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La Luna di Aprile 2019 e una guida alla Regione Polare Nord (Parte D)

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Le fasi della Luna in aprile, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in aprile, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Si comincia con la Luna Nuova alle 10:50 del giorno 5 aprile. Nel corso del nuovo ciclo lunare, la Luna inizierà a rendersi progressivamente sempre più visibile e osservabile anche telescopicamente nel cielo serale con la fase di Primo Quarto prevista per le 21:06 del 12 aprile quando si troverà a un’altezza di +59° nella costellazione dei Gemelli. Proseguendo nella fase di Luna Crescente il nostro satellite entrerà in Plenilunio alle 13:12 del giorno 19 per poi riprendere la fase opposta fino all’Ultimo Quarto previsto per il 27 aprile alle 00:18,

Approfondisci in la Luna di Aprile su Coelum Astronomia 232

Ad aprile osserviamo

 

 

9 aprile I crateri Messier e Messier-A

La prima proposta è dedicata all’osservazione di una interessantissima coppia di crateri: Messier e Messier-A in programma per la serata del 9 aprile partendo dalle 20:30 circa.  Si tratta di due piccoli crateri situati nel mare Fecunditatis, entrambi con diametro di 13 km, la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Copernicano (non oltre un miliardo di anni fa).

➜ Continua con i dettagli dell’osservazione di Messier e Messier-A

14 aprile. Il Monte La Hire

La seconda proposta di aprile ha come target il monte La Hire, osservazione prevista per la serata del 14 aprile, quando il nostro satellite alle 20:30 circa sarà in fase di 9,4 giorni a un’altezza iniziale di +59° (Colong. 29,4°; frazione illuminata 72,2%) e con transito in meridiano alle 21:26 a +62°, pertanto a nostra disposizione fino in tarda nottata.

➜ continua su Il Monte La Hire

17 e 18 aprile. La Regione Polare Nord (Parte D)

Con la terza e principale proposta di aprile viene completata la visita alla Regione Polare Nord (D) del nostro satellite, suddivisa questo mese nelle serate del 17 e 18 aprile quando andremo a osservare le regioni lunari fino in prossimità del bordo più nordoccidentale.

Anche in questo numero intendiamo ricordare che la collocazione geografica delle strutture che osserveremo risentirà inevitabilmente dello schiacciamento prospettico tipico delle formazioni lunari lontane dal centro geometrico del disco della Luna.

➜ Guida all’osservazione della Regione Polare Nord (Parte D)

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna di Giorgia Hofer

➜ Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

 

La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena di Giorgia Hofer

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!

E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 232

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

 

La febbre della Luna

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Nasa Apod del 2 aprile 2019: la stazione spaziale internazionale davanti alla Luna. Crediti: Eric Holland
Nasa Apod del 2 aprile 2019: la stazione spaziale internazionale davanti alla Luna. Crediti: Eric Holland

Attualmente si conosce ancora poco della struttura interna della Luna. Tuttavia, recentemente è stato fatto un importante passo avanti in questa direzione da Ananya Mallik, una scienziata dell’Università del Rhode Island che ha condotto esperimenti per determinare la temperatura al confine tra nucleo e mantello del nostro satellite. Dai suoi esperimenti, Mallik è riuscita a dedurre una temperatura tra 1.300 e 1.470 gradi Celsius, un valore che si colloca all’estremo superiore di una precedente stima affetta da un’incertezza di circa 800 gradi.

«Per comprendere la struttura interna della Luna, abbiamo bisogno di definire nel migliore dei modi il suo stato termico», afferma Mallik. «Ora conosciamo la temperatura in due zone: al confine tra il nucleo e il mantello, e alla superficie, come misurata dalle missioni Apollo. Sapere la temperatura di queste due zone ci aiuterà a creare un profilo di temperatura interna della Luna, di cui abbiamo necessariamente bisogno per determinarne lo stato interno, la sua struttura e la sua composizione».

Secondo Mallik, la Luna ha un nucleo di ferro, come quello della Terra. Precedenti ricerche basate su dati sismici, hanno scoperto che tra il 5 e il 30 per cento del materiale al confine tra nucleo e mantello si trova in uno stato liquido o fuso. Ma perché dovremmo avere del materiale fuso a quella

Struttura interna della Luna. Crediti: Wikimedia Commons

Per rispondere a questa domanda, la scienziata nel 2016 ha condotto una serie di esperimenti presso il Bavarian Research Institute of Experimental Geochemistry and Geophysics in Germania, utilizzando un dispositivo in grado di esercitare le alte pressioni che si trovano nelle profondità della Luna. Ha preparato un minuscolo campione di materiale simile a quello trovato sulla Luna, lo ha compresso a una pressione 45mila volte superiore alla pressione atmosferica della Terra – che è la pressione che si ritiene esista nel limite interno del mantello della Luna – e ha usato un riscaldatore di grafite per innalzare la temperatura del campione fino a quando non si è parzialmente sciolto.

«L’obiettivo era quello di determinare quale intervallo di temperatura avrebbe prodotto tra il 5 e il 30 per cento di materiale fuso, dal quale avremmo potuto estrapolare l’intervallo di temperature al limite del mantello principale», riferisce Mallik.

Ora che, grazie a questo esperimento, l’intervallo di temperatura sul confine nucleo-mantello è stato ridotto notevolmente, gli scienziati possono iniziare a sviluppare un profilo di temperature della Luna più preciso ed andare avanti determinando anche un profilo dei minerali che compongono il mantello, dalla crosta al nucleo.

«È importante conoscere la composizione della Luna per capire meglio perché si è evoluta in un certo modo», ha detto Mallik. «La storia della Terra e quella della Luna risultano essere intrecciate sin dall’inizio. Entrambe sono il prodotto di una grande collisione tra quella che era la proto-Terra e un corpo di dimensioni approssimativamente pari a quelle di Marte, verificatosi oltre 4.5 miliardi di anni fa. Quindi, per capire meglio la nostra Terra, può essere utile conoscere la nostra vicina Luna, proprio perché hanno avuto un inizio comune».

URI Assistant Professor Ananya Mallik. Crediti: Nora Lewis

«La Terra è complicata» ha continuato la scienziata. «Qualsiasi somiglianza nella composizione tra la Terra e la Luna può darci un’idea di come si sono formati questi due corpi planetari, dell’energia della collisione e di come gli elementi siano stati suddivisi tra le due parti».

La scienziata ha inoltre osservato che la Terra si è evoluta attraverso il processo della tettonica a placche, responsabile della deriva dei continenti, della topografia della superficie terrestre, della regolazione del clima a lungo termine e forse anche dell’origine della vita. Ma non sussistono evidenze di placche tettoniche sulla Luna.

«Tutto sulla Terra accade a causa della tettonica delle placche», ha detto. «Sulla Luna non c’è traccia di questo processo. Questa evidenza cosa ci dice della nostra Terra? È lo stesso motivo per cui studiamo Marte e Venere: sono i nostri vicini più prossimi e abbiamo avuto un inizio comune, ma perché sono così diversi dal nostro pianeta?»

I prossimi passi nella ricerca della Mallik riguarderanno la determinazione sperimentale della densità del materiale fuso al confine del mantello, che raffinerà ulteriormente l’intervallo di temperatura. In collaborazione con Heidi Fuqua Haviland, che lavora presso il Marshall Space Flight Center della Nasa, e Paul Bremner, che lavora presso l’Università della Florida, la scienziata combinerà questi risultati con quelli ottenuti da metodi computazionali per ricavare il profilo della temperatura e la composizione dell’interno della Luna.

Per saperne di più:


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
Ora online, come sempre in formato digitale, pdf e gratuito.

AstronomiAmo

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AstronomiAmo

6 aprile, ore 16:00: Incontri di Astronomia Live con il Prof. Luciano Iess (La Sapienza), presso Via del Mandrione 190, Roma

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:

11 aprile: CORSO DI ASTROFOTOGRAFIA

16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

NEIL ARMSTRONG The First

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Neil Armstrong

Neil Armstrong

Il 20 luglio 1969, noi esseri umani del pianeta Terra, eravamo su un altro mondo.
In quel preciso istante iniziava una nuova era dell’umanità.

Una mostra itinerante sulla vita e la carriera di Neil Armstrong commemorerà il 50° anniversario di Apollo 11 e tutto il programma lunare, include le foto della carriera di Neil Armstrong con scatti inediti o poco noti al grande pubblico. Potrete ammirare i modelli dei veicoli spaziali utilizzati da Neil Armstrong, le tute e le attrezzature utilizzate sulla superficie lunare, documenti originali, rari reperti dell’epoca, ricostruzioni a grandezza naturale. Video e suoni multimediali accompagneranno il visitatore nel più grande sogno dell’uomo: quello di raggiungere la Luna.
Leggi a pag. 176 di Coelum Astronomia 232 un articolo sulla mostra con tutti i dettagli.
Sul sito il calendario delle date e le località in continuo aggiornamento. Prossime date pubbliche confermate:

5/11.04 SPILAMBERTO (MO)
Organizzatore: Comune di Spilamberto – info@comune.spilamberto.mo.it
05.04, ore 20.30: “Neil Armstrong – The First” con il curatore della mostra Luigi Pizzimenti.
07.04, ore 17.30: “Sulla luna? Sì, ci siamo andati” con Paolo Attivissimo, giornalista e divulgatore scientifico.
09.04, ore 20.30: proiezione del film “Il Diritto di contare”.
Tutte le iniziative collaterali sono ad ingresso gratuito.

22/26.05 SOGLIANO AL RUBICONE
Organizzatore: Associazione Astrofili Soglianesi VEGA – info@astrofilisoglianesi.it
24.05: “Neil Armstrong – The First” con il curatore della mostra Luigi Pizzimenti.

Se desiderate ospitare la mostra scrivete a: info@neilarmstrongthefirst.it
www.neilarmstrongthefirst.it

Accademia delle Stelle

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Accademia delle Stelle

Accademia delle Stelle

Scuola di Astronomia a Roma
Ad aprile, due nuovi corsi di Astronomia: dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).

5 aprile: Notte europea della geografia, presso il Museo storico dell’Aeronautica Militare

13 aprile 2019, dalle 17:00 alle 22:00: Luna, Sole e stelle al Parco delle Valli

Da giovedì 4 aprile: Corsi di ArcheoAstronomia.
Corso di Archeoastronomia ed astronomia Culturale per scoprire le conoscenze astronomiche degli antichi attraverso l’importanza che l’astronomia ha avuto in tutta la storia dell’umanità.

Da lunedì 29 aprile: Corso avanzato.
8 conferenze su argomenti che non vengono trattati di solito nei corsi base di astronomia. Approfondimenti che rivestono un interesse esorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.

Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.

Informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://www.accademiadellestelle.org

Corsa allo Spazio! SPAZIO INAF

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play

playAll’interno di PLAY festival del gioco (ModenaFiere), Padiglione C
Anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica partecipa con un suo stand e tante attività per grandi e piccini.

Sabato 6, ore 16:30: ASTROFISICA IN GIOCO – L’esplorazione dello Spazio tra gioco e divulgazione. Dibattito fra Roberto Orosei (ricercatori INAF), Sara Ricciardi (ricercatrice INAF), Mario Sacchi (editore e curatore dei giochi Kepler-3042 e S.P.A.C.E.) e Andrea Crespi (autore dei giochi Apollo XIII e 1969).

E per tutta la durata della fiera:
Esplorazione marziana con gli MBOT
Potrai condurre i piccoli rover su una riproduzione del suolo marziano.

Tinkerspace – giochiamo a sbagliare?
Come funziona la testa di un ricercatore? che significa inventare una cosa completamente nuova e soprattutto: cosa c’entra una pista delle biglie con l’astrofisica?

Virtual Reality
Dieci minuti di uscita extraveicolare nel Mare della Tranquillità, tra il modulo lunare LEM e le varie attrezzature scientifiche posizionate nel corso della missione Apollo 11, alle coordinate lunari: 8° 30′ Nord, 31° 24′ Est. E’ possibile utilizzare la VR dai 10 anni di età.

a Space Journey
Gioco di Ruolo (demo): La nave ammiraglia della classe esplorativa, la nuovissima INAF 1112, sarà la prima di una lunga serie a partire per una missione esplorativa e a oltrepassare le frontiere del nostro Sistema Solare.

Selfie dal mare della Tranquillita’
Scattati un selfie da fare invidia ai tuoi migliori amici. Dove? Sulla Luna, a circa 400 mila chilometri da Modena e nel bel mezzo del Mare della Tranquillità.

Cosmic Mission
l’esplorazione spaziale e la “gamification” al servizio della didattica della scienza. Caccia al Radiotesoro Andrai a caccia di onde radio, proprio come fanno i radioastronomi che in questo modo studiano l’Universo, cercando di capire sempre più a fondo la sua natura, le sue origini e il suo destino.

Tutti le informazioni e gli eventi sul sito della manifestazione www.play-modena.it

Tutta la potenza delle stelle vista dal centro della Via Lattea

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Un frame della simulazione che ci mostra un flusso di gas che si scontra con il materiale emesso da stelle giganti, il tutto nel teatro delle enormi forze mareali attorno al buco nero supermassicio al centro della Via Lattea. Crediti: NASA/CXC/Pontifical Catholic Univ. of Chile /C.Russell et al.

