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SU NATURE, CONTROVERSIA SU ALCUNI DATI
Il New York Times ci aprì il numero del 22 marzo 2013, con la prima mappa cosmologica del satellite ESA Planck. Mettendola a tutta pagina proprio sotto al celebre motto che dal 1897 riassume la linea editoriale della testata: “All the News That’s Fit to Print”. Certo era una notizia degna d’essere data con risalto: i puntini colorati di quella strana immagine, presentata al mondo il giorno prima a Parigi, ritraggono il paesaggio più antico e onnicomprensivo che si possa concepire, quello dell’universo all’alba del tempo. Un’immagine ancora viva nella memoria del grande pubblico, compreso quello italiano, che l’ha appena eletta notizia scientifica dell’anno nel tradizionale sondaggio online del mensile Le Scienze. Ma soprattutto un’immagine con la quale, dal giorno del rilascio dei dati, si stanno confrontando centinaia di scienziati di tutto il pianeta, perché dall’unione di quei puntini emergono i parametri cosmologici: i numeri chiave che riassumono le proprietà del nostro universo. Una manciata di cifre sulle quali si gioca la validità o meno del cosiddetto Lambda-CDM, il modello standard della cosmologia. Ebbene, è proprio facendo le pulci a quelle cifre che tre cosmologi della Princeton University si sono accorti d’un effetto anomalo presente nei dati ottenuti dai ricevitori di una delle nove frequenze misurate da Planck, quelli a 217 GHz. Un effetto quantitativamente esiguo, ma sistematico, per usare la terminologia degli scienziati.
Stando all’analisi “Planck Data Reconsidered” (pubblicata l’11 dicembre scorso, per ora solo in rete) di David Spergel e colleghi, eliminando dalla mappa i dati a 217 GHz si ridurrebbe anche la differenza, riscontrata da Planck, in alcuni dei parametri cosmologici rispetto a quanto ottenuto da precedenti esperimenti, in particolare dalla sonda WMAP (missione nella quale Spergel ha avuto un ruolo di primo piano). Lo studio dei tre scienziati di Princeton è stato ripreso due giorni dopo da Ron Cowen, sulle pagine di Nature, in un articolo che non dev’essere stato molto gradito al team di Planck – a partire dal titolo, che tradotto suonerebbe “Cosmologi in disaccordo su misteriose anomalie nei dati dall’universo primordiale”. La reazione, sotto forma di commento postato sul sito della rivista, non s’è fatta attendere: «Nel complesso, l’articolo potrebbe dare l’impressione che vi sia, nell’analisi di Planck, un problema di base riconducibile a errori sistematici dei dati. Semplicemente, non è questo il caso», lamenta Jan Tauber, project scientist della sonda ESA, sottolineando come in realtà i parametri cosmologici misurati da Planck siano statisticamente compatibili con quelli calcolati da WMAP, e come la stessa analisi dei dati compiuta dal team di Spergel porti a risultati che coincidono con quelli di Planck entro un sigma. Gli scostamenti riscontrati, spiega Tauber, «sono probabilmente dovuti a differenze metodologiche fra la nostra analisi e quella di Spergel e colleghi, non a errori sistematici nei dati di Planck. Ed entrambe le analisi sono d’accordo sul fatto che il piccolo errore sistematico – dipendente dal tempo e riguardante un sottoinsieme dei dati a 217 GHz – che abbiamo riportato nelle versioni rivedute degli articoli di Planck 2013 ha sui risultati cosmologici di Planck un impatto ridotto».
Per tentare di capire un po’ più in dettaglio l’origine e la portata del problema, Media INAF ha intervistato Nazzareno Mandolesi, responsabile di uno dei due strumenti a bordo di Planck (lo strumento per le frequenze inferiori ai 100 GHz, dunque non quello direttamente coinvolto in questa vicenda).
Sapete già a cosa è dovuta l’anomalia riscontrata nei dati provenienti da alcuni dei rivelatori a 217 GHz?
