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Giorno per Giorno con la ISON – 18/21 novembre

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AGGIORNAMENTO al 19/11: Le ultime osservazioni (nel grafico indicate dai pallini blu) danno la ISON attorno alla 5a magintudine, quindi visibile ad occhio nudo. Cliccare l'immagine per ingrandire (Fonte www.isoncampaign.org - Grafico a cura di Matthew Knight).

18 novembre Ed eccoci al primo evento realmente significativo. Verso le 5:00 del mattino, la ISON apparirà alta circa +6° e in congiunzione stretta con Spica (alfa Virginis; mag. +1,0). Il nucleo della cometa si troverà infatti 25′ a est della stella.
Un’ora dopo ci sarà forse la possibilità di assistere a uno spettacolo davvero straordinario: circa 12° a est della ISON apparirà nel cielo del crepuscolo un’altra cometa, la 2P/Encke! Alta alle 6:00 circa +5°, sarà più o meno facilmente identificabile (dipenderà dalla sua magnitudine, che in quel periodo potrebbe addirittura rivaleggiare con quella della ISON) 1,4° a sudovest di Mercurio!
Potrebbe trattarsi di un evento memorabile, e sarebbe davvero un peccato mancarlo.

21 novembre Prosegue lo spettacolo delle due comete che viaggiano di conserva a pochi gradi l’una dall’altra, in uno scenario arricchito dalla presenza di Mercurio (mag. –0,6), Saturno (mag. +0,6) e da quella di Zuben el Genubi, la stella alfa della Libra (+2,8).
L’orario consigliato per tentare la non facile osservazione è quello delle 6:15. La finestra temporale di visibilità è davvero molto stretta: pochi minuti dopo il cielo potrebbe essere troppo chiaro e pochi minuti prima la Encke troppo bassa e persa nella foschia…

Inviate le vostre immagini su gallery@coelum.com

Per informazioni più generali vedi anche: La ISON va in scena

Continuate a seguire con noi l’evoluzione della ISON attraverso gli aggiornamenti, le immagini e i dettagli che pubblicheremo, quasi giorno per giorno, nella sezione Cielo del mese oppure, assieme ad articoli di approfondimento su Coelum 175 di novembre ora in edicola e in versione digitale online.

L’esotico oggetto ai confini del Sistema solare

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Qualcosa di strano vaga alla periferia del Sistema solare. Il suo nome è 2002 UX25 ed è un KBO (Kuiper Belt Object), un oggetto celeste del diametro di circa 650 chilometri, come molti altri  in quella regione che si estende oltre orbita di Nettuno che prende il nome di Fascia di Kuiper. Cos’ha dunque di così strano 2002 UX25? La sua densità, che è minore di quella dell’acqua pura. Se riuscissimo ad adagiare questo grande sasso spaziale in una enorme vasca piena d’acqua, questo riuscirebbe a galleggiare. A scoprire la sorprendente caratteristica che rende 2002 UX25 il più grande oggetto solido del Sistema Solare con una densità così bassa è stato Mike Brown, planetologo del California Institute of Technology di Pasadena, il cui articolo è stato accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.
Un oggetto di simili dimensioni e così leggero porta un certo scompiglio nell’attuale classificazione dei KBO. Infatti, quelli con un diametro minore di 350 chilometri hanno tipicamente densità inferiori a quella dell’acqua mentre quelli con diametri maggiori di 800 chilometri presentano densità maggiori. Vero è che 2002 UX25 si pone proprio nella terra di mezzo tra le due categorie, ma il fatto che la sua densità sia di ben il 18 per cento più bassa di quella dell’acqua solleva comunque molte domande sui processi di formazione degli oggetti di questo tipo che popolano il Sistema solare esterno.

Domande, queste e molte altre, a cui i planetologi cercheranno di dare risposte con le missioni presenti e future dedicate allo studio dei corpi celesti più remoti del nostro sistema planetario. La sonda New Horizons della NASA è nel pieno del suo lungo viaggio verso Plutone, che raggiungerà nel 2015. Seppure ‘declassato’ a pianeta nano, Plutone continua a sorprendere gli scienziati. Come nel luglio dello scorso anno, quando le immagini del telescopio spaziale Hubble permisero di scoprire la sua quinta luna, dal diametro di appena una ventina di chilometri, recentemente battezzata Stige dalla International Astronomical Union.