Finalmente ci siamo! Dall’ESO è arrivato l’annuncio di una conferenza stampa per il 10 aprile, in cui la Commissione Europea, il Consiglio europeo per la Ricerca e il progetto EHT (Event Horizon Telescope) presenteranno “un risultato rivoluzionario da parte dell’EHT”. Sono due anni che attendiamo notizie su quella che è stata chiamata “la foto del secolo”, una ripresa di Sagitarius A* (in breve Sgr A*), il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea, o per lo meno della sua “ombra” (non potendolo, come sappiamo, osservare in modo diretto, ma potendo solo vedere quel che accade attorno al suo confine).

A quanto pare ci siamo…

Per conoscere qualcosa di più della nostra galassia, grazie agli ultimi dati della DR2 di Gaia, trovate un articolo di approfondimento nel nuovo numero di Coelum astronomia, in questi giorni online, dal titolo “I Segreti della Via Lattea”, come sempre in formato digitale e a lettura gratuita.

Mentre nell’attesa della conferenza stampa possiamo goderci questo nuovo video che ci porta al centro della nostra galassia, dal punto di vista di Sgr A*. Nel filmato che vedete qui sotto, un video a 360°, abbiamo infatti l’opportunità  di guardarci attorno come se fossimo seduti sull’orizzonte degli eventi del buco nero al centro della nostra galassia.

La simulazione è stata ottenuta grazie al supercomputer NASA Ames che ha combinato dati dell’Osservatorio a raggi X Chandra per mostrarci gli effetti dell’interazione di dozzine di enormi giganti stellari e dei loro feroci venti che soffiano via il loro guscio superficiale verso la regione che, a pochi anni luce di distanza, segna i confini del buco nero. Venti che forniscono il materiale di cui il buco nero si nutre.

Vediamo allora nugoli densi di materiale fluire dalle stelle verso Sgr A*, che si formano quando i venti stellari delle stelle giganti si scontrano tra loro. Lungo il loro fluire possiamo osservare nubi di gas a densità relativamente più bassa cadere verso il buco nero. Tutto questo era già visibile in una precedente simulazione, in questa nuova versione vediamo in  blu e ciano l’emissione di raggi X da gas caldo, con temperature di decine di milioni di gradi. Il colore rosso ci indica regioni moderatamente dense di gas più freddo, con temperature di decine di migliaia di gradi mentre in giallo vediamo lo spettacolo dei gas più freddi con le più alte densità.

Allontanandosi dal centro, vediamo le nubi di gas con emissione in raggi X muoversi più lentamente, con una velocità che aumenta man mano che si avvicinano sfrecciando attorno all’osservatore al centro della galassia. Un lampo di raggi X viene emesso quando questi flussi si scontrano con il gas espulso da altre stelle, quando il gas viene riscaldato dall’impatto per poi raffreddarsi velocemente.

Quando si verifica un’esplosione in gas molto vicini al buco nero, questo si scontra con il materiale in arrivo dalle stelle giganti, spingendolo indietro e facendolo anch’esso brillare nei raggi X, per poi spegnersi man mano che l’esplosione si attenua.

Questa simulazione a 360°  dal centro galattico è stata idealmente progettata per la visualizzazione in realtà virtuale, attraverso occhiali come i Samsung Gear VR o il Google Cardboard, ma può essere goduta anche sullo schermo di uno smartphone tramite l’app YouTube (cliccando sul video qui sotto). Grazie ai sensori di movimento ci si può “guardare attorno” attraverso lo schermo del telefono, muovendosi nello spazio come se fosse un dispositivo per realtà virtuale (come nelle foto panoramiche o in tutte quelle app di osservazione del cielo, ad esempio). Tramite browser possiamo invece guardarci attorno cliccando nel video, qui sotto, e trascinando con il mouse la scena nella direzione desiderata.

Questa nuova simulazione è stata presentata al 17 ° Meeting di Astrofisica delle alte energie (HEAD) dell’American Astronomical Society tenutosi a Monterey, in California, dal 17 al 21 marzo scorso, da Christopher Russell della Pontificia Università Cattolica del Cile (Pontifical Catholic University), che ne aveva curato anche la prima versione.

E ora… tutti in attesa del vero volto di Sagittarius A*!


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
Ora online, come sempre in formato digitale, pdf e gratuito.

Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

06.04: Il cielo di aprile.
Come ogni primo sabato del mese, l’appuntamento per il pubblico è alle ore 21.30 presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo del periodo. Al centro dell’attenzione le numerose galassie di Leone, Vergine, Chioma di Berenice e tanti altri oggetti. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione da effettuare on line sul sito www.astrofilisenesi.it oppure tramite Davide Scutumella 3388861549. In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

12.04 e 26.04: Il cielo al castello di Montarrenti
Come ogni secondo e quarto venerdì del mese, dalle ore 21.30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna al primo quarto (giorno 12) e alle galassie primaverili (giorno 26). Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Asteroide condannato all’autodistruzione

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L’asteroide Gault ripreso dal telescopio spaziale Hubble con le sue due sottilissime code. La più lunga misura circa 800mila km, la più corta 200mila. Crediti: Nasa, Esa, K. Meech and J. Kleyna (University of Hawaii) e O. Hainaut (European Southern Observatory)
L’asteroide Gault ripreso dal telescopio spaziale Hubble con le sue due sottilissime code. La più lunga misura circa 800mila km, la più corta 200mila. Crediti: Nasa, Esa, K. Meech and J. Kleyna (University of Hawaii) e O. Hainaut (European Southern Observatory)

È un asteroide di qualche km di diametro, fra i 4 e i 9 dicono le stime. Avvistato per la prima volta nel 1988. Ma da qualche mese esibisce un comportamento bizzarro: ha una coda. Anzi, due. Come un frac. Due lunghe e sottilissime scie di polvere che lo fanno somigliare a un’elegante cometa. E che invece sono il sintomo di un fenomeno d’autolesionismo: 6478 Gault – questo il suo nome – sta attraversando un processo che potrebbe portarlo all’autodistruzione.

I primi sospetti che qualcosa non andasse sono emersi lo scorso 5 gennaio, quando il telescopio Atlas (Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System), dalle Hawaii, registrò per primo la presenza di una coda. Qualche giorno più tardi, a metà gennaio, altri telescopi – fra i quali il Canada-France-Hawaii e l’Isaac Newton spagnolo – hanno mostrato che le code erano, appunto, due. Una successiva ricerca nei dati d’archivio ha poi permesso di stabilire le date esatte in cui sono comparse: rispettivamente, il 28 ottobre e il 30 dicembre 2018. Dunque un fenomeno molto recente, e destinato a sparire nell’arco di qualche mese, quando la polvere che forma le due scie si disperderà nello spazio interplanetario.

Questo per quanto riguarda l’aspetto. Ma le cause? A cosa sono dovute, quelle due lunghe code, che più si addicono a una cometa? Tre le ipotesi in campo. Una, la più improbabile, è che sia in corso un processo di sublimazione: questo sì che lo renderebbe simile a una cometa, ma i dati raccolti la rendono l’ipotesi meno gettonata.

Una seconda possibilità è che le code si siano formate a seguito di uno o più impatti. C’è però un problema: se così fosse accaduto – scrivono gli autori dell’articolo che descrive la scoperta, in uscita su The Astrophysical Journal Letters – oltre che nelle code dovremmo vedere polvere anche nei pressi del nucleo. E invece pare non essercene traccia, o quasi, nel raggio di 50 metri dalla superficie dell’asteroide. Segno del fatto che il rilascio di materia è avvenuto con una velocità iniziale piuttosto contenuta, dunque incompatibile con l’ipotesi dell’impatto.

Ed è proprio la misura della velocità relativa della polvere – circa 70 cm/s – ad aver convinto gli autori dello studio che probabilmente l’ipotesi corretta è la terza: Gault sta attraversando fasi di autodistruzione dovute al cosiddetto effetto Yorp. Un effetto piuttosto raro: in termini epidemiologici l’incidenza è di uno su un milione, nel senso che su circa 800mila asteroidi conosciuti a esserne colpito è più o meno uno all’anno. Un effetto che predilige i corpi più piccoli: in pratica, ciò che avviene è che la luce del Sole li fa ruotare a velocità sempre più elevata, fino a che non raggiungono una soglia critica oltre la quale cominciano letteralmente a perdere pezzi. Ebbene, il periodo di rotazione di Gault – definito un “rotatore ultraveloce” – è attualmente di circa due ore: pericolosamente vicino alla soglia critica. Non solo: se la stima del diametro è corretta, all’equatore la velocità superficiale si aggira attorno ai due metri al secondo. Compatibile, dunque, con la velocità della polvere presente nelle code.

«Gault è una pistola fumante: è il miglior esempio che abbiamo di un “rotatore veloce” prossimo alla soglia delle due ore», spiega il primo autore dello studio, Jan Kleyna dell’università delle Hawaii (Usa). «Potrebbe essersi mantenuto sull’orlo dell’instabilità per 10 milioni di anni. Poi potrebbe essere stata sufficiente una minima interferenza, l’impatto con un sassolino, per scatenare le recenti emissioni».

Gli scienziati sono anche riusciti a misurare la quantità di materia perduta dall’asteroide nei due eventi del 2018: 7 milioni di tonnellate nel primo, 40mila tonnellate nel secondo. Materia che potrà offrire preziosi elementi per comprendere il processo di formazione dei pianeti agli albori del Sistema solare.

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo “The Sporadic Activity of (6478) Gault: A YORP-driven event?”, di Jan T. Kleyna, Olivier R. Hainaut, Karen J. Meech, Henry H. Hsieh, Alan Fitzsimmons, Marco Micheli, Jacqueline V. Keane, Larry Denneau, John Tonry, Aren Heinze, Bhuwan C. Bhatt, Devendra K. Sahu, Detlef Koschny, Ken W. Smith, Harald Ebeling, Robert Weryk, Heather Flewelling e Richard J. Wainscoat

I Segreti della Via Lattea
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Coelum Astronomia di Aprile 2019
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Luna cinerea e Venere al mattino, con uno sfuggente Mercurio

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Appuntamento problematico quanto interessante, e quindi anche stimolante, per il 2 aprile quando, alle 06:10, sorgerà nella costellazione dell’Acquario una sottilissima falce di Luna con età di 26,5 giorni preceduta dal pianeta Venere (separazione di 3,2°) e in contemporanea, ma a maggiore distanza, col pianeta Mercurio (separazione di 10°).

La falce di Luna, piuttosto bassa sull’orizzonte, sarà immersa nelle luci del crepuscolo mattutino, sovrastata dal brillante pianeta Venere (mag. – 4,0).

Mercurio invece sarà molto difficile da rintracciare: ben più basso della Luna e con una luminosità pari a mag. +0,7, sarà più difficile da scorgere nel chiarore dell’alba in arrivo.

Considerato l’imminente sorgere del Sole, si raccomandando tutte le precauzioni del caso, in quanto il tempo a disposizione per l’osservazione e la ripresa fotografica non supererà i 30 minuti.

Due le rubriche di Giorgia Hofer che vi suggeriamo per questo tipo di riprese:

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

E ancora su Coelum astronomia di aprile:

Le falci Lunari di Aprile

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 232

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Astroiniziative UAI – Unione Astrofili Italiani

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6-7 aprile: Meeting Corpi Minori
INAF Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Salita Moiariello 16, Napoli
Organizzato dalle Sezioni Asteroidi, Comete e Meteore dell’UAI, presso l’Osservatorio Astronomico INAF di Capodimonte (Napoli), in collaborazione con l’Unione Astrofili Napoletani
www.uai.it/ricerca-e-studi

17-19 maggio: 52° Congresso Nazionale UAI
Il vero momento di «incontro e socializzazione» di tutta la comunità astrofila: un fine settimana per fare il punto della situazione, promuovere attività e condividere esperienze, offrire nuovi stimoli e anche vivere momenti di grande divulgazione scientifica. Quest’anno a Bologna in collaborazione con l’Associazione Astrofili Bolognesi
https://www.uai.it/astrofilia/congressouai/congresso-2019/congresso-2019.html

AstronomiAmo

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AstronomiAmo

AstronomiAmo

6 aprile, ore 16:00: Incontri di Astronomia Live con il Prof. Luciano Iess (La Sapienza), presso Via del Mandrione 190, Roma

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:
2 aprile: SPACE DEBRIS con Pierluigi DI LIZIA (PoliMi)

11 aprile: CORSO DI ASTROFOTOGRAFIA

16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

Congiunzione Marte e Pleiadi

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In seconda serata, la costellazione del Toro sarà in procinto di tuffarsi sotto l’orizzonte occidentale e sarà ben distinguibile la chiara forma a “V” tracciata dalle Iadi, in cui domina Aldebaran, stella Alfa del Toro.

Nel complesso si tratta di una configurazione astrale molto affascinante e in fotografia, nella quale potranno essere ripresi anche elementi paesaggistici, sarà bello notare il contrasto cromatico fornito dall’accoppiata di color arancio costituita da Marte e Aldebaran, contro il colore spiccatamente azzurrino delle Pleiadi.

Visibile alta in cielo non appena farà buio, volendola riprendere nel paesaggio non avremo però molto tempo a disposizione: all’orario indicato in cartina, Marte (alto 8 gradi e mezzo) tramonterà alle 22:53 circa, lasciandoci in pratica non più di mezz’ora per immortalare la scena.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019

Per arricchire l’osservazione, o se proprio il cielo fosse nuvoloso, ad Aldebaran e le Iadi sono dedicate più puntate della rubrica di Stefano Schirinzi sul ricco campo della costellazione del Toro. Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!


