro tornerà a lasciare le proprie impronte sul suolo lunare, o su altri mondi ancora più lontani.

Il traduttore del libro, (che ringrazio per i molti spunti) Diego Meozzi scrive: «qualche purista potrà infine obiettare che nel libro alcuni termini tecnici inglesi siano stati tradotti in italiano, scelta peraltro condivisa dall’ottimo revisore tecnico, Paolo Attivissimo, autore di Spazio Magazine e dell’apprezzato “Luna? Sì ci siamo andati!”».

Insomma, un libro che consiglio e che non può mancare sui vostri scaffali, perché leggerlo sarà come essere trasportati sulla luna con il comandante Eugene “Gene” Cernan e l’equipaggio di Apollo 17.

Eugene Cernan ha partecipato a tre missioni spaziali, volando per due volte sulla Luna e atterrandovi con la missione finale Apollo. Pilota della Gemini 9, pilota del modulo lunare dell’Apollo 10 e comandante dell’Apollo 17. Laureato alla Purdue University e alla Scuola Navale Post Laurea di Monterey, ha ricevuto svariate lauree ad honorem e onorificenze militari e civili, che spaziano dalla Hall of Fame spaziale statunitense a un premio Emmy per la televisione. È morto il 17 gennaio 2017.
Don Davis, è stato corrispondente di agenzie e quotidiani negli Stati Uniti e all’estero, con esperienze di guerra in Vietnam, di imprese spaziali a Capo Kennedy e di politica alla Casa Bianca prima di diventare un autore di successo del New York Times con la sua serie di romanzi Kyle Swanson sniper.

All’ombra del buco nero. La prima foto diretta.

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I telescopi della EHT


D’accordo… non è Sagittarius A* ma è comunque la prima immagine diretta dell’ombra di un buco nero!

Messier 87 e il getto di plasma emesso dal buco nero supermassiccio al suo centro Crediti: NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA); Acknowledgment: P. Cote (Herzberg Institute of Astrophysics) and E. Baltz (Stanford University)

È il buco nero supermassiccio al centro di Messier 87, una bella galassia nella costellazione della Vergine a 55 milioni di anni luce da noi. Sei le conferenze stampa in tutto il mondo che stanno annunciando lo storico risultato ottenuto solo grazie alla collaborazione di oltre 200 ricercatori, di diverse agenzie tra cui anche ricercatori INFN e INAF, che lavorano in modo coordinato alla rete di radiotelescopi, dislocati in diverse aree del globo terrestre: Europa, Stati Uniti e Hawaii, America Centrale e del Sud, Africa e Asia:

ALMA (Atacama Large Millimeter/Submillimeter Array in Cile, Chajnantur Plateau),
APEX (Atacama Pathfinder Experiment in Cile, Chajnantur Plateau),
IRAM 30m (Institute de RadioAstonomie Millimtrique, Pico Veleta in Spagna),
LMT (Large Millimeter Telescope in Messico),
SMT (Submillimeter Telescope in Arizona, USA),
JCMT (James Clerk Maxwell Telescope alle Hawaii, USA),
SMA
(SubMillimeter Array alle Hawaii, USA),
SPT (South Pole Telescope al Polo Sud).

Osservazioni coordinate a quelle dei radio telescopi (effettuate negli stessi momenti) sono state effettuate nella banda dei raggi X e gamma.

I risultati sono stati descritti in sei articoli scientifici pubblicati su The Astrophysical Journal Letters. Dal comunicato stampa INFN:

«Questo straordinario risultato – spiega Mariafelicia De Laurentis, ricercatrice dell’INFN e professore di astrofisica all’Università Federico II di Napoli, che come membro della collaborazione EHT ha coordinato il gruppo di analisi teorica dell’esperimento – non solo ci regala la prima immagine di un buco nero, ma ci fornisce anche una prova diretta della presenza di buchi neri supermassicci al centro delle galassie e del motore centrale dei nuclei galattici attivi».

«Queste osservazioni – prosegue la ricercatrice dell’INFN – vengono ora a costituire un nuovo strumento di indagine per esplorare la gravità nel suo limite estremo e su una scala di massa che finora non era stata accessibile».

