La sonda americana Cassini, in orbita attorno a Saturno dal 2004, è riuscita a catturare delle particelle di polvere di origine interstellare. L’analisi di queste polveri ha permesso agli scienziati di ricostruire le condizioni della nube interstellare locale, la nostra attuale casa nella Via Lattea.
Nei suoi dodici anni trascorsi in orbita attorno al gigante gassoso, Cassini ha campionato milioni di granelli di polveri e ghiaccio, quasi tutti formatisi sui fondali oceanici della luna Encelado ed eruttati nello spazio profondo attraverso geyser e pennacchi. Tuttavia, una nuova analisi rivela che una minuscola popolazione di queste particelle – appena 36 granelli – è con ogni probabilità di origine extrasolare.
La prima identificazione in situ di granelli interstellari fu effettuata negli anni ’90 dalla missione Ulysses, seguita poco più tardi dalla missione Galileo. Le analisi dell’epoca avevano individuato nella nube interstellare locale la più probabile sorgente delle particelle campionate.
“In seguito a quella scoperta, abbiamo sempre sperato di poter rilevare questi intrusi interstellari anche con Cassini nel sistema di Saturno. Sapevamo che, se avessimo guardato nella giusta direzione, li avremmo trovati,” spiega Nicolas Altobelli dell’ESA. “In media, abbiamo catturato una manciata di granelli ogni anno, viaggiando ad alta velocità e su una traiettoria abbastanza diversa da quella lungo cui raccogliamo i normali granelli ghiacciati attorno a Saturno.”
Eccetto per una ristretta popolazione di granelli caratterizzati da una composizione isotopica unica, gran parte del materiale originale della nebulosa che collassò a formare il Sole e i pianeti – il cosiddetto materiale presolare – è andato perduto o contaminato. Non è ancora chiaro se i pochi granelli presolari sopravvissuti fino a oggi siano simili, in dimensione e composizione, ai granelli che popolano il mezzo interstellare.
“Siamo molto emozionati per questo risultato, dato che il nostro strumento era progettato principalmente per misurare le polveri all’interno del sistema di Saturno,” spiega Marcia Burton della NASA.
Secondo la ricostruzione degli scienziati, le polveri provenienti dalla nube interstellare locale sarebbero entrate nel Sistema solare in un flusso più o meno allineato rispetto all’eclittica, a una longitudine e a una latitudine eclittiche eliocentriche di 79 e -8 gradi, rispettivamente.
L’analisi si è basata sui dati raccolti da Cassini nei suoi primi dieci anni di missione, da una distanza da Saturno compresa fra 9 e 60 raggi saturniani. L’arco temporale dei dati, secondo gli scienziati, è stato particolarmente favorevole per la raccolta di questi granelli, in quanto nel 2010 il vettore della velocità di Saturno risultava allineato alla direzione di scorrimento del flusso di particelle interstellari. La frequenza degli impatti misurati dalla sonda è indicativa di un flusso di 0.00015 particelle per metro quadrato per secondo (!), mentre la massa media dei granelli è di circa dieci femtogrammi, ovvero cento bilionesimi di grammo. Tenendo conto del fatto che il rilevatore di Cassini è progettato per studiare le polveri meno massicce, in realtà il flusso potrebbe essere fino al doppio del valore da loro calcolato. L’assenza di granelli meno massicci – il limite inferiore di Cassini è di 100 attogrammi – suggerisce che questi siano stati filtrati dall’eliopausa e dall’eliosfera interna.
A svelare la natura interstellare di questi granelli sono state le loro proprietà dinamiche, ovvero la loro direzione e la loro elevatissima velocità: al momento della cattura, i granelli stavano sfrecciando attraverso il sistema di Saturno ad oltre 72 mila chilometri orari. A causa della loro straordinaria velocità, i granelli sono stati polverizzati dall’impatto con il rilevatore.
A differenza di Ulysses e Galileo, Cassini è anche riuscita a ricostruire la composizione chimica dei granelli. Con grande sorpresa degli scienziati, la sonda ha osservato ben poco ghiaccio e, al contrario, una grande quantità di cationi di elementi come ossigeno, sodio, magnesio, potassio, calcio, ferro e rodio. Traducendo queste concentrazioni di cationi nei loro elementi originali, tenendo conto di un gran numero di fattori – ad esempio, il fatto che è cinque volte più probabile che il magnesio formi cationi rispetto al silicio – si è potuta individuare un’abbondanza di magnesio, silicio, ferro e calcio, tutti presenti in concentrazioni simili a quelle riscontrate nel resto del cosmo. Al contrario, i dati evidenziano una scarsità di zolfo e carbonio rispetto alla media cosmica.
“Le polveri cosmiche vengono prodotte quando le stelle muoiono, ma con l’ampia gamma di stelle nell’universo, ci aspettiamo di incontrare un’enorme vastità di tipi di polveri,” spiega Frank Postberg dell’Università di Heidelberg.
Le analisi di Cassini rivelano inoltre che le polveri, larghe in media 200 nanometri, sono particolarmente uniformi e omogenee. Si sta ancora indagando sul meccanismo che ha contribuito a renderle tali: una possibile spiegazione potrebbe essere che i granelli siano stati distrutti e si siano poi ricondensati più volte a causa delle continue onde d’urto rilasciate da stelle morenti.
“I granelli passerebbero dalla calda nube interstellare, ovvero le regioni a bassa densità intagliate dalle supernove, al caldo mezzo diffuso, accessibile tramite osservazioni spettroscopiche, e infine alle fredde nubi molecolari, che sono regioni di formazione stellare,” scrivono i ricercatori. “Assumendo che il 5% del materiale di una nube molecolare sia consumato dai nuovi sistemi stellari e planetari, i granelli compierebbero un ciclo dal mezzo caldo a quello freddo in 125 milioni di anni. Nonostante i processi di distruzione e devolatilizzazione prevalgano nel mezzo caldo a causa delle elevate velocità dei granelli e delle onde d’urto delle supernove, la ricondensazione può avvenire nel mezzo freddo.”
In definitiva, “la lunga durata della missione Cassini ci ha consentito di usarla come un osservatorio di micrometeoriti,” conclude Altobelli, “offrendoci un accesso privilegiato alle polveri provenienti da oltre il Sistema Solare che non avremmo mai potuto ottenere in alcun altro modo.”
Per saperne di più:
Leggi l’articolo “Flux and composition of interstellar dust at Saturn from Cassini’s Cosmic Dust analyzer” di N. Altobelli et al., publbicato sulla rivista Science