E’ il momento di prepararsi per il Cielo di Aprile!
Lo trovi su Coelum Astronomia 232 ora online.

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Il Cielo di Aprile 2019

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mar > 23:00; 15 Mar > 22:00; 31 Mar > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI
(apr.-ott. 2019 – TU+2)

Luna

Sole e Pianeti

Solo l’Auriga, con la splendente Capella, e i Gemelli, più alte in declinazione, terranno ancora testa alle incalzanti costellazioni primaverili. Tra queste, l’imponente figura trapezoidale del Leone dominerà il cielo in meridiano, seguito più a est dalla Vergine, con la brillante Spica, e dal Boote, con la rossa Arturo, facilmente rintracciabile in cielo.

Sull’orizzonte di est–nordest, comincerà invece ad alzarsi la figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno, le cui stelle principali, Vega e Deneb, tracciano (assieme ad Altair, nell’Aquila) il famoso “triangolo” che ci spinge già ad assaporare con la mente il caldo periodo estivo. Lo zenit sarà invece dominato dal Grande Carro dell’Orsa Maggiore.

Continua l’esplorazione del cielo con:

➜ Il Cielo di aprile con la UAI che questo mese ci porta al centro dell’Ammasso della Vergine

➜ Per l’osservazione al telescopio: Visioni galattiche nel Leone

IL SOLE

Il Sole si muoverà nella costellazione dei Pesci fino al 20 aprile, data in cui entrerà in Ariete. Complessivamente, nel corso del mese guadagnerà 10° in declinazione, passando dai +53° ai +63° come massima altezza raggiunta sull’orizzonte al momento del transito al meridiano. Ciò si tradurrà in una durata della notte astronomica che supererà di poco le 7 ore (in media): se a inizio mese il crepuscolo astronomico finirà verso le 21:15, alla fine bisognerà attendere le 22:15, mentre al mattino le osservazioni non potranno protrarsi mediamente oltre le 5:00.

➜ Continua a leggere sul Cielo di Aprile

COSA OFFRE IL CIELO

Per quanto riguarda i pianeti, MercurioVenere e Marte si fanno sempre meno alti e brillanti. Se Mercurio sparirà del tutto nella seconda metà del mese, i secondi due potranno comunque continuare ad essere osservati, rispettivamente nel cielo del mattino e della sera (Marte tramonta prima della mezzanotte), ma sicuramente non nelle loro migliori condizioni. GioveSaturno, invece, continuano sempre più a prendersi la scena, proiettati verso le loro opposizioni estive.

Approfondisci le condizioni dei singoli pianeti, dei pianeti nani e dei principali asteroidi nella sezione dedicate del Cielo del mese di Aprile.

Crediti: Coelum astronomia CC-BY

Segnaliamo invece tra i tanti incontri tra Luna e gli astri di questo mese, che trovate sempre tra le pagine della rivista o in questa sezione del sito nel corso del mese, un evento in particolare:

13 aprile La Luna occulta M 44

Nonostante si trovi in fase del 61%, e quindi con una luminosità non trascurabile, tra le ore 21:00 del 13 aprile e l’1:00 del 14 aprile, sarà comunque possibile osservare il lembo oscuro della Luna occultare in successione alcune stelle del l’ammasso. Per l’osservazione occorrerà un binocolo o un piccolo telescopio.

Mentre per quanto riguarda gli sciami meteorici è il momento delle Liridi, ma solo nominalmente, la scarsa quantità di meteore per ora e il chiarore della Luna non le rendono particolarmente appetibili, ma qualche bella meteora luminosa potrebbe sempre apparire, il massimo è previsto tra il 22 e il 23 aprile. Al link dettagli e cartina.

Per quanto riguarda le falci lunari, le troviamo concentrate prima e dopo la Luna Nuova del 5 aprile.

Trovate come sempre tutte le informazioni sulle rubriche:

E ancora su Coelum astronomia 232

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Comete. Una sfida al limite: la 123P/West-Hartley

➜ Supernovae: Una nuova possibilità per gli astrofili

La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito

Addio Iridium flare. Un report sul progetto Catch the Iridium

➜ Astrofotografia: le corone lunari

e il Calendario di tutti gli eventi di aprile 2019, giorno per giorno!

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com.
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Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Marzo su Coelum Astronomia 231

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Lo strumento GRAVITY apre nuovi orizzonti nel produrre immagini dei pianeti extrasolari

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Una rappresentazione artistica del pianeta chiamato HR8799e. Grazie allo strumento GRAVITY è stato possibile rilevarne in modo diretto la complessa atmosfera esoplanetaria con nubi contenenti ferro e silicati che turbinano in una tempesta di dimensioni pari a quelle del pianeta. La tecnica presenta possibilità uniche per caratterizzare molti degli esopianeti oggi conosciuti. Crediti: ESO/L. Calçada

Lo strumento GRAVITY installato sul VLTI (Very Large Telescope Interferometer) dell’ESO ha effettuato la prima osservazione diretta di un esopianeta mediante interferometria ottica. Questo metodo ha rivelato una complessa atmosfera esoplanetaria con nubi contenenti ferro e silicati che turbinano in una tempesta di dimensioni pari a quelle del pianeta. La tecnica presenta possibilità uniche per caratterizzare molti degli esopianeti oggi conosciuti.

Il risultato è stato annunciato oggi in una lettera pubblicata dalla rivista Astronomy and Astrophysics da parte delle collaborazione GRAVITY, lettera in cui sono state presentate le osservazioni dell’esopianeta HR8799e ottenute con l’interferometria ottica. L’esopianeta è stata scoperto nel 2010 in orbita intorno a HR8799, giovane stella di sequenza principale che si trova a circa 129 anni luce dalla Terra nella costellazione di Pegaso.

L’odierno risultato, che rivela nuove proprietà di HR8799e, ha richiesto uno strumento con altissima risoluzione e sensibilità. GRAVITY può utilizzare simultaneamente i quattro telescopi del VLT dell’ESO a simulare un singolo telescopio più grande utilizzando una tecnica nota come interferometria. Questo crea un super-telescopio – il VLTI – che raccoglie e districa con precisione la luce dall’atmosfera di HR8799e e da quella della sua stella madre.

Veduta aerea della piattaforma in cima al Cerro Paranal (risalente al 1999), con le quattro cupole dei telescopi principali (UT) da 8,2 m di diametro e installazioni varie per l’interferometro del VLT, o VLTI. Tre telescopi ausiliari da 1,8 m (AT) e il cammino percorso dai fasci di luce sono stati sovraimposti alla fotografia. Si vedono anche una trentna di “stazioni” in cui gli AT possono essere posizionati per l’osservazione e da cui i fasci di luce dai telescopi possono entrare nel tunnel interferometrico sottostante. Le strutture rettilinee sono i supporti delle rotaie su cui i telescopi si muovono da una stazione all’altra. Il Laboratorio Interferometrico (in parte sotterraneo) e’ al centro della piattaforma. Crediti: ESO

HR8799e è un “super-Giove“, un mondo diverso da tutti quelli del nostro Sistema Solare, sia più massiccio che molto più giovane di qualsiasi pianeta in orbita attorno al Sole. Con un’età di soli 30 milioni di anni, questo pianeta extrasolare è abbastanza giovane da offrire agli scienziati una nuova finestra sulla formazione dei pianeti e dei sistemi planetari. L’esopianeta è completamente inospitale – l’energia residua dalla sua formazione e un potente effetto serra riscaldano HR8799e a una temperatura ostile di circa 1000 °C.

Questa panoramica mostra i dintorni della giovane stella HR8799, nella costellazione di Pegaso. L’immagine e’ stata ottenuta da materiale della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). L’ubicazione di HR8799 e’ indicata. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide de Martin.

Per la prima volta l’interferometria ottica è stata utilizzata per rivelare i dettagli di un pianeta extrasolare, e la nuova tecnica ha fornito uno spettro di qualità senza precedenti – dieci volte più dettagliato rispetto alle osservazioni precedenti. Le misure sono state in grado di rivelare la composizione dell’atmosfera di HR8799e – che conteneva alcune sorprese.

«La nostra analisi ha dimostrato che HR8799e ha un’atmosfera che contiene molto più monossido di carbonio rispetto al metano – qualcosa che non ci si aspetta dalla chimica di equilibrio», spiega il leader dell’equipe Sylvestre Lacour, ricercatore CNRS all’Osservatorio di Parigi – PSL e all’Istituto Max Planck di fisica extraterrestre. «Possiamo spiegare al meglio questo risultato sorprendente con venti verticali nella parte superiore dell’atmosfera che impediscono al monossido di carbonio di reagire con l’idrogeno per formare metano».

L’equipe ha scoperto che l’atmosfera contiene anche nubi ricche di polvere di ferro e di silicati. Combinando questo risultato con l’eccesso di monossido di carbonio, possiamo pensare che l’atmosfera di HR8799e sia sottoposta a una tempesta enorme e violenta.

«Le nostre osservazioni suggeriscono una palla di gas illuminata dall’interno, con raggi di luce calda che turbinano attraverso le zone tempestose di nubi oscure», elabora Lacour. «La convezione sposta le nuvole di silicati e particelle di ferro, che si disgregano e piovono verso l’interno. Questo è il quadro dell’atmosfera dinamica di un esopianeta gigante alla nascita, sottoposto a complessi processi fisici e chimici».

Il risultato si basa sulla serie di incredibili scoperte di GRAVITY, tra cui scoperte eccezionali come l’osservazione effettuata l’anno scorso del gas che turbina al 30% della velocità della luce appena fuori l’orizzonte degli eventi del massiccio buco nero nel Centro Galattico.

Si aggiunge ora un nuovo modo di osservare gli esopianeti al già vasto arsenale di metodi disponibili ai telescopi e agli strumenti dell’ESO – aprendo la strada a molte nuove scoperte notevoli.


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
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Congiunzione stretta tra Luna e Saturno al mattino

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Il 29 marzo, alle ore 5:00, potremo ammirare i due astri alla distanza di appena 52’, con la Luna (fase del 40%) posta a sudovest di Saturno (m = +0,6).

Il teatro di questa stretta celeste è costituito dalle stelle della costellazione del Sagittario, di cui sarà facilmente riconoscibile la sagoma a “teiera” volgendo lo sguardo a sudest, una manciata di gradi a destra della coppia di astri.

Ricordiamo, per gli appassionati di osservazione telescopica visuale, che con la Luna in continuo calo, il prossimo finesettimana potrebbe essere adatto per tentare la Maratona Messier, o per lo meno buona parte.

➜ Continua su Fenomeni e congiunzioni di marzo

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019


E’ il momento di prepararsi per il Cielo di Aprile!
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Ore piccole con Luna e Giove

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Il mese di marzo si avvia alla sua conclusione regalandoci due ultimi eventi celesti particolarmente affascinanti. Il primo di questi avverrà nelle prime ore del giorno 27, all’1:45 (anche se sarà osservabile già a partire da pochi minuti dopo l’1:00 per chi non vuole fare troppo tardi): si tratta di una bella e stretta congiunzione tra la Luna (fase del 60%) e il pianeta Giove (mag. –2,2).

L’abbraccio celeste tra questi due astri avverrà tra le flebili stelle dell’Ofiuco. Per chi lo vorrà, sarà bello poter vedere sorgere i due soggetti, già separati di poco più di 1°. Guadagneranno altezza sull’orizzonte orientale via via con il passare delle ore.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019

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Astronomiamo

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LocandinaCoelum
23.03, ore 16:00: Incontri di Astronomia Live: Dott. Federico Tosi (INAF), presso Cia del Mandrione 190, Roma

LE DIRETTE, inizio ore 21:30
14.03: Corso online di Astrofotografia
21.03: Beyond Oort
28.03: Occhi al Cielo

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it/

Ryugu, pubblicati su Science i primi risultati

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Nell'immagine l'ombra di Hayabusa 2 proiettata sulla superficie di Ryugu, nel punto in cui è stato effettuato il primo touch down. La macchia scura al centro è il segno della piccola esplosione che è servita alla sonda per raccogliere i campioni da riportare a Terra. Crediti: Jaxa, University of Tokyo, Kochi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, Aist
Nell’immagine l’ombra di Hayabusa 2 proiettata sulla superficie di Ryugu, nel punto in cui è stato effettuato il primo touch down. La macchia scura al centro è il segno della piccola esplosione che è servita alla sonda per raccogliere i campioni da riportare a Terra. Crediti: Jaxa, University of Tokyo, Kochi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, Aist

I primi risultati dell’analisi dei dati ottenuti dal “falco pellegrino” Hayabusa2 dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa sull’asteroide Ryugu – anticipati martedì scorso in Texas durante la 50esima Lunar Planetary Science Conference – vengono pubblicati sul numero di Science di questa settimana. Un piccolo “speciale” di tre articoli, due dei quali firmati anche dai due ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica direttamente coinvolti nella missione, Ernesto Palomba e Davide Perna.

Tre articoli, guidati da altrettanti team di ricerca internazionali, che descrivono massa, dimensioni, forma, densità, spin e proprietà geologiche del corpo celeste. Caratteristiche volte a definire il contesto geologico necessario per comprendere al meglio le analisi dei campioni che la sonda sta ancora raccogliendo, destinati a giungere sulla Terra alla fine del 2020.