L’interesse per questa zona del Sistema Solare è alto anche in Europa. ODINUS (Origins, Dynamics and Interiors of Neptunian and Uranian Systems) dedicata allo studio di Urano e Nettuno è tra i candidati per la seconda delle missioni di classe L previste dal piano Cosmic Vision 2015-2025 dell’Agenzia Spaziale europea (la prima è stata già assegnata alla missione JUICE verso Giove e le sue lune) e vede una importante partecipazione di personale dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’INAF. A breve dovrebbe arrivare la decisione ufficiale dell’ESA che potrebbe sancirne l’approvazione definitiva.

Eravamo noi, Venere, Marte e Saturno

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L’immagine ha una risoluzione di 9000 x 3500 pixel. Per apprezzarla in tutto il suo splendore, puntino blu della Terra compreso, cliccatela con il tasto destro del mouse e scaricatela (o apritela in una nuova finestra). Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI

Vi ricordate cosa stavate facendo la sera di venerdì 19 luglio? Se mai siete fra coloro che avevano accolto l’invito della NASA – “sorridete a Saturno che Cassini vi scatta una foto” – allora ci siete anche voi, in quest’immagine emozionante appena presentata al Newseum di Washington. Straordinaria per il soggetto, certo: per la prima volta Saturno, le sue lune e i suoi anelli sono visibili insieme a Venere, a Marte e alla Terra. Ma ancor più per il suo realismo. Non c’è alcun falso colore, qui, è tutto al naturale. La vista è esattamente quella della quale avremmo potuto godere con i nostri occhi se ci fossimo trovati al posto della sonda Cassini:

L’immagine ha una risoluzione di 9000 x 3500 pixel. Per apprezzarla in tutto il suo splendore, puntino blu della Terra compreso, cliccatela con il tasto destro del mouse e scaricatela (o apritela in una nuova finestra). Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI

Da sinistra a destra, in piedi al di là degli anelli, intravediamo il debole puntino rosso del volto di Marte. Sempre in alto, ma più luminoso, ecco Venere. E lì accovacciati in basso a destra – un brillante punto blu – ci siamo noi. In primo piano Saturno, i suoi anelli e sette delle sue Lune, fra le quali Encelado (sul lato sinistro dell’immagine), che zoommata al massimo – ma cliccate con cautela: sono oltre 90MB… – mostra persino i caratteristici pennacchi di ghiaccio sull’emisfero meridionale.

«Una vista magnifica, con la quale Cassini ci ha regalato un universo di meraviglie», dice Carolyn Porco, responsabile dell’imaging team di Cassini presso lo Space Science Institute di Boulder, in Colorado. «E lo ha fatto nel giorno in cui persone da tutto il mondo, all’unisono, stavano sorridendo per celebrare la gioia di ritrovarsi a vivere su un pallido puntino blu».

Colori naturali, certo, ma per mettere assieme il mosaico la squadra di Cassini ha dovuto lavorare sodo: 141 i tasselli grandangolari da combinare per restituire l’intero panorama. Ancor più complesso, poi, è stato decidere la posa, o meglio scegliere il momento giusto per lo scatto. Com’è facile notare, infatti, c’è un grande assente in quest’immagine: il Sole. E non è un caso: la sua luce è troppo intensa, e se mai finisse nell’inquadratura potrebbe rovinare i sensibilissimi rivelatori a bordo della sonda NASA. Il 19 luglio scorso, però, s’è presentata un’opportunità unica: il Sole, in quel momento, si trovava rispetto alla sonda esattamente dietro a Saturno, che è dunque stato sfruttato come schermo naturale. Un’opportunità rara che il team di Cassini non s’è lasciato sfuggire, e nella quale ha voluto coinvolgere – con l’invito a sorridere verso la sonda – tutti gli abitanti della Terra.

Nell’immagine qui sotto, il mosaico dei volti inviati alla NASA per la campagna “Wave at Saturn” (cliccare per ingrandire):

Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI

Replica di A. Cappi a: In difesa delle cosmologie alternative

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> Torna all’INTRODUZIONE

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Replica a: In difesa delle cosmologie alternative

di Alberto Cappi

Caro Sig. Bolognesi,

nei miei articoli ho cercato di presentare la questione dei redshift anomali in modo critico ma con rispetto verso le persone coinvolte nel dibattito. Constato con rammarico (ma non con sorpresa, avendo avuto occasione di leggere altri suoi interventi) che nella sua lettera mi attacca personalmente senza dare alcuna seria risposta alle obiezioni di fondo sulle tesi di Arp.

