Fra meno di una settimana avrà il via la missione più attesa dell’anno, BepiColombo. L’Europa e il Giappone potranno, dopo anni e anni di progettazione, arrivare su Mercurio per completare il lavoro iniziato dalla Nasa con Mariner 10 e Messenger. Le due missioni americane non hanno fatto che stuzzicare l’appetito dei ricercatori di tutti il mondo. Il primo pianeta del Sistema solare è ricco di sorprese e le domande irrisolte si sono moltiplicate. L’Italia è fortemente coinvolta in questa missione, con l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e diverse università. BepiColombo è una missione composta di due sonde (una dell’Esa e l’altra della Jaxa) cariche di strumenti che permetteranno di studiare Mercurio come mai in precedenza.
Tra i diversi esperimenti c’è quello che potremmo definire “gli occhi di BepiColombo”, ossia Simbio-Sys (Spectrometers and Imagers for MPO BepiColombo Integrated Observatory SYStem) a bordo della sonda Mercury Planetary Orbiter (Mpo).
A guidare il team di esperti di questo spettrografo è Gabriele Cremonese, ricercatore dell’Inaf di Padova. Cremonese ha avuto negli anni la responsabilità di diversi studi di camere per potenziali missioni, dell’Esa e della Nasa. Attualmente è co-pi di Cassis, la stereo camera a Bordo di ExoMars Tgo, ma è anche deputy-pi e project scientist di Janus, la camera bordo di Juice. A lui, che lavora per la missione BepiColombo ormai dal 2000, abbiamo fatto qualche domanda sulla missione e sullo strumento che guida.
Perché una missione espressamente dedicata al pianeta Mercurio?
«Mercurio fino a qualche anno fa rappresentava il pianeta meno noto, sebbene piuttosto vicino alla Terra, poi è stata selezionata la missione della Nasa Messenger, ma ormai l’Esa aveva già deciso si lanciare BepiColombo insieme ai giapponesi. Malgrado i dati raccolti dalla Nasa, ci sono ancora molte incognite su Mercurio. La sua struttura interna non è stata svelata dagli ultimi dati, molte novità sono state scoperte sulla sua superficie come gli hollow, ma è impossibile capirne l’origine e l’evoluzione perché mancano dati per esempio sulla composizione. Essendo il pianeta più vicino al Sole rappresenta un end-member del Sistema solare e quindi è molto importante conoscerlo meglio, anche perché l’origine della Terra è legata alla conoscenza di Mercurio. La sonda Messenger ci ha fatto capire che Mercurio non è un pianeta morto come pensavamo, anzi c’è stata un’intensa attività vulcanica recente, che neanche immaginavamo, però non sappiamo come mai. Forse dobbiamo rivedere alcuni modelli sull’origine ed evoluzione del Sistema Solare, soprattutto quello interno, ma i dati a nostra disposizione non sono ancora sufficienti».
Parliamo di Simbio-Sys: che cos’è? E come interagisce con gli altri strumenti?
«Simbio-Sys è un insieme di 3 strumenti ottici che fornirà immagini, anche 3D, e spettri di tutta la superficie. Certamente ha reso e rende molto complessa la pianificazione delle osservazioni e delle varie fasi e le operazioni, ma i risultati saranno unici in quanto quasi tutto quello che c’è da sapere sulla superficie di Mercurio lo fornirà Simbio-Sys. Il fatto che siano stati progettati e realizzati insieme, condividendo l’elettronica principale, e che ci sia un unico team scientifico che lavora su tutti i dati sono dei vantaggi enormi. Non ci sono problemi di calibrazione e registrazione dei dati dei 3 strumenti, la pianificazione e interpretazione scientifica è comune e condivisa da tutto il team. E il team è abituato sin dall’inizio a lavorare insieme ed è pronto a lavorare sia sulle immagini che sugli spettri.
L’interazione sarà praticamente con tutti gli strumenti a bordo, in quanto ci verranno richieste le immagini per conoscere il contesto delle misure di altri e la composizione fornita dallo spettrometro sarà utile a tutti. Per esempio le misure della librazione, cioè l’oscillazione dell’asse di rotazione del pianeta, importanti per conoscere la struttura interna mettendo insieme i dati di altri 3 strumenti hanno bisogno delle immagini ad alta risoluzione. Il laser altimetro Bela potrà calibrare lo strumento solamente con le immagini 3D che gli forniremo noi con Stc e Hric. Inoltre lo stesso satellite ha chiesto i nostri dati in quanto le immagini ad alta risoluzione, ottenute in determinate circostanze, sono importanti per verificare il comportamento termico di tutto il sistema».
Le tre parti dello strumento sono una camera ad alta risoluzione per lo studio dettagliato della geologia del pianeta, una stereo-camera per la ricostruzione in 3D di tutta la superficie e una camera iperspettrale dedicata allo studio della composizione della superficie di Mercurio. Può descriverci meglio questi tre canali?