La prima cosa che colpisce, pensando all’asteroide tanto amato dal chitarrista dei Queen Brain May, è senza dubbio la forma: a spinning-top shape, una “trottola”, la definisce il primo dei tre studi pubblicati Science, guidato da SeiIchiro Watanabe della Nagoya University. Ma la forma non è l’unica caratteristica che ha colpito i ricercatori. Tra i risultati, dicevamo, c’è anche la sua densità: 1.19 grammi per centimetro cubo. Una densità bassa, che suggerisce per questa trottola spaziale un cuore molto poroso. Quanto alla la massa, si parla di 450 milioni di tonnellate, con un’incertezza di appena l’1.3 per cento. Ma non è finita, grazie alle analisi da remoto, gli autori hanno identificato un potenziale sito di atterraggio per una ulteriore raccolta di campioni, l’analisi dei quali – alla luce di quelli già ottenuti – può meglio chiarire come Ryugu abbia acquisito una forma così bizzarra.

Nel secondo articolo, il team di ricerca guidato da Seiji Sugita, dell’università di Tokyo, ha invece cercato di ricostruire l’albero genealogico dell’asteroide, le sue origini. Piccoli asteroidi come Ryugu – dicono i ricercatori – potrebbero essersi formati nel corso dell’evoluzione del Sistema solare a seguito della distruzione catastrofica di corpi assai più vecchi e al successivo riaccumulo dei cocci. La preponderanza di materia con scarsissime tracce di acqua porta poi i ricercatori a ipotizzare che il progenitore di Ryugu fosse anch’esso un corpo estremamente arido, ma non è l’unico scenario possibile.

«Sia la morfologia che l’uniformità delle caratteristiche spettrali dell’asteroide Ryugu», dice a questo proposito Davide Perna, dell’Inaf osservatorio astronomico di Roma, fra i coautori dell’articolo, co-investigator dello spettrometro infrarosso Nirs3 a bordo della sonda, «fanno pensare che questo corpo celeste si sia formato a seguito di un impatto primordiale subìto da un corpo celeste “genitore”, i cui frammenti si siano riaggregati per costituire l’asteroide come oggi lo osserviamo. L’energia termica sviluppatasi in questo impatto potrebbe aver causato una parziale disidratazione del materiale, giustificando così la debole intensità osservata per la banda di assorbimento dell’OH».

risultati delle analisi spettroscopiche a infrarossi sulla composizione della superficie di Ryugu ottenuti dal terzo team – quello guidato da Kohei Kitazato dell’università di Aizu, sempre in Giappone, e che vede fra gli autori anche i due ricercatori dell’Inaf – offrono un quadro ancora più completo. Quest’ultimo studio, in particolare, ha messo in luce la presenza di minerali idrati nella superficie scura dell’asteroide. Una presenza che fa supporre ai ricercatori di trovarsi davanti a qualcosa di affine alle condriti carbonacee, visto che i dati spettrali sono simili a quelli di queste meteoriti.

«Dall’analisi dei dati dello strumento Nirs3 a bordo della sonda Hayabusa 2», spiega infattiErnesto Palomba dell’Inaf Iaps di Roma, fra i coautori dell’articolo, membro del team Hayabusa2,co-investigator della camera Onc e dello spettrometro infrarosso Nirs3, «si evince che Ryugu ha una superficie molto scura e possiede una struttura spettrale che è indicativa della presenza in superficie di materiale contenente ossidrile, lo ione dell’acqua costituito da un atomo di ossigeno e uno di idrogeno (OH). Questo materiale risulta presente sulla superficie dell’asteroide in modo omogeneo, ma in lieve abbondanza».

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Osiris-Rex. Nuove sorprese da Bennu

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Un mosaico gobale della superficie di Bennu, ottenuto dalle immagini raccolte durante la survey preliminare dalla camera PolyCam a lungo raggio (OCAMS). Anche senza poterne apprezzare i dettagli delle ultime immagini a distanza ravvicinata, è già evidente come il compito di chi deve individuare una zona pulita e senza massi sia alquanto complesso. Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona
Una ripresa in cui è visibile un getto di particelle e sassi dalla superficie di Bennu. E’ una somma di due immagini raccolte il 19 gennaio scorso, elaborate per evidenziare il dettaglio dello “sbuffo”. Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona/Lockheed Martin

Abbiamo da poco rilanciato una news Media INAF sui tanti risultati pubblicati su Nature dai dati della missione Osiris-Rex, che già dalla NASA arriva un ulteriore sorpresa che il piccolo asteroide Bennu ci ha riservato.

Un’immagine del 7 marzo che mostra un bordo dell’emisfero sud ripreso da una distanza di 5 chilometri. Il sasso più grande di colore chiaro, più o meno al centro dell’immagine, è largo circa sette metri e mezzo. Salta all’occhio l’asperità del terreno, praticamente ricoperto da grossi massi. Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona

In orbita attorno al NEO (Bennu è uno degli asteroidi classificati come vicini alla Terra, Near Earth Objects), la sonda Osiris-Rex, dopo avercene mostrato la natura aspra dal terreno fortemente accidentato e costellato di massi – ben oltre le previsioni del team di missione che ha quindi dovuto modificare i suoi piani iniziali per la raccolta di un campione da riportare a Terra – ci mostra ora una caratteristica di Bennu del tutto inaspettata: getti di particelle sparati dalla sua superficie!

Che ci sia a volte una commistione tra comete e asteroidi era già successo, ma nulla del genere ci si aspettava accadesse su Bennu.

«La scoperta dei pennacchi è una delle più grandi sorprese della mia carriera scientifica», ha dichiarato Dante Lauretta, PI della missione OSIRIS-REx presso l’Università dell’Arizona. «E il terreno così aspro va contro tutte le nostre previsioni. Bennu ci sta già sorprendendo, e il nostro entusiasmante viaggio è solo agli inizi».

Poco dopo la scoperta del pennacchio di particelle, il 6 gennaio mentre la sonda si trovava a poco più di un chilometro e mezzo dalla superficie, il team scientifico della missione ha aumentato la frequenza delle osservazioni, rilevando la presenza di ulteriori emissioni nell’arco dei due mesi successivi. Sebbene molte di queste particelle siano state chiaramente espulse da Bennu, ne sono state invece individuate altre che orbitavano attorno all’asteroide come mini satelliti, per poi ricadere sulla sua superficie.

Dopo una iniziale cautela, si è verificato che il tutto non rappresenta un pericolo per la sonda, e quindi si sta continuando a studiare le particelle e a ricercare nuovi sbuffi per comprendere come e perché si formino.

«I primi tre mesi di indagine ravvicinata su Bennu di OSIRIS-REx ci hanno ricordato cosa significa andare alla scoperta: sorprese, rapidità di pensiero e flessibilità», ha commentato Lori Glaze, direttore della Divisione di Scienze Planetarie presso la sede della NASA a Washington. «Studiamo asteroidi come Bennu per comprendere l’origine del Sistema Solare. I campioni raccolti da OSIRIS-REx ci aiuteranno a rispondere ad alcune delle più grandi domande su da dove veniamo».

Dalle osservazioni terrestri non ci si è nemmeno avvicinati a quella che è risultata essere la morfologia della superficie dell’asteroide. Ci si aspettava una superficie per lo più liscia con alcuni massi di grandi dimensioni, mentre si è rivelata ruvida e densa di massi. Le previsioni erano state fatte in base sia alle rilevazioni radar, che in base a studi e modelli di inerzia termica dell’asteroide (la sua capacità di condurre e immagazzinare calore). I modelli utilizzati finora per gli asteroidi di questo tipo si sono quindi dimostrati inadeguati, e andranno migliorati in base ai dati raccolti a distanza ravvicinata.

Un mosaico gobale della superficie di Bennu, ottenuto dalle immagini raccolte durante la survey preliminare dalla camera PolyCam a lungo raggio (OCAMS). Anche senza poterne apprezzare i dettagli delle ultime immagini a distanza ravvicinata, è già evidente quanto complesso sia il compito di chi deve individuare una zona pulita e senza massi per la… “toccata e fuga”. Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona

Questo significa anche che i piani per la raccolta dei campioni – il Touch-and-Go (TAG), già rinominato Bullseye TAG (occhio di bue) – andranno modificati. A causa del terreno accidentato, così come è successo per la missione giapponese Hayabusa 2 su Ryugu, non sarà possibile individuare un terreno libero dalle asperità di almeno 25 metri di raggio, e si dovrà, sempre come per la cugina giapponese, ripiegare su aree più piccole, con maggiori rischi e necessità di operazioni più precise.

«Durante le operazioni di OSIRIS-REx nelle vicinanze di Bennu, il nostro team di volo ha dimostrato che possiamo raggiungere prestazioni di sistema che superano i requisiti di progettazione», ha dichiarato Rich Burns, project manager di OSIRIS-REx presso il Goddard Space Flight Center della NASA. «Bennu ci ha lanciato una sfida per affrontare il suo terreno accidentato, e siamo certi che OSIRIS-REx è all’altezza del compito». Accidentato e… sbuffante, aggiungiamo noi.

Per tutte le altre scoperte ottenute fin’ora, i cui studi sono stati pubblicati su Nature nei giorni scorsi, potete consultare l’articolo Media INAF: Tutto quello che volevate sapere su Bennu.


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Tutto quello che volevate sapere su Bennu

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Queste tre immagini acquisite dalla sonda Osiris-Rex della Nasa mostrano un’ampia inquadratura e due primi piani di una regione dell’emisfero settentrionale di Bennu. Le immagini sono state scattate il 25 febbraio mentre la navicella spaziale era in orbita intorno a Bennu, a circa 1,8 km dalla superficie dell’asteroide. Crediti: Nasa Goddard/University of Arizona
Questa serie di immagini (cliccare sull’immagine se non parte l’animazione) è stata realizzata dalla sonda Osiris-Rex e ci mostra l’asteroide Bennu in una rotazione completa da 80 km di distanza. La fotocamera PolyCam della sonda ha ottenuto i trentasei frame da 2.2 millisecondi per un periodo osservativo di 4 ore e 18 minuti. Crediti: Nasa Goddard Space Flight Center/University of Arizona

Il piccolo asteroide Bennu oggi è protagonista nel mondo scientifico. Sono infatti sette i diversi articoli – pubblicati oggi su NatureNature AstronomyNature GeoscienceNature Communications – che vanno a comporre una sorta di numero speciale interamente dedicato ai risultati delle ricerche svolte sull’asteroide, per indagarne l’evoluzione e capire il ruolo dei corpi celesti primordiali nella nascita della vita sul nostro pianeta.

Le analisi sono frutto delle indagini svolte grazie agli strumenti scientifici a bordo della sonda della Nasa Osiris-Rex, in cui l’Istituto nazionale di astrofisica partecipa con i ricercatori Maurizio PajolaElisabetta DottoJohn Robert Brucato, cui abbiamo chiesto un commento sui principali risultati ottenuti fino ad oggi, di cui si parla nei diversi articoli. Lo studio di Bennu, della sua forma e della sua evoluzione, ci aiuterà a raggiungere una maggiore comprensione di quella che è stata l’evoluzione del Sistema solare. Gli asteroidi, come le comete, sono dei residui rimasti del suo processo di formazione, e quello che si cerca di capire è se un asteroide come Bennu possa aver introdotto sulla Terra materiale contenente acqua e ricco di carbonio, contribuendo quindi anche alla nascita della vita.

«Bennu è uno dei numerosi piccoli corpi che, ruotando intorno al Sole, intersecano l’orbita del nostro pianeta», ricorda Elisabetta Dotto, dell’Inaf di Roma, membro dello science team di Osiris-Rex. «Gli impatti che questi oggetti hanno avuto con la Terra hanno modificato il corso della vita e, ancora oggi, costituiscono un potenziale pericolo per il nostro pianeta. Dal 1999, anno della sua scoperta, a oggi Bennu è stato oggetto di una campagna internazionale di osservazione da telescopi a Terra. Sulla base delle informazioni acquisite sappiamo che si tratta di un oggetto scuro e primitivo, simile ai piccoli corpi che si ritiene abbiano creato le condizioni adatte per l’innesco della vita sulla sul nostro pianeta, rilasciando con i loro impatti acqua e materiale organico appena formato».

Queste tre immagini acquisite dalla sonda Osiris-Rex della Nasa mostrano un’ampia inquadratura e due primi piani di una regione dell’emisfero settentrionale di Bennu. Le immagini sono state scattate il 25 febbraio mentre la navicella spaziale era in orbita intorno a Bennu, a circa 1,8 km dalla superficie dell’asteroide. Crediti: Nasa Goddard/University of Arizona

Le prime osservazioni provenienti dagli strumenti di bordo di Osiris-Rex confermano la presenza di minerali idrati diffusi e abbondanti. Le osservazioni hanno anche identificato la presenza inaspettata di numerosi grandi massi. Diverse caratteristiche, come la mancanza di piccoli crateri e l’aspetto eterogeneo della superficie, suggeriscono che essa comprenda diverse regioni appartenenti a epoche diverse, alcune residue dal corpo progenitore e altre frutto di attività più recente. Gli autori stimano che Bennu abbia un’età tra i 100 milioni e un miliardo di anni, quindi più vecchio di quanto previsto, e abbia avuto origine nella Cintura degli asteroidi.