Il problema è che Arp si limita ad insistere sui casi di oggetti prospetticamente vicini ma con redshift diverso, senza apportare nuovi elementi che possano dimostrarne la reale prossimità spaziale; ciononostante Arp pretende che questi casi siano non solo la prova indiscutibile di una componente non cosmologica del redshift ma anche, con una ingiustificata generalizzazione, che provino la falsità dell’intera cosmologia moderna. Sulla base di questa convinzione a priori, Arp rifiuta le numerose prove indipendenti che confermano il legame fra redshift e distanza e che sono del tutto incompatibili con l’universo statico da lui propugnato. Di conseguenza l’inevitabile scetticismo della comunità scientifica è visto da Arp come una manifestazione di ottusità e di dogmatismo da parte dell'”Accademia”.

Non facendomi ovviamente alcuna illusione sulla possibilità di convincerla, le darò comunque soddisfazione rispondendo estesamente alle sue critiche, per rispetto verso i lettori di Coelum e per ristabilire la verità sui fatti da lei contestati, con l’impegno a non replicare più in futuro alle sue invettive.

> …se bastasse un bigino per archiviare in tre puntate (Coelum 171, 172, 173) una controversia che ha impegnato per tutta la vita astronomi del calibro di Eleanor Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge e Halton Arp, allora le sue osservazioni in Alta Provenza sarebbero sulla bocca di tutti.

1 Per un dettagliato esame critico dei lavori di Arp il lettore che legga il francese può consultare il sito astrosurf che riporta l’analisi dell’astrofisico David Latham.

2 Cappi A., Benoist C., da Costa L.N., Maurogordato S., 2003, Nature and Environment of Very Luminous Galaxies, Astronomy & Asttrophysics 408, 905.

Per fortuna i Burbidge così come Hoyle, al contrario di Arp, non hanno dedicato l’intera loro carriera astronomica a cercare redshift anomali: hanno invece realizzato lavori molto importanti alcuni dei quali hanno contribuito, al di là delle loro intenzioni, al successo della teoria del Big Bang. Arp, invece, dopo aver compilato il suo catalogo, si è fossilizzato sui casi anomali, radicalizzando la sua interpretazione e forzando i dati con una metodologia discutibile 1.

Trovo poi curioso come, di fronte a tanti elementi di discussione, lei dedichi una tale attenzione (si veda più avanti) al mio aneddoto sulle osservazioni in Alta Provenza, raccontato alla fine del mio primo articolo: si figuri che ho pubblicato quelle osservazioni di Arp 127 in appendice ad un mio lavoro scientifico che tratta di tutt’altro 2: infatti la misura di redshift simili in galassie interagenti è un fatto banale.

> Ma se “i lettori alle prime armi” a cui lei si rivolge desiderano farsi un’opinione meno angusta e più rispettabile delle interpretazioni cosmologiche alternative, possono andarsi a cercare nel web la “Open Letter to the Scientific Community” apparsa sul New Scientist del 22 aprile 2004 per trovarvi, con le motivazioni, anche un gran numero di nomi sorprendenti.

L’opinione da lei considerata “angusta” e poco “rispettabile”, contrapposta retoricamente a quella di “nomi sorprendenti”, è condivisa dalla quasi totalità della comunità scientifica esperta su questi argomenti. Per smentire l’isolamento di Arp lei cita l’Open Letter firmata da un eterogeneo gruppo di scienziati, ingegneri e cittadini. Si tratta in realtà di un manifesto che non sostiene le idee di Arp, ma è unicamente una critica alla teoria dominante del Big Bang: questo è l’unico elemento che accomuna i firmatari. Tra costoro si trovano anche alcuni astrofisici, la cui specializzazione non è però la cosmologia, tranne pochissime eccezioni: le più illustri sono quelle di Hermann Bondi e Thomas Gold, non a caso i padri insieme ad Hoyle della teoria dello stato stazionario, teoria nella quale, al contrario delle convinzioni di Arp, l’universo non è statico.

Quanto alle generiche critiche alla teoria del Big Bang espresse da quella lettera, a me paiono del tutto infondate, ma non voglio dilungarmi su questo punto. Chi vuole può leggere a questo proposito il commento del fisico teorico e cosmologo americano Sean Carroll nel suo blog.

> Se poi non temono lo choc culturale, possono leggere le ultime esternazioni di Margherita Hack (“Il perchè non lo so”, Sperling & Kupfer, 2013) in cui la nostra scienziata, dopo sessant’anni di articoli, libri e conferenze a sostegno del Big Bang, si consegna a un universo infinito nel tempo e nello spazio, “che sempre è esistito e sempre esisterà”.