«Dal punto di vista concettuale, il risultato rappresenterà uno strumento formidabile per studiare, confermare o escludere le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate a partire dalla Relatività Generale di Albert Einstein», conclude De Laurentis.

E Sagittarius A*? Ancora non è pronta… servirà probabilmente un altro anno di analisi ed elaborazioni, i risultati sulle immagini di M 87 erano così promettenti che si è preferito concentrarsi su quelli. Non dimentichiamo che ci troviamo in una posizione “scomoda” per osservare il centro della nostra galassia, e paradossalmente è più facile osservare più lontano. Non solo, visto così “da vicino” non sta mai fermo… difficile quindi metterlo “a fuoco”, ma abbiamo fiducia e restiamo in attesa.

Del progetto e dei risultati attesi ne abbiamo già parlato nelle news che trovate di seguito e molto altro vi aspetta nei prossimi giorni e nel prossimo numero di Coelum Astronomia.

A prestissimo!
All’orizzonte degli eventi di Sgr A*. Tutti i canali per seguire la diretta.

Ma come si fa a fotografare un buco nero? Riepiloghiamo velocemente il processo (che ricordiamo ha richiesto più di due anni di elaborazioni…) in attesa della conferenza stampa alle 15 di oggi, che finalmente ci svelerà se… la foto è riuscita e quali sono i risultati ottenuti. Tutti canali per seguirla!
 

Tutta la potenza delle stelle vista dal centro della Via Lattea

In attesa dei risultati dell’EHT, annunciati per il 10 aprile, una nuova simulazione ci porta al centro della Via Lattea, idealmente seduti sull’orizzonte degli eventi di Sagittarius A*, ad ammirare lo spettacolo della mostruosa potenza dei venti stellari di stelle giganti che interagiscono con i flussi di gas in caduta verso il buco nero.
 

Tutto pronto per la foto del secolo

ATTESI A BREVE I RISULTATI PRELIMINARI DI EHT Un grande evento attende astronomi, scienziati e curiosi: se tutto andrà bene, dovrebbe diventare presto disponibile la prima “immagine” ad alta risoluzione mai realizzata di un buco nero, o più precisamente della sua “ombra”. Per saperne di più, Media Inaf ha raggiunto Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam, che ci svela il ”dietro le quinte” dell’esperimento più atteso dell’anno.
 

Apex guarda nel cuore dell’oscurità

L’aggiunta di Apex all’Event Horizon Telescope rivela nuovi dettagli nella struttura asimmetrica e non puntiforme della sorgente Sgr A * al centro della Via Lattea. Il miglioramento della risoluzione angolare conseguito grazie ad Apex rivela ora dettagli dell’ordine di 36 milioni di km: dimensioni che sono solo 3 volte più grandi dell’ipotetica dimensione del buco nero (3 raggi di Schwarzschild). Tutti i dettagli su The Astrophysical Journal.
 

Mission impossible per l’Event Horizon Telescope

UNO SGUARDO NELL’OMBRA DI SAGITTARIUS A* È tutto pronto per scattare la foto del secolo. Un insieme di otto osservatori simulerà un radiotelescopio delle dimensioni della Terra allo scopo di intravedere il moto del gas incandescente che circonda il buco nero supermassiccio della Via Lattea. Quali le sfide e le attese? Ne parliamo con Heino Falcke, presidente del consiglio scientifico dell’Eht, e Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam.

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L'ambiente galattico nei pressi di Sgr A ripreso nei raggi X dal telescopio spaziale Chandra: questo è intriso di gas caldo e stelle, alcune delle quali si ritiene che siano esse stesse buchi neri di taglia minore. Le ellissi individuano cosiddette eco di luce, prodotti a seguito di improvvisi flare (generati quasi sicuramente da ciò che accade nei pressi del buco nero) riflessi dalla materia interstellare. Crediti:

Mancano ormai poche ore all’attesa release della prima, storica immagine reale (non costruita al computer!) dell’orizzonte degli eventi di Sgr A* (leggesi Sagittarius A*) il buco nero supermassiccio che governa la nostra galassia. La strana sigla denota una sorgente di onde radio molto compatta e luminosa localizzata all’esatto centro della nostra galassia.