«Non appena abbiamo iniziato a osservare Bennu da vicino», dice Maurizio Pajola, dell’Inaf di Padova, «abbiamo visto che la sua superficie è caratterizzata da una miriade di massi di svariate dimensioni. Questo aspetto era atteso dalla comunità scientifica visto che Bennu, con i suoi 500 metri di diametro, è quello che viene definito un asteroide ‘rubble-pile’, cioè non monolitico, ma costituito da parte dei frammenti rocciosi che formavano l’asteroide genitore, dal quale si è formato in seguito ad un impatto distruttivo. Prima dell’arrivo a Bennu le osservazioni radar fatte da Terra tra il 1999 ed il 2012 avevano indicato che avremmo trovato un unico masso di dimensione non superiore ai 10 metri. In realtà, grazie ad immagini ad alta risoluzione prese dallo strumento PolyCam di Osiris-Rex, abbiamo misurato questo masso scoprendo che è lungo 56 metri. In aggiunta, abbiamo scoperto che ci sono altri 3 massi con dimensioni che superano i 40 metri ed una densità per chilometro quadrato di più di 200 massi grandi 10 metri. Questi massi enormi non possono essersi formati tutti a seguito degli impatti che hanno formato i crateri presenti su Bennu, perché per dare origine a materiale di risulta di tali dimensioni l’asteroide sarebbe stato totalmente disintegrato. Sono quindi gli antichi frammenti dell’asteroide padre da cui Bennu è nato».

«Le osservazioni condotte dagli strumenti a bordo della sonda Osiris-Rex», aggiunge John Robert Brucato, esobiologo dell’Inaf di Firenze, in riferimento alle analisi spettroscopiche fatte su Bennu, «stanno mostrando un’inaspettata eterogeneità del materiale che costituisce l’asteroide: si sono osservate regioni molto scure, dove solo il 3 per cento della radiazione solare viene riflessa, e altre molto brillanti associate a massi di dimensione di qualche metro. Bennu è l’unico asteroide osservato fino ad oggi in cui è stata rivelata sulla superficie la presenza di magnetite, materiale che si forma quando l’idrossido di ferro è ossidato dalla presenza di acqua, e, cosa ancor più sorprendente, l’enorme abbondanza di silicati idrati, ovvero minerali che hanno subito una profonda alterazione dovuta alla presenza di acqua liquida. Le osservazioni spettroscopiche ottenute dagli spettrometri Ovirs, che indaga nel visibile e nel vicino infrarosso, e Otes, che osserva invece nell’infrarosso termico, hanno mostrato l’affinità di Bennu con meteoriti condriti carbonacee di un tipo molto raro, ricche di carbonio e materiale organico. Un’affinità che, quindi, pone fortemente l’accento sul ruolo degli asteroidi primitivi come Bennu nell’origine della vita sulla Terra. Inoltre, sono già state identificate alcune aree sulla superficie di Bennu dove la sonda Osiris-Rex dovrà atterrare per raccogliere il materiale che verrà riportato a Terra nel 2023 e studiato nei laboratori di tutto il mondo».

A fine luglio 2020 Osiris-Rex si poserà sulla superficie di Bennu per prelevare dei campioni, e chissà quali e quante altre informazioni riuscirà a darci su questo piccolo grande oggetto celeste.

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Astronomiamo

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Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

22.03, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo del periodo, con particolare attenzione alla Luna. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

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23.03, ore 16:00: Incontri di Astronomia Live: Dott. Federico Tosi (INAF), presso Cia del Mandrione 190, Roma

LE DIRETTE, inizio ore 21:30
14.03: Corso online di Astrofotografia
21.03: Beyond Oort
28.03: Occhi al Cielo

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it/

Impariamo a conoscere il Cosmo

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cadelmonte

cadelmonteIl Planetario e Osservatorio Ca’ del Monte, scende a “valle”, per raccontare l’astronomia direttamente a Pavia negli spazi messi a disposizione da Labora – Coworking sociale.
Gli incontri sono ideati per creare un percorso di avvicinamento ai temi, a nostro avviso, più interessanti e spunto di interesse per il pubblico. Il corso vuole essere un momento di condivisione di aspetti, scoperte e affascinanti curiosità dal mondo dell’astronomia.

Gli incontri si concluderanno con la visita al Planetario e Osservatorio Astronomico Cà del Monte, in una serata interamente dedicata ai partecipanti del corso.
Clicca qui per consultare il Programma corso

Il corso verrà attivato al raggiungimento del numero minimo di partecipanti. Per maggiori informazioni sulla partecipazione contattate la nostra Segreteria al numero: tel.: 327.2507821
oppure scriveteci a osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Tutto pronto per la foto del secolo

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L’immagine illustra una simulazione numerica relativa al moto del gas magnetizzato che ruota attorno al buco nero emettendo onde radio in banda millimetrica. Si nota anche come viene piegata e assorbita la luce dal buco nero. Crediti: M. Moscibrodzka, T. Bronzwaar & H. Falcke
L’immagine illustra una simulazione numerica relativa al moto del gas magnetizzato che ruota attorno al buco nero emettendo onde radio in banda millimetrica. Si nota anche come viene piegata e assorbita la luce dal buco nero. Crediti: M. Moscibrodzka, T. Bronzwaar & H. Falcke

Gli astronomi dell’Event Horizon Telescope Consortium (Ehtc) sono ottimisti. Dopo quasi due anni di elaborazione e analisi di circa quattro petabytes di dati raccolti dalle osservazioni di Sagittarius A* e M 87, realizzate con grande rigore scientifico, verifiche e controlli di qualità, si attende la pubblicazione dei primi risultati. Se questo tentativo avrà successo, le uniche, spettacolari immagini ottenute da un insieme di 8 radiotelescopi sparsi sul globo potrebbero fornire agli astronomi nuovi indizi per verificare le predizioni della relatività generale in condizioni estreme di gravità. Per saperne di più, Media Inaf ha raggiunto Ciriaco Goddi, segretario del consiglio scientifico del consorzio Eht, che ci svela in questa intervista esclusiva il “dietro le quinte” dell’esperimento più atteso dell’anno.

Come sono andate le osservazioni, soprattutto dal punto di vista meteorologico?

«Abbiamo condotto due campagne osservative, la prima nell’aprile 2017 e la seconda nello stesso mese del 2018. Posso affermare, con nostra grande soddisfazione, che le osservazioni del 2017 si sono rivelate un successo totale. Non abbiamo avuto problemi tecnici, se non minimi, e tutti i protocolli necessari per gestire la comunicazione in tempo reale dei radiotelescopi coinvolti nell’esperimento, che hanno osservato simultaneamente la stessa sorgente, hanno funzionato impeccabilmente. Ma il fattore di gran lunga più importante per il successo delle osservazioni sono state le condizioni meteorologiche favorevoli. Abbiamo avuto cieli sereni, è il caso di dire, con pochissima umidità in tutti i siti durante il periodo delle osservazioni e questo non era certamente scontato, perciò siamo stati davvero fortunati. Tuttavia durante le sei notti in cui abbiamo effettuato le osservazioni del 2018 le cose sono andate diversamente. Ricordo, ad esempio, tre notti di tempeste di neve su Mauna Kea nelle Hawaii, la chiusura causa vento per quasi due giorni del Sub-Millimeter Telescope (in Arizona), il nuovo ricevitore commissionato dal Large Millimeter Telescope (in Messico) non disponibile da subito per le osservazioni, lo strumento Atacama Pathfinder EXperiment disponibile in certe notti a causa di lavori tecnici… E tra gli altri un episodio singolare, accaduto in Messico, dove un commando ha assaltato la jeep degli astronomi causando la chiusura dell’osservatorio negli ultimi cinque giorni. Dunque, tutti i nostri sforzi si sono concentrati principalmente sui dati del 2017, che sono di qualità eccellente».

Ciriaco Goddi presso la control room di Alma.

Quante persone sono state coinvolte per realizzare le osservazioni?

«Ci sono almeno tre o quattro persone dell’Event Horizon Telescope Consortium che si recano in ogni sito a condurre le osservazioni. Questo vuol dire una trentina di persone, se consideriamo gli otto osservatori che hanno partecipato all’esperimento. Inoltre, poiché ogni sito costituisce un osservatorio indipendente, con personale tecnico e scientifico specializzato, di solito ci sono altri due o tre astronomi e un operatore tecnico che lavorano di base in ognuno degli osservatori. A queste si aggiunge un gruppo di circa cinque persone che costituiscono il “centro operativo”, che ha sede all’università di Harvard. Quindi in totale parliamo di circa 60 persone. Per quanto riguarda ALlma, solo due membri fanno parte del progetto Eht: un astronomo del Mit-Haystack Observatory, responsabile dello sviluppo e mantenimento del software, e io che sono responsabile della calibrazione e validazione dei dati acquisiti. Entrambi presidiamo alle osservazioni, trascorrendo fino a tre settimane nel deserto dell’Atacama, assieme a decine di altre persone, tra cui astronomi di supporto, operatori tecnici e ingegneri, perciò non ci sentiamo soli».

Le vostre attese hanno avuto un riscontro positivo?

«Direi di sì. Siamo ora nella fase finale di produzione ed elaborazione dei dati, per cui non mi posso sbilanciare molto in questo momento. Posso però dire che i risultati preliminari appariranno a breve su riviste specializzate e, chissà, anche la tanto attesa “foto del secolo” potrebbe essere pubblicata molto presto. Al momento vi posso solo assicurare che non mancheranno le sorprese e i risultati non deluderanno le attese».

Ciriaco Goddi e sullo sfondo il complesso sistema di antenne di Alma.

Che ruolo ha giocato il radiotelescopio Alma?

«L’Atacama Large Millimeter Array (Alma) è un elemento fondamentale per questo progetto scientifico. Situato nel deserto di Atacama – nelle Ande Cilene, il più alto e secco al mondo, a 5100 metri sul livello del mare – è il radiotelescopio più sensibile mai costruito in banda millimetrica, con ben 54 antenne di 12 metri di diametro (e altre 12 antenne più piccole di 7 metri di diametro). Durante le osservazioni con l’Eht, buona parte delle sue antenne di 12 metri di diametro (di solito una quarantina) vengono combinate creando virtualmente un unico elemento equivalente a un gigantesco radiotelescopio di circa 70 metri di diametro. Questa “trasformazione” (da interferometro a singolo elemento), di cui sono responsabile, richiede un lavoro certosino di calibrazione dei segnali delle singole antenne che permette di avere, alla fine di questo processo, un salto di qualità nelle prestazioni dell’Eht, sia in termini di risoluzione che di sensibilità. In altre parole, Alma agisce come uno strumento di riferimento nel momento in cui dobbiamo analizzare il segnale che proviene dalle altre antenne più piccole e meno sensibili, permettendo così di ridurre il rumore di fondo almeno di un ordine di grandezza. Inoltre, la sua posizione nell’emisfero australe consente di osservare sorgenti importanti, come appunto il nostro centro galattico, Sagittarius A* (Sgr A*), che pensiamo ospiti un buco nero supermassivo di circa 4 milioni di masse solari».

Come si osserva “simultaneamente” Sgr A* – o le altre sorgenti – con i radiotelescopi coinvolti nell’esperimento?

«Gli obiettivi dell’Eht sono sostanzialmente due: il buco nero supermassivo che risiede nel nucleo della nostra galassia (Sgr A*), a circa 26mila anni luce, e M87 il buco nero supermassivo di una galassia ellittica gigante situata a circa 50 milioni di anni luce. Anche se M87 è circa duemila volte più lontana, il buco nero è circa duemila volte più massivo, per cui le dimensioni angolari sottese da entrambi i buchi neri (circa 50 microsecondi d’arco) risultano simili. Per osservare oggetti che sottendono dimensioni angolari così piccole utilizziamo l’interferometria radio a lunghissima linea di base (Vlbi). Si tratta di una tecnica molto potente che permette di realizzare immagini di radiosorgenti ad altissima risoluzione. Il Vlbi sfrutta una rete globale di radiotelescopi, in genere da 12 a 30 metri di diametro, situati nei diversi continenti in modo da formare virtualmente un enorme telescopio delle dimensioni della Terra. Ovviamente, più antenne sono coinvolte e maggiore risulta la qualità dell’immagine finale. Ora, se da un lato non possiamo costruire migliaia di antenne, essendo molto costose, dall’altro la rotazione terrestre ci viene fortunatamente in aiuto, perché cambia la posizione dei singoli telescopi – e perciò delle linee di base – come “visti” dalla sorgente. Questo processo consente effettivamente di campionare meglio la struttura attraverso orientazioni diverse, anche con pochi ma ben localizzati radiotelescopi. In questo caso, la risoluzione dell’immagine aumenta con la distanza tra i radiotelescopi, che chiamiamo linea di base, un po’ simile a quella di una normale antenna il cui potere risolutivo aumenta con il diametro della parabola. I segnali radio che arrivano sulle singole antenne vengono prima registrati dai ricevitori per poi essere digitalizzati e copiati su dischi rigidi. I supporti vengono spediti a un centro di elaborazione dati (non via internet, perché stiamo parlando di petabytes, ma tramite aereo che risulta il mezzo più veloce). Per il nostro progetto abbiamo utilizzato due super-computer, detti correlatori: uno si trova all’Haystack Observatory del Mit, nel Massachusetts, e l’altro è situato presso il Max Planck Institut fur Radioastronomie, a Bonn. Il correlatore combina i segnali tra coppie di antenne creando post-facto l’interferenza delle onde radio rilevate dai singoli radiotelescopi. I segnali devono essere sincronizzati con altissima precisione, il che significa che dobbiamo utilizzare orologi atomici estremamente accurati per misurare i loro tempi di arrivo sulle singole antenne. Una volta che i segnali di tutte le coppie di antenne vengono combinati, possiamo ricostruire l’immagine della sorgente radio. Dunque, operando insieme, le antenne simuleranno un singolo, gigantesco, telescopio delle dimensioni della Terra che ci permetterà di “intravedere” l’orizzonte degli eventi – quel confine che circonda i buchi neri dove tutto ciò che passa non torna mai più indietro – e rivelare la cosiddetta “ombra” del buco nero, che nelle sorgenti in questione ci aspettiamo sottenda una dimensione di 50 microsecondi d’arco (un po’ come distinguere una pallina da tennis sulla Luna)».