Non è vero: qui lei travisa (al pari di qualche giornalista) quelle che lei definisce le “ultime esternazioni di Margherita Hack”. Margherita Hack non ha mai negato la validità del Big Bang e non si è convertita all’ultimo momento. Il lettore può verificare ciò che intendeva dire con “universo infinito nel tempo e nello spazio” guardando una sua recente intervista sul sito dell’Istituto Nazionale di Astrofisica dove risulta chiaro che per la Hack il Big Bang non è stato un evento unico e ciò che consideriamo l’universo non è rappresentativo della totalità. Su questo come ho scritto nel mio articolo, io stesso, come peraltro la maggior parte dei cosmologi, condivido la stessa opinione.

Ciò che comunque colpisce fin dall’inizio della sua lettera, sig. Bolognesi, è il ricorso al principio di autorità: lei antepone alle argomentazioni i nomi dei suoi novelli Galileo, mentre ignora la quasi totalità di coloro che sono di parere opposto tra i quali ci sono menti molto brillanti (come James Peebles, Martin Rees, Stephen Hawking, e via dicendo) e vari premi Nobel per scoperte legate alla teoria del Big Bang o alla relatività generale. Il fatto è che i nomi sono irrilevanti e non possono sostituire le argomentazioni scientifiche: è invece fondamentale l’esame obiettivo delle teorie, ciò che sono in grado di predire quantitativamente e quanto sono in accordo con gli esperimenti e le osservazioni.

> Lei non avrebbe mai dovuto trattare in modo così sommario e superficiale alcuni dei più noti (e non risolti) casi di redshift discorde.

Caro sig. Bolognesi, la prego di non venirmi a dire che cosa devo o non devo fare: nonostante lei mi accusi di pressapochismo e di superficialità, ritengo di aver trattato onestamente questi casi in limiti ragionevoli di spazio. Non potevo purtroppo addentrarmi in un discorso più tecnico e dettagliato, che mi avrebbe permesso fra l’altro di mettere molto meglio in evidenza l’insostenibilità delle tesi di Arp. Ritengo comunque che la mia trattazione sintetica, anche se non di suo gradimento, abbia dato al lettore gli elementi di base per farsi un’idea del dibattito.

> Quando, eludendo anche la sintassi, afferma che “il Quintetto di Stephan è un caso risolto e che non c’è in questo caso alcun redshift anomalo”, proprio i lettori alle prime armi meriterebbero di capire perchè è così facile spiegare discordanze di 1000 km/s (NGC 7318 A e B, NGC 7320 C) e così difficile accettarne dell’ordine di 5000 km/s (NGC 7320).

Lei ricorre ad una facile retorica prima per mettere in cattiva luce il suo interlocutore, in questo caso per un “che” di troppo dimenticato in una frase; poi parla di differenze di velocità senza associarle alle rispettive misure, rendendo dunque incomprensibile il ragionamento.

Nel mio articolo spiegavo al lettore di Coelum, magari alle prime armi, ma senz’altro intelligente, che se ho un gruppo con redshift pari a 6700 km/s, una galassia vista prospetticamente accanto ad esso e con un redshift di 5700 può ancora appartenere al gruppo, ma non una galassia con un redshift di 800 km/s (si troverebbe ad una distanza 8 volte inferiore e più vicino a noi che non alle altre galassie del Quintetto!). In più, come ho scritto nell’articolo, negli ammassi le differenze di velocità tipiche sono di 1000 km/s.

Avrei potuto aggiungere che l’errore di misura di queste velocità è attorno ai 100 km/s, ed avrei potuto discutere delle separazioni fisiche, delle velocità peculiari, della velocità massima che una galassia può avere per essere legata gravitazionalmente ad un gruppo, e via dicendo: poiché però non stavo scrivendo un trattato, ho selezionato ciò che potesse dare al lettore un’idea del problema senza essere sommerso e confuso da una marea di informazioni. I lettori di Coelum possono naturalmente sempre chiedermi dei chiarimenti, ai quali risponderò volentieri.

> …è scandaloso che non trovi nemmeno una menzione il quasar con z=2.11 scoperto in prossimità del nucleo di NGC 7319 (ApJ, 620, 2005), né il filamento luminoso in Ha con redshift equivalente a 6500 km/s che si staglia senza troncature sul disco di NGC 7320 (785 km/s).