«Prima di tutto è importante sottolineare che l’ambiente in cui lavorerà BepiColombo, e quindi tutti gli strumenti, è molto difficile a causa dell’elevata dose di radiazioni a cui sono sottoposti e per l’elevata temperatura dovuta sia alla vicinanza del Sole che della superficie illuminata del pianeta che è molto calda, non essendoci un’atmosfera e avendo una rotazione molto lenta. Tutti e 3 gli strumenti sono stati progettati con limitate risorse, come massa e volume.
La camera ad alta risoluzione (Hric) si basa su un classico schema ottico, il Ritchie-Chretien, con alcune modifiche, necessarie per l’ambiente in cui lavorerà e per essere il più compatto possibile. La struttura meccanica e il baffle esterno, tubo che limita la luce diffusa dall’esterno e blocca parte del calore, sono stati disegnati proprio per HRIC e realizzati in Invar. Nell’apertura del baffle si è inserito un filtro per riflettere la luce infrarossa e far passare solo il visibile, per limitare il riscaldamento dello strumento.
La stereo camera (Stc) si basa su un disegno ottico originale che è stato realizzato a Padova, ed è costituita da due canali che osservano la superficie da due angoli di vista diversi, per poter poi generare il Dtm, posti a 40 gradi. Quindi la superficie verrà osservata a più e meno 20 gradi dalla perpendicolare alla superficie. Le altre novità di Stc sono l’acquisizione stereo che sfrutta la tecnica push-frame invece del push-broom comunemente adottato, cioè si acquisiscono immagini e non solo singole linee di pixel, e i due canali focalizzano su un unico rivelatore, realizzato con tecnologia Cmos e uguale a quello di Hric.
Lo spettrometro Vihi si basa sul disegno di un telescopio Schmidt accoppiato a uno spettrometro a reticolo Littrow. Questo strumento deriva da una lunga esperienza di spettrometri realizzati per diverse altre missioni, ma in questo caso si ha un solo canale e un solo rivelatore, realizzato proprio per noi in Mercurio-Cadmio in grado di coprire un intervallo spettrale molto ampio da 400 nm a 2200 nm, cioè dal visibile al vicino infrarosso.
Tutti e i rivelatori sono stati realizzati specificatamente per Simbio-Sys dall’azienda americana Raytheon, la più grande industria americana per la costruzioni di armi da guerra con una piccola divisione spaziale».
Di cosa si occuperanno le tre camere?
«Gli obiettivi scientifici sono veramente tanti in quanto tutto quello che si vuole conoscere in dettaglio della superficie di Mercurio dovrà utilizzare i nostri dati. Le immagini ad alta risoluzione e in 3D, che in termini tecnici chiamiamo Digital Terrain Model (Dtm), verranno utilizzati per studiare i processi tettonici, l’attività vulcanica, i crateri d’impatto, ecc. Chiaramente l’interpretazione delle immagini è completa se possiamo avere le informazioni sulla composizione, che purtroppo Messenger non è riuscita a fornire con sufficiente dettaglio in quanto lo spettrometro non ha funzionato bene, e che fornirà Vihi».
Rispetto ad altri strumenti ottici a bordo di sonde planetarie del passato, o anche attualmente al lavoro, cosa ha di particolare Simbio-Sys?
«A mia conoscenza è la prima volta che in una missione spaziale si hanno 3 strumenti di remote sensing insieme. In genere nelle altre missioni ci sono team diversi per diversi strumenti e spesso non si parlano tra loro, a parte qualche sporadica collaborazione, che in genere avviene verso la fine della missione. Non esiste una pianificazione comune e una conoscenza delle performance condivisa».
Il gran giorno è quasi arrivato e nei prossimi anni ci sarà tanto da fare. Cosa si aspetta?
«Non è facile esprimere le emozioni che si provano in questi momenti. Ho iniziato a pensare a BepiColombo nel 2000 quando ho chiesto il primo finanziamento all’Asi per lo studio di una camera, prima ancora di sapere se la missione veniva selezionata. L’Asi attese l’ottobre del 2000 quando Esa selezionò BepiColombo e mi concesse il finanziamento. Pochi mesi dopo, all’inizio del 2001, entrai a far parte del comitato dell’Esa per la definizione degli strumenti a bordo. Questo importante inizio, grazie ad Asi ed Esa, mi hanno consentito di entrare nel vivo della missione da subito. Sono quindi passati 18 anni e dopo fasi alterne siamo arrivati a consegnare e provare, negli ultimi anni, uno strumento che funziona bene in accordo con i requisiti. Non riesco ancora a pensare che tra pochi giorni Simbio-Sys, insieme a tutti gli altri strumenti, lascerà la Terra alla volta di Mercurio, forse lo realizzerò un po’ di giorni dopo il lancio».
Il team di Simbio-Sys: Gabriele Cremonese è affiancato dai 3 responsabili delle camere: Pasquale Palumbo dell’Università Parthenope di Napoli, per la camera ad alta risoluzione Hric; Maria Teresa Capria, di Inaf-Iaps, per la stereo camera Stc; Fabrizio Capaccioni, di Inaf-Iaps, per la camera iperspettrale Vihi.
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