A quali frequenze radio sono state condotte le osservazioni?

«L’Eht osserva a lunghezza d’onda radio intorno a 1.3 mm, che corrisponde ad una frequenza di circa 230 GHz. Prima di Eht, la tecnica Vlbi è stata applicata a frequenze radio relativamente basse (1-90 GHz). Nonostante le cose si complichino verso le più alte frequenze, tuttavia ci sono diverse ragioni per spingere il Vlbi oltre i 100 GHz. Primo: il potere risolutivo aumenta con la frequenza e per ottenere la risoluzione desiderata, cioè 50 microsecondi d’arco con un telescopio delle dimensioni corrispondenti al diametro della Terra, si deve andare necessariamente sopra i 100 GHz. Secondo: a frequenze al di sotto di 100-200 GHz, l’ombra del buco nero rimane ancora nascosta dietro al plasma, che circonda il buco nero stesso, oscurandone la vista. Alle alte frequenze a cui opera Eht, come ad esempio 230 GHz, il plasma diventa trasparente ed emette radiazione nelle immediate vicinanze dell’orizzonte degli eventi. Quindi, osservando ad alte frequenze è come se si aprisse una sorta di “velo” che ci lascia intravedere cosa si cela dietro».

Quante ore sono state impiegate per realizzare le osservazioni?

«Come in tutti gli osservatori astronomici, anche per l’Eht il tempo viene assegnato da una commissione di esperti, il Time Allocation Committee (Tac), che dopo aver selezionato diverse proposte osservative valuta il merito scientifico dei singoli progetti. Nella pratica le proposte osservative di Eht sono approvate sostanzialmente dal Tac di Alma, poiché si tratta di gran lunga del radiotelescopio più richiesto del network. Finora, nell’ambito di Eht sono state utilizzate quasi tutte le ore concesse (circa 60 ore sia per il run del 2017 che del 2018) – fatto non scontato, in quanto possono sorgere problemi tecnici o condizioni meteo avverse non prevedibili. Per quanto riguarda il limite massimo di ore a disposizione, con l’Eht ogni singolo radiotelescopio normalmente osserva la sorgente per tutto il tempo possibile, cioè dal sorgere fino al tramonto: quindi avere più ore per sorgente, e per notte, servirebbe a poco. Una cosa molto utile sarebbe, invece, osservare la stessa sorgente a epoche diverse durante l’anno, in modo da evidenziare l’eventuale variabilità dell’emissione radio o l’apparire di nuove componenti. Ciò fornirebbe informazioni importanti sullo stato fisico del plasma che circonda il buco nero (pensate a un blob di gas che orbita intorno al buco nero prima di venire ingoiato). Al momento, però, non è possibile osservare in diversi periodi dell’anno, per un fatto puramente logistico: organizzare campagne osservative globali e coordinare insieme una decina di telescopi è una sfida non da poco. Per cui concentriamo le osservazioni in una finestra di circa dieci giorni all’anno. Ad ogni modo, da quello che impareremo dai dati raccolti finora decideremo se sarà necessario, o meno, cambiare la nostra strategia osservativa».

Ciriaco Goddi durante la fase di controllo dei segnali registrati dalle antenne di Alma.

Quanti dati avete raccolto e quanto tempo ci è voluto per analizzarli?

«Nel 2017 abbiamo raccolto qualcosa come quattro petabytes di dati, ossia 4000 terabytes! Nel 2018 abbiamo registrato una banda doppia, quindi il doppio dei dati (almeno in termini di bytes). L’ordine di grandezza è di un petabyte per telescopio, quindi il volume totale di dati ammonta a circa 10 petabytes. Abbiamo impiegato un anno e mezzo a ridurre, calibrare, validare e analizzare i dati acquisiti nel 2017 e, ovviamente, convertirli in immagini radio delle sorgenti. Devo ammettere che inizialmente eravamo troppo ottimisti, nel senso che avevamo preventivato di produrre i primi risultati entro un anno dalle osservazioni. In realtà, ci sono due ragioni fondamentali che giustificano questo “ritardo”. La prima è che abbiamo avuto bisogno di più tempo per creare tutto il software di analisi necessario, essendo la prima volta che vengono acquisiti dati di questo genere. La seconda ragione è più sottile, ma non meno importante: paradossalmente, capire in maniera estremamente dettagliata e accurata i dati dell’Eht è stato molto difficile proprio per la loro elevata qualità, che ci ha permesso di evidenziare caratteristiche ed errori sistematici che non si sono mai visti prima, essendo “sepolti” nel rumore. Per fortuna il gigante Alma ha giocato un ruolo fondamentale nel processo di elaborazione dei dati, che d’ora in poi – cioè per la seconda serie di dati che analizzeremo – dovrebbe rivelare meno sorprese e procedere più speditamente».

Quali controlli avete introdotto, e quali modalità avete seguito per l’elaborazione dei dati, al fine di evitare eventuali contaminazioni?

«Dato che il nostro obiettivo è quello di “vedere” la famosa ombra del buco nero, che sottende piccolissime dimensioni angolari, e rivelare minime strutture nell’immagine che siano riconducibili a eventuali deviazioni dalle predizioni della teoria di Einstein, abbiamo sempre verificato qualsiasi anomalia durante tutte le fasi di calibrazione e analisi dei dati e, soprattutto, abbiamo eseguito delle analisi indipendenti e una serie di controlli incrociati. Per essere più precisi, al fine di testare la validità dei dati sono stati utilizzati metodi di confronto incrociato seguendo tre passaggi fondamentali. Primo, la correlazione dei dati: i due super-computer (quello del Mit nel Massachusetts e quello del Max Planck Institut a Bonn) hanno correlato indipendentemente i segnali fra coppie di antenne, fornendo prestazioni identiche e rivelando lo stesso segnale. Secondo, la calibrazione dei dati: i dati provenienti dai due correlatori sono stati ulteriormente elaborati con tre software indipendenti, fornendo dei risultati compatibili entro gli errori. Terzo, nel processo di conversione da dati interferometrici a immagini radio abbiamo usato due metodologie distinte: una si basa su metodi tradizionali, che fanno uso di software classici, e un’altra è più innovativa, concepita nel caso specifico di un insieme di antenne che hanno partecipato al progetto Eht. Anche in questo caso le immagini che abbiamo ottenuto dalle analisi parallele sono compatibili entro gli errori. Devo dire che in quasi vent’anni che mi occupo di Vlbi non ho mai visto analizzare un insieme di dati radio con tanta scrupolosità e controlli incrociati. Qualche collega può contraddirmi, se vuole, ma mi sento di affermare che questo è l’insieme di dati radio più esaminato della storia del Vlbi».

Dato che nessuno hai mai visto un buco nero, come facciamo a capire che avremo finalmente “visto” qualcosa?

«Questa non è per niente una domanda scontata. Il nostro obiettivo principale, come astronomi osservativi, è fare delle misure e analizzare i dati nella maniera più accurata, oggettiva e riproducibile possibile. Dopodiché, i nostri risultati vengono esaminati dal gruppo di teorici che passano al setaccio tutti i modelli possibili (inclusi i modelli alternativi ai buchi neri). Da un confronto certosino di questi modelli con i dati, potremo finalmente dare la risposta tanto attesa se si tratta effettivamente di un buco nero, così come previsto dalla relatività generale, oppure no. Vi lascio, per ora, con la suspense. Infatti, uno degli obiettivi a lungo termine del nostro progetto è quello di testare l’ormai centenaria teoria di Einstein, che – nonostante descriva generalmente bene l’universo osservato fino ad oggi – potrebbe presentare alcune deviazioni proprio in prossimità di un buco nero a causa dell’estrema gravità. Quindi, la teoria di Einstein potrebbe non essere la teoria finale dell’universo, che forse dovremo ancora scoprire. Ecco perché c’è un grande interesse nell’osservare queste regioni estreme dello spazio. Insomma, questa famigerata “foto del secolo” rappresenterà un altro passo in avanti nel nostro modo di comprendere i grandi misteri dell’universo e un bellissimo esempio di collaborazione internazionale nell’ambito dello sviluppo tecnologico e del progresso scientifico».


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Coelum Astronomia di Marzo 2019
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Una Luna (quasi) Piena e Regolo

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Interessante sarà l’osservazione di questa bella e congiunzione tra la Luna quasi piena (fase del 94%) e Regolo (mag. +1,35) la stella alfa della costellazione che ospita l’evento: il Leone.

Questa costellazione è una delle figure celesti che dominano il cielo in questo periodo e la sua stella principale apparirà come annegata nel chiarore lunare, considerando che tra i due protagonisti vi sarà una separazione di circa 1° 58’.

Questa congiunzione sarà interessante da osservare a occhio nudo o da riprendere nel contesto del paesaggio, del quale sarà possibile registrare i dettagli illuminati dalla Luna. A questo proposito segnaliamo due articoli sull’ultimo numero di Coelum astronomia (sempre in formato digitale e gratuito) con consigli utili per la ripresa della Luna Piena, e una vecchia rubrica sulla ripresa del paesaggio illuminato dalla Luna Piena.

➜ Usare la prospettiva per toccare la Luna di Giorgia Hofer

➜ Vivere un favola. Il racconto di una notte di superluna sulle dolomiti di Claudio Pra

➜ La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena di Giorgia Hofer

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019

➜ Continua su Fenomeni e congiunzioni di marzo


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Marzo su Coelum Astronomia 231

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NEIL ARMSTRONG The First

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Una mostra itinerante (sul sito il calendario delle date e le località in continuo aggiornamento) sulla vita e la carriera di Neil Armstrong commemorerà il 50° anniversario di Apollo 11 e tutto il programma lunare, include le foto della carriera di Neil Armstrong con scatti inediti o poco noti al grande pubblico. Potrete ammirare i modelli dei veicoli spaziali utilizzati da Neil Armstrong, le tute e le attrezzature utilizzate sulla superficie lunare, documenti originali, rari reperti dell’epoca, ricostruzioni a grandezza naturale. Video e suoni multimediali accompagneranno il visitatore nel più grande sogno dell’uomo: quello di raggiungere la Luna.

A cura di Luigi Pizzimenti (ADAA). La mostra è dedicata agli appassionati di missioni spaziali, piccoli sognatori, studenti, che potranno ammirare oggetti originali appartenuti alle missioni Apollo, scoprendo con i propri occhi come l’uomo – per raggiungere la Luna – abbia superato difficoltà considerate insormontabili. L’esposizione aprirà le porte al pubblico nel mese di marzo, per concludersi nel mese di ottobre 2019 e toccherà diverse città italiane.

Se desiderate ospitare la mostra scrivete a: info@neilarmstrongthefirst.it

www.neilarmstrongthefirst.it

Un pipistrello cosmico in volo per i 20 anni di FORS2

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Nascosto in uno degli angoli più bui della costellazione di Orione, questo pipistrello cosmico sta diffondendo le sue velate ali nello spazio interstellare a duemila anni luce di distanza. È illuminato dalle giovani stelle nascoste nel suo nucleo – nonostante siano avvolte da nuvole opache di polvere, i loro raggi luminosi illuminano ancora la nebulosa. Troppo debole per essere percepito ad occhio nudo, NGC 1788 rivela i suoi colori tenui al Very Large Telescope dell’ESO in questa immagine – la più dettagliata fino ad oggi. Crediti: ESO

Il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO ha intravisto una nebulosa eterea nascosta negli angoli più bui della costellazione di Orione (Il cacciatore), nota cone la sigla NGC 1788 e soprannominato il pipistrello cosmico.

NGC 1788 fu descritta per la prima volta dall’astronomo tedesco-britannico William Herschel, che la incluse nel Catalogo generale di nebulose e ammassi che, ventiquattro anni dopo, sarebbe stato ampliato da John Louis Emil Dreyer,  diventando quella che oggi è tra le collezioni più significative di oggetti del cielo profondo: il New General Catalogue (NGC).

Si tratta di una nebulosa a riflessione e, come dice il nome, non emette luce ma è illuminata da un grappolo di giovani stelle al suo interno, visibili solo vagamente attraverso le nuvole di polvere. Gli strumenti scientifici hanno fatto molta strada da quando NGC 1788 è stata descritta per la prima volta, e questa immagine dal VLT ne è il ritratto più dettagliato mai ripreso fin0ra.