3 Galianni P., et al. 2005, The Discovery of a High-Redshift X-Ray-Emitting QSO Very Close to the Nucleus of NGC 7319, 2005, the Astrophysical Journal 620, 88.

Dopo il pressapochismo e la superficialità, siamo ora allo scandalo. Le garantisco che le omissioni non sono state fatte per censura: è ben più grande il numero di articoli che non ho citato e le cui conclusioni confermano l’interpretazione standard. L’articolo3 sul quasar a z=2.11, cofirmato da due ricercatori italiani e dai Burbidge, è un altro caso di associazione prospettica fra quasar e galassia, in questo caso molto stretta. Gli autori forzano l’interpretazione ma non apportano elementi conclusivi: ad esempio, si osservano righe di assorbimento dovute alla galassia nello spettro del quasar, e non il contrario: dunque si può affermare che il quasar non sta davanti alla galassia (gli autori suggeriscono che si trovi nella galassia, ma ovviamente può essere molto più lontano, come vuole l’interpretazione standard).

E questa è una delle obiezioni che non ho menzionato nei miei articoli: esistono ormai numerose osservazioni e analisi di spettri di quasar nei quali si studiano le righe di assorbimento del gas di galassie poste lungo la linea di vista fra noi e il quasar: queste righe di assorbimento sono sempre spostate verso il blu rispetto alle righe del quasar, ovvero hanno un redshift più basso: e questa è una prova diretta che gas e galassie con redshift più basso sono anche più vicine, mentre i quasar sono molto più lontani.

4 Gutiérrez C.M., López-Corredoira M., Prada F., Eliche M.C., 2002, New Light and Shadows on Stephan’s Quintet, The Astrophysical Journal 579, 592.

Per quanto riguarda l’articolo di Gutierrez et al. 20024, la sua conclusione è la seguente:

Ciò è in accordo con lo scenario standard nel quale la prossimità apparente di NGC7320 al resto delle galassie del Quintetto è puramente un effetto di proiezione. Il solo punto non chiaro in questa interpretazione è un filamento Halpha che appare estendersi attraverso NGC7320 con una velocità di 6500 km/s invece degli 800 km/s attesi per questa galassia.

Converrà che si tratta di affermazioni non propriamente rivoluzionarie. Fra l’altro, visto che secondo Arp il redshift varia diminuendo col tempo, ci si dovrebbe aspettare una variazione progressiva del redshift lungo il filamento, mentre gli stessi Gutierrez et al. affermano di non osservare nulla del genere.

Già che ci siamo, nel mio articolo ho omesso un’ulteriore evidenza diretta della maggiore vicinanza a noi di NGC 7320 rispetto alle altre galassie del Quintetto di Stephan. In una bellissima immagine del telescopio spaziale, NGC 7320 è parzialmente “risolta” in stelle, mentre le altre galassie del Quintetto rimangono “nebulose”: il che conferma che NGC 7320 è molto più vicina delle altre galassie del Quintetto.

Il punto conclusivo è comunque che la distanza di NGC 7320, a V=800 km/s, è stata misurata indipendentemente dal suo redshift, e vale circa 15,7 ± 2 Mpc. Quella di NGC 7319, a V=6747 km/s, è di 77 ± 11 Mpc (i dati sono disponibili su ADS). NGC 7320 non fa dunque parte del Quintetto di Stephan ma è molto più vicina, e il discorso è chiuso. Mi rendo ben conto che Arp continua a tenerlo aperto sostenendo che le galassie sembrano essere lontane, ma non lo sono in realtà, e di questo discuto più avanti.

> […] mi limiterò a una foto che compare a pag.21 del numero 171 che merita assolutamente una precisazione. Vi sono mostrate con altri oggetti le due galassie NGC 191 e IC 1563 che sono note da molto tempo per avere all’incirca lo stesso redshift z=0.020.

Quanto lei afferma non è vero: le due galassie sono note avere lo stesso redshift solo da quando nel 2003 ho pubblicato la mia misura di IC 1563 (poco tempo dopo confermata da quella ottenuta nella Sloan Digital Sky Survey); il redshift di NGC 191 era già noto, ma l’ho rimisurato con migliore precisione. Prima di allora, a IC 1563 veniva attribuito un redshift molto più elevato di quello di NGC 191 (basta seguire la letteratura tramite ADS e NED), ma le due galassie apparivano in interazione. Quando, compilando un catalogo di galassie luminose, mi sono imbattuto in questo sistema, mi sono reso conto che si trattava di un caso anomalo, analogo a quelli evidenziati da Arp e, anziché ignorarlo come si sarebbe potuto aspettare da un astronomo che lei ritiene senz’altro “ortodosso” e difensore dell'”Accademia”, sono stato curioso di osservarlo.