«Al momento siamo molto cauti nel trattare questo esiguo effetto sistematico a 217 GHz, a una scala angolare corrispondente a multipoli l=1800. Con alta probabilità la causa non va ricercata in sistematiche di origini astrofisiche, che seguono leggi di potenza. Bensì in un effetto strumentale caratteristico dell’accoppiamento fra le componenenti termiche e bolometriche (a 217 GHz) dello strumento Planck. Al livello di precisione in cui siamo è difficile individuare con esattezza il meccanismo di questi piccolissimi effetti strumentali, che sono presenti in quantità nelle missioni satellitari».
Secondo voi riguarda il solo canale a 217 GHz, o potrebbe coinvolgere anche i rivelatori di altri canali?
«Abbiamo effettuato centinaia di test e simulazioni e non abbiamo evidenze del ripresentarsi dello stesso effetto, identificato da noi stessi, in altre bande di frequenza».
L’impatto sui parametri cosmologici, avete detto, è praticamente nullo. E sui numeri che comprendiamo noi, invece? Ci può aggiornare, alla luce della versione rivista dei parametri, sui valori dell’età dell’universo (a marzo era “salita” a 13,82 miliardi di anni) e sulla torta dei suoi ingredienti (materia ordinaria, al 4.9%, materia oscura, ritoccata al rialzo al 26.8%, ed energia oscura, ribassata al 68.3%)?
«Come scritto nelle pubblicazioni del 2013, non è importante il valore centrale dell’intervallo di confidenza dei parametri cosmologici, ma proprio quest’ultimo, ovvero l’errore associato alla misura centrale, come in ogni dato sperimentale in fisica. Non c’è bisogno di ripetere i valori dei principali parametri cosmologici da lei indicati, perché sono già scritti, assieme all’intervallo di confidenza, nel quale i valori da lei riferiti ricadono, nelle pubblicazioni di Planck del 2013».
Spergel sottolinea come la loro analisi sia stata condotta sulle mappe, perché i dati temporali dai singoli rivelatori non sono ancora pubblici. Lo saranno, con il rilascio previsto per il 2014?
«L’analisi sulla base delle linee temporali dei vari rivelatori è molto più complessa e profonda di quella che Spergel ha attuato, e per questo motivo siamo confidenti della sua fondatezza, e confortati dal vederne i risultati confermati dall’analisi proprio di Spergel et al. La collaborazione Planck sta lavorando a pieno ritmo per arrivare nei tempi più stretti alla pubblicazione delle linee temporali dei singoli rivelatori, comprese le componenti polarizzate di tutti i dati raccolti. Abbiamo, in aggiunta ai dati 2013, il doppio di osservazioni per lo strumento HFI e il triplo per lo strumento LFI. L’analisi è molto complessa e richiede test e simulazioni appropriate, e ripetute indipendentemente da gruppi di lavoro diversi, per mettere in risalto eventuali minuscoli effetti sistematici».
Perché, secondo lei, a segnalare per primo il seppur minimale errore è stato il gruppo di WMAP? Semplice fortuna, hanno più tempo a disposizione, la rivalità in vista di un possibile Nobel porta ad alzare l’asticella della competizione… o che altro?
«Come detto, non c’è alcun errore nell’analisi dei dati pubblicata dalla Collaborazione Planck: al contrario, le analisi indipendenti in atto, compresa quella di Spergel, “confermano tutto” nell’intervallo di confidenza da noi dato nelle pubblicazioni del 2013, inclusi ovviamente i principali parametri cosmologici. Il clamore di questa notizia è probabilmente dovuto all’interpretazione data alle parole usate dalla rivista Nature nei titoli di testa di questa analisi: “Planck data reconsidered” non significa infatti “non corretti”, ma appunto, riconsiderati per l’analisi, che appunto conferma quella effettuata da Planck per le pubblicazioni del 2013. Riguardo alla sua precisa domanda mi permetta di non rispondere e di concludere, invece, con un detto del grande Eduardo De Filippo: “Essere superstiziosi è segno di grande ignoranza, ma non esserlo porta male”».
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