L’ambiente galattico nei pressi di Sgr A* ripreso nei raggi X dal telescopio spaziale Chandra: questo è intriso di gas caldo e stelle, alcune delle quali si ritiene che siano esse stesse buchi neri di taglia minore. Le ellissi individuano cosiddette eco di luce, prodotti a seguito di improvvisi flare (generati quasi sicuramente da ciò che accade nei pressi del buco nero) riflessi dalla materia interstellare. Crediti: NASA/Chandra X-Ray Observatory.

Dall’epoca della scoperta, avvenuta a metà degli anni ’70 dello scorso secolo, numerose sono state le osservazioni compiute su questo straordinario oggetto e sul materiale ad esso circostante: gas caldo e stelle che orbitano attorno al buco nero a velocità davvero incredibili.
Come ogni buco nero presente in ogni galassia di un certo rango, anche Sgr A* è estremamente massiccio e denso: secondo le stime, la sua massa oltrepasserebbe di ben 4 milioni di volte quella del Sole e il raggio del suo orizzonte degli eventi sarebbe, invece, di poco inferiore a quello dell’orbita di Mercurio!

Lontano quasi 26 mila anni luce dal Sistema Solare, Sgr A* è tutt’altro che facile da osservare, annidato com’è in una regione dove polveri e gas si muovono in modo tumultuoso. Stando così le cose, e tenendo presente che l’orizzonte degli eventi dovrebbe estendersi su un’area larga più o meno 30 microsecondi d’arco, come è quindi possibile ottenerne un’immagine che possa essere, ad oggi, definita “unica”?

Impossibilitato, per ovvie ragioni, a riprendere direttamente il buco nero, il progetto EHT (Event Horizon Telescope) è stato ideato infatti per osservarne quindi l’orizzonte degli eventi: quella sfera entro la quale giace il buco nero e che fa da linea di confine bloccando, di fatto, tutte le informazioni in uscita tra cui anche la luce.

In aggiunta a questo, immaginiamo di poter scorgere nettamente un DVD posto sulla superficie della Luna: l’esatto paragone di come dovrebbe apparire l’orizzonte degli eventi Sgr A* nelle immagini riprese da EHT!

Sino ad ora, le migliori immagini dell’ambiente circostante Sgr A* sono quelle ottenute nelle onde radio sub-millimetriche tramite interferometria a base molto ampia (VLBI), sfruttata per l’imaging di sorgenti cosmiche anche molto lontane, che non sembrerebbero essere centrate sul buco nero ma deriverebbero da un punto luminoso, molto vicino al suo all’orizzonte degli eventi (che, lo ricordiamo, non coincide necessariamente con la superficie del buco nero; ricordiamo qui che il diametro di questo dovrebbe essere di circa 13 milioni di chilometri), nel disco di accrescimento.

C’è chi sostiene che la fonte radio possa in realtà essere un getto relativistico di materiale espulso dal disco stesso visto esattamente di fronte, rivolto, quindi, proprio in direzione del Sistema Solare.

Proiettandosi sulla costellazione del Sagittario, l’oscuro re della Galassia si rende meglio visibile dall’emisfero australe terrestre, ragione per la quale è stato utilizzato anche il nuovo e potente radiotelescopio ALMA, situato in Cile, e il South Pole Telescope, quest’ultimo esattamente in Antartide al polo sud, assieme alla rete formata da altri 12 radiotelescopi situati in Europa e Nord America.

La rete interferometrica di radiotelescopi impiegati nel progetto EHT per l’osservazione diretta dell’orizzonte degli eventi di Sgr A*.

La tecnica interferometrica ha quindi permesso di raggiungere una risoluzione più che doppia rispetto alle precedenti osservazioni, producendo un’immagine di Sgr A* – quella che tra poche ore potremo finalmente vedere! – con una risoluzione compresa tra 10 e 20 microsecondi d’arco e completamente priva dello sfocamento dovuto alla cosiddetta dispersione di segnale, causata da irregolarità nella densità nel mezzo interstellare ionizzato – giacente lungo la linea di vista tra Sgr A* e la Terra – e che va ad influire abbassandone il grado di risoluzione delle immagini radio.