> Se presumo che sia lei l’autore di questa didascalia, devo domandarle di che parla e a quale “letteratura” fa riferimento.

Capisco che vorrebbe farmi passare per millantatore, ma “se presume” che io sia l’autore della didascalia, ebbene si sbaglia. La didascalia non è opera mia ma della redazione, la quale, vedendo che si trattava di redshift discordanti e di un oggetto del catalogo di Arp, ha comprensibilmente ritenuto che fosse un sistema da lui classificato come anomalo: è mia naturalmente la responsabilità nel non aver verificato le didascalie in fase di bozze, e di ciò mi scuso. Il mio testo è comunque chiaro e privo di equivoci. Quanto al terzo oggetto, che non dubitavo lei avrebbe notato, è molto più debole delle altre due galassie, con una magnitudine di 18.26, e non ho potuto purtroppo osservarlo. Siccome le misure precedenti attribuivano il redshift di 13652 km/s a IC 1563 ma riportavano coordinate compatibili con il terzo oggetto, ho suggerito che ad esso fossero da attribuire i 13652 km/s. A questo proposito, nella versione iniziale del mio articolo su Coelum, riportavo quanto avevo scritto nel 2003: “anche questo può essere considerato un redshift potenzialmente discrepante: ma se l’interazione fra IC 1563 e NGC 0191 appariva evidente, questo terzo oggetto appare di fondo (potrebbe trattarsi di un membro alla periferia dell’ammasso Abell 85).”, frase che poi, insieme ad altre, è stata tagliata dalla redazione in fase di bozze per ragioni di spazio (e non per censura).

> […] il suo “prontuario” contro le interpretazioni alternative sta diventando sempre più contraddittorio!

Il suo repertorio di artifici retorici, con tanto di virgolette, punti esclamativi e sarcasmo, non può sostituire le argomentazioni scientifiche. Ovviamente quando si esaminano uno ad uno i casi di redshift anomalo sembra che siano sorprendenti e inspiegabili. Come ho già notato su Coelum, spiegato un caso se ne tira fuori un altro, e il lettore si chiede com’è possibile che siano tutte coincidenze. Ebbene, in questo modo ci si dimentica che nella maggior parte degli altri casi non c’è alcun redshift anomalo, e che ci deve essere una percentuale di oggetti visti vicini in proiezione ma a distanze diverse, proprio come capita quando si guardano gli alberi di una foresta. Andando a magnitudini sempre più deboli il numero di galassie per grado quadrato cresce enormemente, e così anche i casi di oggetti che appaiono vicini nel cielo ma si trovano a distanze molto diverse. L’unico modo per dirimere la questione sono le misure di distanza indipendenti dal redshift e le analisi statistiche su campioni ben definiti: quelle effettuate finora e citate nei miei articoli su Coelum mostrano che le distanze misurate sono compatibili col redshift e che il numero di redshift anomali osservati è compatibile con quello che ci si aspetta da proiezioni casuali.

> E quando fraseggia “che si limita a togliere qualsiasi significato alle argomentazioni di Arp cominciando col dire che la distanza cosmologica degli ammassi di Abell è del tutto corrispondente al redshift delle componenti” (Coelum 172 pag.23), o gli scostamenti che si riscontrano sono reali o lei parla a casaccio.

Non mi è chiaro a quali “scostamenti” fa qui riferimento. Se allude alle dispersioni di velocità delle galassie che si muovono negli ammassi, ne ho discusso su Coelum a proposito dell’ammasso della Vergine. Una conseguenza elementare delle leggi di Newton è che le galassie non possono starsene ferme nella buca di potenziale gravitazionale di un ammasso, e devono muoversi ad alta velocità (in condizioni di equilibrio, la dispersione delle velocità è proporzionale alla radice quadrata della massa). La componente radiale di questo moto delle galassie si combina con il redshift cosmologico “allungandone” la forma nello spazio dei redshift, con una deviazione tipica di 1000 km/s. Le masse degli ammassi dedotte dalla velocità delle galassie sono globalmente in accordo, entro gli errori di misura, con le osservazioni indipendenti nella banda X e con gli effetti osservati di lente gravitazionale.