Una bella immagine di questa piccola e debole nebulosa era già stata catturata dal telescopio MPG / ESO da 2,2 metri all’osservatorio La Silla dell’ESO, ma questa nuova ripresa la supera nettamente. Come congelati in volo, i minimi dettagli delle ali polverose di questo pipistrello cosmico sono stati ripresi per festeggiare il ventesimo anniversario di uno degli strumenti più versatili di ESO, FORS2 (in inglese “FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph 2”).

La delicata nebulosa NGC 1788 si trova in un angolo buio e spesso trascurato della costellazione di Orione. Sebbene questa nube spettrale sia piuttosto isolata dalle stelle luminose di Orione, i loro potenti venti hanno un forte impatto sulla nebulosa, forgiando la sua forma e trasformandola in una casa per una moltitudine di soli infantili. Questa immagine del Digitized Sky Survey 2 copre un campo visivo di 3 x 2,9 gradi e mostra che la Nebulosa Pipistrello fa parte di una nebulosità molto più grande. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide de Martin

Anche se sembra isolata da altri oggetti cosmici, gli astronomi ritengono che sia stata modellata dai potenti venti stellari delle stelle massicce che si trovano al di là di essa. Questi flussi di plasma rovente vengono lanciati dall’atmosfera superiore di una stella a velocità incredibili, e in questo modo riescono a raggiungere eormi modellare le nuvole che nascondono le stelle nascenti del pipistrello cosmico.

FORS2 è uno strumento montato su Antu, uno dei telescopi unitari del VLT da 8,2 metri di diametro, presso l’Osservatorio di Paranal. La sua capacità di osservare grandi aree del cielo con dettagli eccezionali lo ha reso parte essenziale della flotta di strumenti scientifici più all’avanguardia di ESO. Fin dalla sua prima luce 20 anni fa, FORS2 è diventato noto come “il coltellino svizzero degli strumenti”. Questo appellativo deriva dal suo ampio set di funzioni: oltre a poter visualizzare con precisione ampie aree del cielo, FORS2 può anche misurare gli spettri di più oggetti nel cielo notturno e analizzare la polarizzazione della loro luce. I dati di FORS2 sono la base di oltre 100 studi scientifici pubblicati ogni anno, ma la versatilità di FORS2 va oltre gli usi puramente scientifici: la sua capacità di catturare immagini di alta qualità, come questa, lo rende uno strumento particolarmente utile per la divulgazione scientifica.

Questa immagine, infatti, è stata ripresa all’interno del programma Gemme Cosmiche dell’ESO, un’iniziativa di divulgazione che utilizza i telescopi dell’ESO per produrre immagini di oggetti interessanti, intriganti o visivamente attraenti per scopi educativi e di sensibilizzazione del pubblico. Il programma utilizza il tempo del telescopio che non può essere utilizzato per le osservazioni scientifiche e, con l’aiuto di FORS2, produce immagini mozzafiato di alcuni degli oggetti più sorprendenti nel cielo notturno, come questa intricata nebulosa a riflessione. Nel caso in cui i dati raccolti, poi, possano essere utili anche per futuri scopi scientifici, queste osservazioni vengono registrate e rese disponibili agli astronomi attraverso l’archivio scientifico dell’ESO.


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Coelum Astronomia di Marzo 2019
Ora online, come sempre in formato digitale, pdf e gratuito.

Accademia delle Stelle

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2019-03 Coelum AdS

Ai primi due corsi del 2019 della nostra Scuola di Astronomia, seguiranno, a cominciare dal 4 aprile, il Corso Avanzato di Astronomia ed il Corso di Archeoastronomia ed Astronomia culturale, presso la nostra sede all’EUR, di fronte alla metro Laurentina.

Tutti i lunedì fino all’11 marzo: Corso Base di Astronomia Generale
Un meraviglioso viaggio alla scoperta dell’Universo: è possibile seguire le singole lezioni (al costo di 15 euro) previa prenotazione. Il programma degli argomenti è sul sito.
Tutti i giovedì fino al 14 marzo: Corso completo di Astrofotografia
Lezioni teoriche e pratiche per imparare e sperimentare tutte le competenze per fotografare il cielo. Stesse modalità di partecipazione dell’altro corso.

16.03: Osservazioni pubbliche con un telescopio da mezzo metro

Informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://www.accademiadellestelle.org

Perserverance Valley. L’ultimo sguardo di Opportunity

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L’ultimo panorama a 360° ripreso da Opportunity prima della tempesta. I colori sono stati enfatizzati per distinguere le diverse formazioni e i diveri materiali della superficie. Cliccare sull’immagine per ingrandire. Credits: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

Nell’arco di 29 giorni, durante la primavera 2018, Opportunity ha raccolto le immagini che danno vita a questo straordinario panorama ad alta risoluzione della Perseverance Valley, su Marte. Un panorama a 360 gradi dell’ultima dimora del rover della NASA, che non è più riuscito a risvegliarsi, o comunque a mettersi in contatto con il centro controllo della missione, dopo l’inizio della tempesta globale che ha avvolto Marte durante l’estate scorsa.

La missione del rover, dopo numerosi tentativi e attese, è stata ufficialmente dichiarata conclusa il 12 febbraio scorso, e della sua lunga carriera e di tutti i suoi record (è al momento, con i suoi 15 anni di “carriera”, il più longevo rover che ha esplorato la superficie marziana), ne abbiamo parlato su Coelum astronomia di questo mese, nell’approfondimento Grazie Opportunity, missione conclusa (come sempre a lettura gratuita).

Situata sul versante interno del bordo occidentale del cratere Endurance, la Perseverance Valley è un sistema di depressioni poco profonde che si estendono verso oriente, per la lunghezza di due campi da calcio, dalla rima del cratere Endeavour verso la sua platea.

Una versione navigabile a piena risoluzione, potete vederla andando sul sito della missione alla pagina: Opportunity Legacy Pan.

«Questo ultimo panorama incarna ciò che ha reso il nostro rover Opportunity una così straordinaria missione di esplorazione e scoperta», ha dichiarato il project manager Opportunity John Callas del Jet Propulsion Laboratory. «A destra del centro si può vedere il bordo del cratere Endeavour che si eleva in lontananza, subito alla sua sinistra, le tracce del rover iniziano la loro discesa fin oltre l’orizzonte, serpeggiando tra le caratteristiche geologiche che i nosrti ricercatori volevano vedere più da vicino. E agli estremi, a destra e a sinistra, c’è la fine della Perseverance Valley e la platea del cratere Endeavour, incontaminata e inesplorata, in attesa della visita di futuri esploratori».

Una versione 3D da guardare (cliccare per ingrandire) con i classici occhialini rosso/blu. Credits: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU Last data NASA\’s Opportunity rover sent back from Mars Taken on June 10, 2018 (the 5,111th Martian day, or sol, of the mission) this “noisy,” incomplete image was the last data NASA\’s Opportunity rover sent back from Mars. Credits: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

Il panorama è composto da 354 immagini singole, riprese dalla camera panoramica del rover (la Pancam) dal 13 maggio al 10 giugno 2018 (dal sol 5.084 al sol 5.111, ovvero giorni marziani contati dal suo arrivo). È la somma di immagini riprese in tre diversi filtri, nelle lunghezze d’onda da 753 nanometri (infrarosso vicino), 535 nanometri (verde) e 432 nanometri (violetto verso il blu), combinate ed elaborate in falsi colori per evidenziare le differenze tra i vari materiali presenti sulla superficie ripresa.

Qui invece la versione elaborata per vedere la scena in colori il più possibile “veri”, così come potremmo vederli con i nostri occhi su Marte. Credits: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

Alcuni fotogrammi (in basso a sinistra nell’immagine) sono rimasti in bianco e nero, poiché il rover non ha avuto il tempo di riprendere quelle porzioni di immagine anche nei filtri verde e violetto, prima che la tempesta gli oscurasse la vista.

Nell’immagine intravediamo anche una porzione dei pannelli solari di Oppy – spesso visibili in questi panorami, in particolare quando comprendono immagini del terreno vicino al rover – e la cima dell’antenna a basso guadagno, con il quale il rover comunicava direttamente con le antenne del Deep Space Network, qui sulla Terra.

L’affioramento roccioso, invece, che vediamo sulla destra al centro, chiamato “Ysleta del Sur”, si trova a soli 7 metri dalla camera ed è l’ultima formazione studiata dal rover tra il 3 e il 29 marzo 2018 (tra i sol 5015 e 5038). Il team missione stava chiudendo le analisi su quella formazione quando è iniziata la tempesta.

Appena a sinistra del centro dell’immagine vediamo delle rocce (chiamate  “Tomé,” “Nazas” and “Allende”) analizzate dal rover tra la fine di aprile e inizio maggio 2018. Queste “rocce butterate”, pitted rock,  sono uniche, come texture e composizione, e diverse da tutte quelle incontrate durante la missione. La piccola collina del bordo del cratere Endeavour, che si vede in lontananza, dista invece circa 64 metri.

Al centro di queste piccole immagini a bassa risoluzione, il puntino sbiadito di un debole Sole. Sono immagini test utilizzate per misurare l’opacità dell’atmosfera all’inizio della tempesta. Credits: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

Qui a destra potete vedere anche le ultimissime immagini ottenute durante la sua missione, nell’ultimo giorno in cui si è riusciti a comunicare con lui, sono immagini a bassa risoluzione e in bianco e nero, utilizzate per determinare l’opacità del cielo a inizio tempesta. Più in basso, anche l’ultimo pezzo di dati trasmesso dal rover (un’immagine incompleta, fatta quasi solo di “rumore”, di un cielo ormai oscurato).

Il 10 giugno 2018 (sol 5111) arriva l’ultimo pacchetto di dati da Opportunity, un’immagine incompleta del cielo oscurato dalla tempesta. Credits: NASA/JPL-Caltech/Cornell/ASU

Ma quest’ultima immagine scura e incompleta non è tutto quello che resta della lunga missione del rover.

Le scoperte scientifiche di Oppy hanno contribuito, come nessun’altro fin’ora, alla nostra comprensione della geologia e dell’ambiente marziano, gettando le basi per le future missioni robotiche, e umane, sul Pianeta rosso.

Una importante e corposa eredità che, nonostante si sia dovuto arrendersi alla conclusione della missione a causa della tempesta di sabbia, ne ha decretato il successo, senza se e senza ma.

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Luna, c’è traffico d’acqua nelle ore di punta

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Questo schema mostra come le molecole d'acqua siano attaccate qua e là ad alcuni grani nella parte superiore della superficie lunare. Le molecole sono strettamente legate ai grani fino a quando le temperature superficiali raggiungono il loro picco, attorno al mezzogiorno locale. È a quel punto che le molecole vengono liberate, e possono così “migrare” verso una zona vicina che sia abbastanza fredda da mantenere la molecola stabile, come potrebbe essere la zona d’ombra proiettata da un grano vicino. Crediti: Amanda Hendrix, Psi
Ecco come Lamp e gli altri strumenti a bordo di Lro vedono la Luna. In questa immagine, il polo sud. Crediti: Nasa/Lro

Un recente studio pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters mostra che le molecole d’acqua, distribuite sullo strato più superficiale della Luna e solitamente aggregate a grani di polvere, intorno al mezzogiorno lunare (quando sulla superficie la temperatura raggiunge il suo massimo) migrano verso zone circostanti più fresche in modo da conservare la loro stabilità chimica.

Nello studio di cui è autrice insieme ad altri ricercatori, la scienziata Amanda Hendrix del Planetary Science Institute spiega che la distribuzione di acqua sulla superficie lunare dipende non solo dal tipo di materiale a cui le molecole d’acqua si aggregano ma anche dalla temperatura (quindi dall’ora locale).

A dimostrarlo sono i dati forniti dallo strumento Lamp (Lyman Alpha Mapping Project), uno spettrografo ultravioletto capace di osservare anche le zone della Luna permanentemente in ombra a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter (Lro)  della Nasa. Lamp e gli altri sei strumenti a bordo di Lro sono progettati per caratterizzare la superficie lunare, esaminare le eventuali risorse disponibili e identificare possibili siti di atterraggio per le successive missioni di esplorazione umana. Una riserva di acqua sulla Luna renderebbe infatti il ritorno dell’Uomo sulla Luna una possibilità ancora più vicina perché i costi della missione risulterebbero più contenuti.

I dati forniti da Lamp sono relativi alle “impronte” lasciate dall’acqua sullo strato superficiale della regolite lunare (sì, proprio quel terriccio granuloso su cui Buzz Aldrin ha lasciato la sua impronta nel 1969 durante la missione Apollo 11 e la cui immagine è passata alla storia). Le misure da cui è stato tratto lo studio di Hendrix sono effettuate di solito per rilevare la presenza di acqua, e per la prima volta è stato notato un assorbimento nella regione dell’ultravioletto durante il giorno lunare.

Che ci sia acqua sulla Luna è una certezza sin da febbraio dell’anno scorso, quando le immagini realizzate dallo strumento Moon Mineralogy Mapper della Nasa hanno confermato definitivamente la presenza di ghiaccio d’acqua sulla superficie lunare. Ma cosa si intende quando si parla di acqua sulla Luna? Di fatto, si tratta di gruppi ossidrilici (OH), ovvero componenti dell’acqua (H2O) legati ad altre molecole o composti. L’ipotesi più accreditata che spiega la presenza di acqua sulla Luna è quella del bombardamento di ioni del vento solare a cui la Luna è (quasi) costantemente esposta. Ioni che, spazzando la superficie lunare, la arricchiscono di ingredienti che porterebbero alla formazione dell’acqua.