Osservando attraverso il plasma si può quindi riuscire a penetrare a profondità sempre maggiori nel tumultuoso gas rovente che si trova al di sopra del’orizzonte degli eventi di Sgr A* …d’accordo, ma come? “Semplicemente”, aggiustando la frequenza dei radiotelescopi, spostandola su frequenze sempre più piccole.

La maggior parte della luce che fuoriesce da questa caotica regione è prodotta da un processo non dissimile a quello associato alle aurore boreali. Esattamente come il flusso solare di particelle cariche che si avvicina al campo magnetico terrestre, il gas in caduta in avvicinamento al buco nero subisce stiramenti e compressioni tali che le linee del campo magnetico presente nel plasma incandescente vengono tese, obbligando ancora più le particelle ad urtarsi, producendo così il segnale radio che rappresenta, in definitiva, il segnale lanciato da questo plasma in fase di annientamento, in un ultimo e disperato tentativo di renderci partecipi della sua esistenza, giunta ormai al termine.

Osservando quindi Sgr A* a frequenze sempre più piccole, sintonizzando i radiotelescopi da frequenze millimetriche a quelle sub-millimetriche, ecco che il mezzo circostante l’orizzonte degli eventi inizia ad essere sempre più trasparente e rilevante.

Quando la trasparenza arriva al punto tale da permettere di penetrare attraverso tutto il plasma, ciò che si percepisce è la radiazione emessa dal gas che si trova proprio sull’orlo del salto finale: in altre parole, siamo giunti al punto da poter vedere proprio l’orizzonte degli eventi del buco nero o, se vogliamo, l’ombra del buco nero al centro della Galassia!

Simulazione polarimetrica di Sgr A*. Crediti: Bromley, Melia & Liu.

Al fine di rimuovere la dispersione del segnale e raggiungere, così, la massima risoluzione consentita ad EHT è stata utilizzata una nuova tecnica, sviluppata dall’astronomo M. Johnson (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) che sfrutta il fenomeno della polarizzazione delle onde radio, indotta dal gas caldo ionizzato (plasma) in orbita attorno al buco nero: la radiazione polarizzata di questo tende a vibrare avanti e indietro nella stessa direzione imposta dal campo magnetico ad esso sottostante.
La radiazione polarizzata può essere osservata con una certa facilità facendo uso di filtri che ne rivelino la direzione di oscillazione: ecco quindi che, a frequenze sempre più piccole (sub-millimetriche), l’effetto di sfocatura indotto dal mezzo interstellare inizia a divenire sempre meno rilevante, permettendo di vedere l’orizzonte degli eventi (che apparirà come un’ombra oscura) e il gas orbitante con maggiore chiarezza rispetto a frequenze maggiori (millimetriche).

Attendiamo quindi di vedere la tanto attesa immagine di questo evento che darà certamente una svolta decisiva nella conferma della relatività generale in ambienti dall’intenso campo gravitazionale.

Dove seguire la diretta:

Gli aggiornamenti EHT sui canali social: Twitter (@ehtelescope#EHTblackhole), Facebook (@ehtelescope), and Youtube.

Focus TV ha poi previsto una diretta per il commento dei risultati dalle 14:30 sul canale 35, condotta da Luigi Bignami.


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
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Accademia delle Stelle

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SDO Solar Mission. Pioggia e vento sul Sole

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 Nell’immagine piogge coronali in piccoli anelli di plasma che costellano la superficie solare. Crediti: NASA’s Solar Dynamics Observatory/Emily Mason

Sulla Terra, la pioggia è solo una parte del più grande “ciclo dell’acqua“, una lotta senza fine, e senza vincitori, tra la spinta del calore e l’attrazione della gravità. Inizia quando l’acqua liquida, accumulata sulla superficie del pianeta in oceani, laghi o corsi d’acqua, viene riscaldata dal Sole. Parte di essa evapora e sale nell’atmosfera, dove si raffredda e si condensa in nuvole. Alla fine, quelle nuvole si condensano tanto da non riuscire più a resistere all’attrazione gravitazionale e l’acqua ricade sulla Terra sotto forma di pioggia, e il processo ricomincia…

Sul Sole tutto questo non può chiaramente esistere, le temperature sono talmente alte che, già qui sulla Terra come abbiamo visto, l’acqua evapora, ma se invece di avere a che fare con acqua liquida parliamo di plasma da un milione di gradi ecco che qualcosa di simile può accadere.