Se invece parla di scostamenti nelle misure di distanza, anche queste sono in accordo entro gli errori di misura nella letteratura di cui sono a conoscenza.

Per quanto rigarda il modo nel quale lei si rivolge a me, le faccio notare, sig. Bolognesi, che nei miei articoli ho esposto pacatamente ragioni e argomentazioni serie a beneficio dei lettori di Coelum sulle quali lei può manifestare il suo dissenso, ma rispettando il suo interlocutore: in questo caso, in particolare, lei si sta rivolgendo ad una persona che ha quasi 25 anni di esperienza nello studio della distribuzione delle galassie e delle proprietà degli amassi di galassie, che ha osservato e analizzato dati ottenuti ai più grandi telescopi al mondo e che è autore e coautore di numerose pubblicazioni con referee sulle principali riviste internazionali.

Lei mi accusa pertanto di fraseggiare o parlare a casaccio su argomenti che conosco perfettamente. La invito piuttosto a verificare in modo più sereno e più approfondito la solidità delle sue affermazioni, non limitandosi possibilmente nelle sue letture ai libri e agli articoli di Arp e a qualche lettura divulgativa.

Ad esempio, lei ha recentemente pubblicato un intervento sul sito di Umberto Barocci, professore universitario in pensione che promuove teorie “eretiche”, annunciando la presenza di galassie con grandi blueshift (anche di decine di migliaia di chilometri al secondo) nel database della NASA, il che rivelerebbe l’erroneità della cosmologia standard (ma, a dire il vero, anche di quella di Arp). Se avesse discusso prima con qualche astronomo, avrebbe appreso che questi blueshift elevati sono banali errori di misura. Infatti nei grandi progetti come la Sloan Digital Sky Survey le misure di redshift sono ormai fatte da algoritmi automatici: su un milione di redshift misurati, se la percentuale di errore fosse di appena l’1%, ci si aspetterebbero ben 10000 misure sbagliate! I motivi sono molteplici: coordinate sbagliate, tracce di raggi cosmici, fondo cielo mal sottratto, errata identificazione delle righe spettrali. Conosco bene questo tipo di problemi avendo io stesso misurato migliaia di redshift, con e senza algoritmi automatici. Se non ci crede, le ricordo poi che questi sono dati pubblici, chiunque può verificarli: la invito pertanto a recuperare immagini e spettri dal sito della Sloan Digital Sky Survey (io l’ho fatto per alcuni casi) e ad analizzarli: ne potrà trarre le dovute conclusioni.

> E’ del tutto ovvio che il redshift degli ammassi equivale a una distanza solo se la loro distanza corrisponde ai redshift che si rilevano, ma perfino i più inflessibili paladini della legge di Hubble ammettono qui deviazioni dell’ordine di 30000 km/s!! La conclusione evidente è che sebbene gli ammassi con galassie meno luminose tendono ad avere redshift più alti, non c’è l’ombra di una relazione di proporzionalità redshift-magnitudine apparente che possa legittimare un rapporto lineare con la distanza stessa di quegli ammassi (“Seeing Red”, H. Arp, pag.198).

Lasciando perdere gli ignoti paladini cui fa riferimento, di nuovo non capisco a che cosa lei si riferisca: non ha comunque senso parlare di uno scostamento di 30.000 chilometri al secondo in assoluto. Generalmente gli errori di misura aumentano con la distanza: un errore di 30000 km/s sarebbe senz’altro catastrofico se riguardasse il vicino ammasso della Vergine, ma rappresenterebbe solo un errore del 10% se riferito ad un ammasso ad un redshift z=1. Ciò che conta è se la relazione redshift-distanza è in accordo con i dati tenendo conto dell’errore: e questo è il caso.

Lei stesso, seguendo Arp, deve ammettere che c’è una correlazione (non è una semplice “tendenza”, come lei afferma, ma una correlazione stretta e statisticamente significativa) fra redshift e magnitudine apparente di oggetti la cui luminosità intrinseca è uguale (sono le cosiddette candele-campione): l’unico modo, dunque, per salvare le tesi di Arp è quello di dissociarla dalla relazione redshift-distanza.

Vediamo allora a beneficio dei lettori come si passa dalla relazione redshift-magnitudine apparente alla relazione redshift-distanza, e subito dopo come la giustifica Arp.