Questo schema mostra come le molecole d’acqua siano attaccate qua e là ad alcuni grani nella parte superiore della superficie lunare. Le molecole sono strettamente legate ai grani fino a quando le temperature superficiali raggiungono il loro picco, attorno al mezzogiorno locale. È a quel punto che le molecole vengono liberate, e possono così “migrare” verso una zona vicina che sia abbastanza fredda da mantenere la molecola stabile, come potrebbe essere la zona d’ombra proiettata da un grano vicino. Crediti: Amanda Hendrix, Psi

Un’altra informazione estremamente interessante lo strumento Lamp la fornisce proprio riguardo al vento solare, identificato come scorta di protoni (ioni idrogeno, H+) necessari alla formazione di ossidrili (OH) sulla Luna. Pare infatti che, anche quando il nostro satellite attraversa specifiche zone della sua orbita intorno alla Terra, il cui campo magnetico agisce da scudo protettivo impedendo al vento solare di raggiungere la superficie lunare, la produzione di molecole d’acqua non diminuisca.

Questo potrebbe voler dire che l’acqua lunare non si forma necessariamente – o soltanto – grazie al vento solare ma ci sono altre fonti di approvvigionamento. Per avere questa risposta dobbiamo aspettare il prossimo capitolo di questa avvincente storia.

Per saperne di più:

  • Leggi su Geophysical Research Letters l’articolo “Diurnally-Migrating Lunar Water: Evidence from Ultraviolet Data” di Amanda R. Hendrix,  Dana M. Hurley,  William M. Farrell,  Benjamin T. Greenhagen,  Paul O. Hayne,  Kurt D. Retherford,  Faith Vilas,  Joshua T. S. Cahill,  Michael J. Poston e  Yang Liu

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Aperitivo con Luna e Aldebaran

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Incontro classico quello del 13 marzo, che vedrà la Luna (fase del 43%) soggiornare entro il teatro stellare del Toro, a poca distanza dall’ammasso delle Iadi in cui domina fiammeggiante la stella Aldebaran (mag. +0,85).

All’orario indicato gli astri saranno molto alti sull’orizzonte di ovestsudovest, circa 48°.

Non si tratterà di una congiunzione molto stretta, con la Luna che si troverà a circa 4° 40’ a nord-nordest della stella.

Per arricchire l’osservazione, o se proprio il cielo fosse nuvoloso, ad Aldebaran e le Iadi sono dedicate più puntate della rubrica di Stefano Schirinzi dedicate al ricco campo della costellazione del Toro. Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019

➜ Continua su Fenomeni e congiunzioni di marzo


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Marzo su Coelum Astronomia 231

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Coelum astronomia si unisce al cordoglio per la scomparsa di Alessandro Dimai

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Giovedì scorso ci ha lasciati, a soli 56 anni, Alessandro Dimai, dell’Associazione Astronomica Cortina.

Direttore dell’Osservatorio Astronomico del Col Drusciè e del Planetario “Nicolò Cusano” a Cortina, si è sempre distinto per la sua dedizione alla didattica e alla divulgazione dell’astronomia.

Inizia la sua passione di astrofilo all’inizio degli anni ‘80 e, con l’arrivo della cometa di Halley (della quale ha scritto per noi un ricordo che potete leggere  nel numero 214), nel 1985, entra a far parte dell’Associazione Astronomica Cortina.

Nel 1995, assieme agli astrofili di Conegliano, pubblica il volume “Profondo Cielo” (Biroma Editore), mentre nel 1997, assieme a Piergiorgio Cusinato, presidente dell’Associazione Astronomica Cortina, realizza il libro “Hale Bopp la Cometa del Secolo” (La Cooperativa editore). L’ultimo volume, “Magiche notti d’Ampezzo” sempre realizzato con l’Associazione astronomica, esce nel 2002, con una raccolta di immagini astronomiche riprese nel contesto delle Dolomiti d’Ampezzo, le sue montagne.

Comete, ma anche asteoroidi e supernovae. Dimai ha sempre, in parallelo con la divulgazione dell’astronomia, contribuito anche alla ricerca astronomica amatoriale. Nel 1999 scopre la sua prima supernova in M61, e fonda e dirige il programma di ricerca amatoriale di supernovae CROSS e, nel 2000, scopre anche un asteroide successivamente battezzato 50240 Cortina.
Il compianto Vittorio Goretti, gli ha intitolato un asteroide: 25276 Dimai, scoperto dall’astrofilo bolognese nel 1998.

Salutiamo anche noi Alessandro, un amico al quale dedicheremo un ricordo nel prossimo numero di aprile, e nel frattempo la nostra Redazione, con i collaboratori tutti, si unisce al dolore dei famigliari e dei membri dell’Associazione Astronomica Cortina, porgendo le più sentite condoglianze.

Astronomiamo

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LocandinaCoelum

LocandinaCoelum
23.03, ore 16:00: Incontri di Astronomia Live: Dott. Federico Tosi (INAF), presso Cia del Mandrione 190, Roma

LE DIRETTE, inizio ore 21:30
14.03: Corso online di Astrofotografia
21.03: Beyond Oort
28.03: Occhi al Cielo

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it/

Falce di Luna e Marte nel cielo della sera

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La sera dell’11 marzo, sarà nuovamente il nostro satellite naturale ad essere protagonista di una congiunzione. Questa volta il compagno della Luna (fase del 23%) sarà il Pianeta Rosso (mag. +1,3): gli astri si incontreranno, tra le stelle dell’Ariete, in una larga congiunzione (separazione di circa 6°) con Marte che si troverà a ovest della Luna.

All’orario indicato i due soggetti si troveranno alti circa 20° sull’orizzonte di ovest-sudovest e saranno diretti verso il tramonto che sopraggiungerà alle ore 23 circa.

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➜ …e per chi ama le osservazioni deep sky, marzo è il mese della Maratona Messier!

➜ Le serate migliori per l’osservazione e la ripresa delle sottili Falci di Luna


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La Luna di marzo 2019 e una guida all’osservazione della Regione Polare Nord – Parte C

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Le fasi della Luna in marzo, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Con il Novilunio del 6 marzo è ripartito un nuovo ciclo lunare. Il 14 marzo la Luna sarà in Primo Quarto, mentre per il Plenilunio dovremo attendere il giorno 21.

Continua e approfondisci in la Luna di Marzo su Coelum Astronomia 231

A marzo osserviamo

13 e 17 marzo
Il Settore settentrionale (parte C)

La prima e la seconda proposta di questo mese rientrano nella proposta principale e sono interamente dedicate al Settore Settentrionale del nostro satellite suddivise rispettivamente nelle serate del 13 e 17 marzo, quando riprenderemo il nostro viaggio che dall’estremo bordo orientale della Luna ci porterà fino in prossimità dell’opposto bordo lunare, visitando le principali formazioni geologiche non ancora toccate nei nostri viaggi selenici.

Nelle due serate indicate potrà risultare interessante e molto utile seguire l’avanzamento della linea del terminatore attraverso il suolo lunare, con luci e ombre sempre differenti, al variare dell’angolo di illuminazione solare, e con la possibilità di effettuare dettagliate osservazioni delle principali strutture geologiche.

➜ Continua con la Guida all’osservazione della Regione Polare Nord – Parte C

14, 15 e 16 marzo Recuperiamo!

Per chi avesse perso l’opportunità nei mesi precedenti, il 14, 15 e 16 marzo ci sarà la possibilità di recuperare (o approfondire) strutture come i crateri W. Bond, Timaeus, Archythas, Barrow, Goldschmidt, Epigenes, Anaxagoras, Birmingham e i loro dintorni, già descritte precedentemente nella guida osservativa pubblicata su Coelum Astronomia 222: la Regione polare Nord – Parte A

19 e 20 marzo. Massima librazione sud

La terza proposta di questo mese riguarda il punto di massima Librazione che, dal tramonto del giorno 19 all’alba del 20 marzo, verrà a trovarsi proprio in corrispondenza della regione Polare Sud del nostro satellite, spostandosi in questo arco temporale lungo l’estremo bordo lunare nell’area interessata dal prolungamento verso sud dei crateri Moretus e Curtius.

Tenete presente che dalle 3:00 il punto di Librazione invertirà la sua direzione tornando verso est. L’occasione è veramente imperdibile e con la concreta possibilità di effettuare osservazioni visuali, o con acquisizione di immagini, di strutture altrimenti affette da un notevole schiacciamento prospettico, tipico di queste latitudini, oltre al ridotto angolo di illuminazione solare. Sperando in favorevoli condizioni osservative saremo proprio a due passi dal Polo Sud della Luna!

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Su Coelum astronomia di marzo

Vivere un favola. Il racconto di una notte di superluna sulle dolomiti di Claudio Pra

Usare la prospettiva per toccare la Luna di Giorgia Hofer

…e ancora di Giorgia Hofer

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna

➜ Fotografare la Luna

La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena

Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! ➜  La Luna mi va a pennello.

E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!


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Aiutiamo L’ESA a definire il suo programma scientifico spaziale

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Come si è formata la nostra galassia, la Via Lattea? Come crescono i buchi neri? Qual’è l’origine del nostro sistema solare? Esistono altri mondi capaci di ospitare forme di vita? Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui le nostre attuali missioni scientifiche intendono rispondere. Ma secondo te, quali sono i quesiti più importanti che le nostre future missioni dovrebbero affrontare? Ora, hai la possibilità di dircelo.

Günther Hasinger, Direttore delle Attività di Scienza dell’ESA, invita il pubblico a condividere le proprie opinioni sui quesiti da porre a Voyage 2050, il programma scientifico spaziale dell’ESA per il periodo 2035–2050. Questa consultazione pubblica si è aperta il 4 marzo e proseguirà fino alla fine di giugno.

È la prima volta che l’ESA invita il pubblico a prendere parte a questo processo.

«Le nostre missioni sono finanziate dagli Stati membri, cioè dai cittadini», spiega il Direttore Hasinger. «Desideriamo alimentare un senso di appartenenza e coinvolgimento nel programma scientifico spaziale con il nostro pubblico, quindi abbiamo deciso di ascoltare le opinioni di tutti e di scegliere la prossima serie di missioni in modo aperto e trasparente».

L’indagine non richiede conoscenze specifiche su argomenti di scienza spaziale ed è stata formulata in modo tale che i partecipanti siano guidati attraverso una sequenza di domande.

Più o meno ogni dieci anni, l’ESA si consulta con la comunità scientifica europea per pianificare il futuro del proprio programma scientifico. Il piano attuale, che si chiama Cosmic Vision 2015-2025 e che copre una serie di missioni che saranno lanciate e messe in atto tra adesso e l’inizio del 2030, è il frutto di una consultazione con gli scienziati europei iniziata nel 2005. Le missioni di Cosmic Vision affronteranno complessi quesiti sulla natura e l’origine del nostro sistema solare, e sull’universo nel suo complesso.

La cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ripresa dalla NavCam a bordo della sonda Rosetta, il 27 marzo del 2016. La sonda si trovava a 329 chilometri dal centro della cometa, e la risoluzione dell\’immagine è di 28 metri per pixel. ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0

Per realizzare missioni scientifiche spaziali rivoluzionarie, dal concepimento allo sviluppo e lancio fino alla produzione di risultati scientifici, possono essere necessari anche fino a vent’anni. La missione pionieristica Rosetta, lanciata nel 2004 per un incontro ravvicinato con la cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko e per l’atterraggio di un lander sulla sua superficie nel 2014, ha avuto origine dal programma Horizon 2000, un piano ancora antecedente iniziato negli anni Ottanta.

Anche se può sembrare che si stia parlando di un futuro lontano, è già tempo di iniziare la pianificazione oltre l’orizzonte attuale, per i decenni fino al 2050.

Questa prospettiva futuristica è essenziale per l’Europa, poiché alimenta la necessaria fiducia e definisce gli obiettivi comuni che permetteranno il lavoro di mutuo sostegno e collaborazione tra scienziati, ingegneri, industria ed enti finanziatori per molti decenni. La pianificazione strategica a lungo termine assicura anche lo sviluppo continuo di tecnologie innovative e allo stesso tempo fa avanzare le competenze europee nella ricerca in un’ampia gamma di settori scientifici.

«Questa consultazione rappresenta un’opportunità entusiasmante per la scienza spaziale europea», dichiara il Direttore Hasinger.

«Vedremo che cosa saremo in grado di realizzare in futuro, e ciò significa incoraggiare in particolar modo i giovani a condividere le proprie opinioni. Dopo tutto, sono loro che lavoreranno a queste missioni e che ne trarranno beneficio».

Ulteriori informazioni

Per partecipare a questa consultazione pubblica, consultare la pagina: sci.esa.int/discovering-our-universe/survey

Tutte le persone di età superiore ai 16 anni, di tutto il mondo, sono invitate a partecipare. Non ci sono restrizioni di nazionalità.

A titolo di ringraziamento per aver preso parte alla consultazione, i partecipanti possono scegliere di partecipare a un’estrazione mensile di un voucher regalo per tutta la durata della consultazione pubblica.

Per informazioni più dettagliate su questa consultazione pubblica: sci.esa.int/discovering-our-universe


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