In questa animazione (SDO 2012) vediamo la pioggia coronale che è stata osservata in seguito a eruzioni solari, quando l’intenso riscaldamento associato a un brillamento solare si interrompe bruscamente dopo l’eruzione e il plasma rimanente si raffredda e ricade sulla superficie solare.  Crediti: Osservatorio sulla dinamica solare della NASA / Scientific Visualization Studio / Tom Bridgman, Lead Animator

Qui però iniziano le differenze con il ciclo dell’acqua terrestre. Sulla superficie del Sole, il plasma (che è un gas che ha carica elettrica) non si accumula come l’acqua in nubi, ma traccia dei circuiti magnetici che emergono dalla superficie del Sole sottoforma di archi. Alla base di questi archi, il plasma viene surriscaldato da poche migliaia a oltre 1,8 milioni di gradi Fahrenheit. A quel punto si innalza formando l’arco e si raccoglie al suo apice, lontano dalla fonte di calore (nell’immagine vedete le altezze che può raggiungere durante un’eruzione solare a confronto con le dimensioni della Terra!), dove si raffredda (per quello che questo termine può significare da quelle parti), si condensa e può quindi precipitare, a causa della gravità del Sole, sotto forma di pioggia coronale.

In particolare, piogge coronali sono state talvolta avvistate, come nell’immagine qui a destra, in concomitanza con i grandi brillamenti delle regioni attive, e dovrebbe avvenire molto spesso. Così almeno prevedeva la teoria e mostravano le simulazioni al computer. Un fenomeno che, se compreso a fondo, potrebbe darci la possibilità di svelare perché la corona solare, l’atmosfera esterna del Sole, è molto più calda della sua superficie (un “mistero” che ci portiamo avanti da 70 anni).

Ecco che, per cinque mesi a metà del 2017, Emily Mason ha osservato immagini del Sole, cercando tracce di questa pioggia senza riuscire a individuarla.  Studentessa della Catholic University of America di Washington, D.C., la Mason cercava in particolare giganteschi globuli di plasma che dall’atmosfera esterna “gocciolassero” verso la superficie, anche al di fuori dei brillamenti solari.

Una tra le foto più riuscite dell’eclissi di Sole del 1 agosto 2008, combinando la perfetta resa della corona solare, con i suoi pennacchi, con la tecnica della compositazione della luce cinerea del disco lunare. La ripresa è stata ottenuta dalla località di Altay Sun in Mongolia con una Canon 350D modificata al fuoco di un rifrattore Borg-77 ED montato su una Vixen GP-DX alimentata a pannelli solari. Media di 9 scatti in 3 gruppi da 1/500 a 1/4 di secondo. Foto di Marco Bastoni – Parma.

E li cercava, come suggeriva la teoria, nei pennacchi coronali (chiamati in ingelse helmet streamers per la somiglianza con i pennacchi degli elmi dei cavalieri), strutture che si richiudono a fiamma di candela, per l’azione del vento solare (per un approfondimento su come è composta l’atmosfera solare e sui meccanismi di formazione del vento solare potete leggere l’articolo, a lettura gratuita, dedicato allo Space Weather su Coelum astronomia 230). Sono quelle stesse strutture che vediamo “emergere” dalla corona solare durante un’eclissi.

Poi, nell’ottobre 2017, si è resa conto che forse aveva sempre cercato nel posto sbagliato.

In un articolo pubblicato il 5 aprile sull’Astrophysical Journal Letters, Mason e i suoi coautori descrivono infatti le prime osservazioni di pioggia coronale in un tipo di anello magnetico più piccolo, precedentemente trascurato, sul Sole. Non degli “acquazzoni” all’interno delle enormi manifestazioni della corona solare, quindi, ma una pioggerellina costante e insistente molto più vicina alla supeficie del Sole, e decisamente più diffusa e svincolata dalle grandi regioni attive.

Un poster che ritrae la suite di strumenti di cui è dotato l’Osservatorio solare SDO, grazie alla quale è in grado di analizzare e riprendere il nostro Sole in più lunghezze d’onda diverse contemporaneamente. Crediti: NASA/Goddard Space Flight Center Conceptual Image Lab

Grazie alle immagini scattate dal Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA, se per mesi la Mason non aveva trovato una singola goccia di pioggia in un pennacchio, aveva però notato una sfilza di minuscole strutture magnetiche, che non conosceva.  «Erano davvero brillanti e continuavano ad attirare il mio sguardo», racconta. «Quando finalmente gli ho dato un’occhiata c’erano, poco ma sicuro, decine di ore di pioggia alla volta».

Nicholeen Viall, fisico solare del Goddard e coautore dello studio, racconta di quel momento: «È venuta alla riunione di gruppo e ha detto: “Non l’ho mai trovata, ma la vedo sempre in queste altre strutture, ma non sono pennacchi”. Io ho detto, “Fermi tutti… dov’è che l’hai vista?! Non credo che nessuno l’abbia mai vista prima!”».

Un lavoro apparentemente “ingrato”, mesi e mesi a scrutare quelle immagini sempre uguali e all’improvviso la svolta. Se avesse trovato quello che cercava, confermando la teoria che comunque dice che deve piovere anche nei pennacchi, non avrebbe fatto questa nuova scoperta.

Gli anelli magnetici individuati, sono decisamente più piccoli di quelli in cui ci si aspettava di vedere pioggia coronale, con grumi di plasma molto più piccoli, ma diffusi su tutta la superficie del Sole. Con una altezza che in alcuni casi raggiunge anche i 50 mila chilometri dalla superficie, sono comunque alti appena il 2% rispetto all’altezza dei pennacchi in cui si stava cercando. Tutto questo fa pensare ai ricercatori che il calore della corona sia più localizzato di quanto ci si aspettasse e che qui potrebbe proprio essere dove si sviluppa. Anche se ancora il “come” di questo meccanismo di riscaldamento non è chiaro, dice la Mason: «(ora) sappiamo che deve accadere in questo strato».

Ma non è tutto. Una parte delle osservazioni non era allineata con le previsioni della teoria. Secondo quello che sappiamo finora, la pioggia coronale si forma solo su anelli chiusi, dove il plasma viene contenuto, senza possibilità di fuga, condensandosi e raffreddandosi per poi ripiovere sulla superficie. Ma analizzando i dati, la Manson ha trovato casi in cui la pioggia si stava formando su linee di campo magnetico aperte, con la seconda estremità estesa verso lo spazio dove il plasma scappa verso l’esterno. Per spiegare l’anomalia, lo studio propone una spiegazione alternativa, che collega la pioggia coronale di queste minuscole strutture magnetiche con le origini del cosiddetto vento solare “lento”.

Nella nuova ipotesi, il plasma inizia il suo viaggio su un circuito chiuso, ma passa – attraverso un processo noto come riconnessione magnetica – a una linea aperta. Il fenomeno si verifica frequentemente sul Sole, e lo vediamo anche nel video di apertura: quando un circuito chiuso si scontra con una linea di campo aperta, si riconfigura aprendosi e unendosi in parte ad essa. A quel punto, il plasma surriscaldato sul circuito chiuso si trova su una linea di campo aperta e, mentre una parte già abbastanza condensata si raffredda e ricade sul Sole, sottoforma di pioggia coronale, il sospetto è che parte invece resti intrappolata nel nuovo binario e fugga verso l’esterno alimentando in parte il vento solare più lento.

Animazione del perielo di SDO. Crediti: Johns Hopkins University Applied Physics Lab

Per avere una conferma di questa nuova spiegazione sono necessarie nuove osservazioni a breve termine, per affinare le simulazioni al computer su cui ora il team, e Emily Manson, stanno lavorando. E la Parker Solar Probe, potrebbe fornirle.

La sonda ha da poco concluso il suo secondo avvicinamento al Sole: il 4 aprile ha raggiunto i 24 milioni di chilometri dalla nostra stella, viaggiando a una velocità di 343,112 chilometri all’ora. Il team missione, presso il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL), è riuscito a seguirla per tutto l’avvicinamento (iniziato il 30 marzo e che si concluderà il 10 aprile) e grazie al collegamento tramite il Deep Space Network ha avuto la conferma che la sonda sta funzionando come deve e sta raccogliendo dati attraverso tutti i suoi strumenti scientifici.

Viaggiando vicina al Sole, più di quanto altre sonde abbiano mai fatto prima, potrebbe trovarsi in mezzo alle raffiche di quel vento solare lento, e raccogliere i dati necessari per tracciare una di queste raffiche per poterla collegare a un evento simile a quelli individuati dalla Manson. Dopo una lunga e tortuosa ricerca nella direzione sbagliata, ci troveremmo allora non solo ad avere un collegamento con il riscaldamento anomalo della corona, ma anche con la ricerca della sorgente del vento solare lento – due dei più grandi misteri che la fisica solare si trova oggi ad affrontare.


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AstronomiAmo

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AstronomiAmo

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:

11 aprile: CORSO DI ASTROFOTOGRAFIA

16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

Luna, Marte e Pleiadi con Aldebaran e un bel passaggio della ISS!

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Torniamo nel Toro, dopo l’incontro dello scorso 30 marzo, per ritrovare ancora una volta gli stessi attori: Marte, le Pleiadi, Aldebaran con al seguito le Iadi. Questa volta però al balletto celeste si aggiungerà una nuova protagonista, una sottile falce di Luna (fase del 12%).

La sera dell’8 aprile, la Luna si troverà in posizione sottomessa agli altri astri che la sovrasteranno: più in alto di circa 8°, troveremo prima le Pleiadi, a nordovest della Luna, poi Marte (mag. +1,5), posto quasi sulla verticale con il nostro satellite naturale, e infine Aldebaran (alfa Tau, mag. +0,9).

Nasa Apod del 2 aprile 2019: la stazione spaziale internazionale davanti alla Luna. Crediti: Eric Holland

Circa 40 minuti prima dell’ora consigliata, attorno alle 20:48, con i protagonisti di questa formazione ancora alti in cielo (la Luna sarà a circa 22° di altezza), potremo osservare nei dintorni della Luna anche un passaggio della Stazione Spaziale Internazionale. Controllate bene le circostanze per la vostra località, perché per alcuni fortunati del Centro Sud (ad esempio poco a sud di Campobasso) si tratterà di un transito della ISS sul disco lunare.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Il 9 aprile, sarà possibile apprezzare lo spostamento della Luna verso Aldebaran, con cui sarà in congiunzione, a una distanza di circa 2° e 15’ a nord-nordovest della stella. Sarà molto bello, ancora una volta, il quadro d’insieme, che unisce oggetti del Sistema Solare e del profondo cielo: sarà senza dubbio un’ottima occasione per scattare una fotografia che testimoni la fine della stagione invernale, segnata dal tramonto del Toro, inserita in un contesto paesaggistico in fioritura e rinvigorimento tipico della stagione primaverile.

Per arricchire l’osservazione, o se proprio il cielo fosse nuvoloso, ad Aldebaran e le Iadi sono dedicate più puntate della rubrica di Stefano Schirinzi sul ricco campo della costellazione del Toro. Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta dei tesori delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

E ancora su Coelum astronomia di aprile:

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 232

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Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

12.04 e 26.04: Il cielo al castello di Montarrenti
Come ogni secondo e quarto venerdì del mese, dalle ore 21.30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna al primo quarto (giorno 12) e alle galassie primaverili (giorno 26). Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

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Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAF

INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

11/04/2019, 09:00 – 12:00, Napoli – Osservatorio Astronomico di Capodimonte
La chimica dell’universo – Conversazioni di Fisica a Capodimonte
Secondo il filosofo positivista Comte, attivo nel XIX secolo, l’uomo non potrà mai sapere di che materia sono fatte le stelle, perché non può raggiungerle. I fisici affermano, al contrario, di sapere con certezza che tutti i corpi celesti sono composti dalle stesse particelle: elettroni, protoni, neutroni, atomi sono uguali in tutto l’Universo.
Chi ha ragione? Relatore: Umberto Scotti di Uccio.

09/05/2019, 09:00 – 12:00, Napoli – Osservatorio Astronomico di Capodimonte
La geologia di Marte – Conversazioni di Fisica a Capodimonte
Una panoramica delle principali strutture geologiche superficiali e dei metodi usati per studiarle e per ricostruire la sua interessante storia geologica. Relatori: Ciprian Popa e Simone Silvestro.
Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
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