Disponendo di un oggetto o di una classe di oggetti la cui luminosità intrinseca è nota (come le Cefeidi o le Supernovae Ia), osservandone la luminosità (magnitudine) apparente è possibile dedurne la distanza. L’esistenza di una relazione fra redshift e magnitudine apparente è dunque una predizione della cosmologia standard, predizione pienamente confermata come illustra la figura qui allegata, che si riferisce alle Supernovae Ia. Questa relazione devia dalla linearità a redshift elevati ed ha permesso di scoprire l’accelerazione dell’universo: i tre principali responsabili dei due progetti indipendenti che hanno portato a questa scoperta sono stati insigniti del Premio Nobel nel 2011.

Arp sostiene invece che la relazione redshift-magnitudine apparente non è dovuta alla relazione redshift-distanza, ma è una conseguenza del processo che genera l’anomalia nel redshift. Vale la pena leggere ciò che Arp stesso ha scritto a proposito del Quintetto di Stephan (p.100 del suo libro Quasars, Redshifts and Controversies):

Nel 1971, il direttore dell’Osservatorio di Padova, L. Rosino, scoprì una supernova in NGC 7319, che ha un redshift elevato. Le supernovae sono degli indicatori standard di distanza, in particolare per le grandi distanze, perché si ritiene che queste stelle in esplosione divengano luminose quanto l’intera galassia alla quale appartengono. Alla distanza di NGC 7331/7320, ci si dovrebbe aspettare che una supernova sia altrettanto brillante che la grande galassia Sb NGC 7331. È un punto importante a favore delle grandi distanze che ci separano dai membri che presentano più grandi redshift. Ma devo riconoscere che la prova contraria è più forte ancora, e devo concludere che le stelle siuate nei sistemi a redshift anomalo non divengono altrettanto luminose che le galassie a piccolo redshift intrinseco.

Arp dunque riconosce che galassie a redshift più elevato appaiono più deboli, dunque sembrano effettivamente più distanti, ma poiché i casi di redshift anomalo sono per Arp una prova indiscutibile che il redshift non indica la distanza, ritiene che si debba ricorrere ad un meccanismo sconosciuto che nel caso dei redshift anomali deve rendere le galassie meno brillanti, e tutte le loro stelle, Cefeidi, Supernovae Ia, meno luminose, esattamente come apparirebbero se fossero alla distanza data dal loro redshift. Di questa ipotesi davvero ad hoc l’astrofisico indiano Jayant Narlikar ha dato una versione teorica, partendo da un suo vecchio lavoro con Hoyle, nel quale si alteravano le equazioni della relatività generale per permettere la formazione di nuova materia, necessaria per la teoria dello stato stazionario.

5 Narlikar J.V., Arp H.C., 1993, Flat spacetime cosmology: a unified framework for extragalactic objects, the Astrophysical Journal 405, 51.

Rielaborando ulteriormente queste equazioni, e scegliendo opportunamente una loro soluzione, Narlikar ha ottenuto una relazione fra massa e tempo, m(t)=at2, che permette di riprodurre la correlazione fra redshift e magnitudine apparente osservata5.

Le equazioni nell’articolo di Narlikar-Arp non hanno giustificazioni teoriche o sperimentali, a parte il fatto di voler spiegare i redshift anomali (nessun fisico relativista ha seguito Narlikar su questa strada, nonostante lo studio di possibili cambiamenti o generalizzazioni della relatività sia un attivo campo di ricerca). Ma a parte questo, diverse predizioni del suo modello sono già state smentite: in effetti esso si presenta alle osservazioni come equivalente a quello di Einstein-de Sitter, non a quello con costante cosmologico come quello richiesto dalle osservazioni; il valore di H0 predetto da questa teoria, che dipende dall’età delle stelle più vecchie, è al massimo H0=51 km/s/Mpc, in contrasto con il valore di 70 km/s/Mpc ottenuto in particolare con le Cefeidi nell’ammasso della Vergine. Inoltre, anche se la teoria di Narlikar-Arp è costruita per risultare indistinguibile da quella standard rispetto ai test classici, non può rendere conto di tutti gli altri test, in primis delle proprietà  della radiazione cosmica di fondo.

Ad esempio, le distanze degli ammassi possono essere misurate in modo indipendente dal redshift attraverso il cosiddetto effetto Sunyaev-Zeldovich. Ed ecco che cosa afferma lo stesso Arp in un suo articolo:

Il calcolo delle distanze degli ammassi di galassie sfruttando la loro diffusione della radiazione cosmica di fondo combinata con la loro brillanza superficiale nella banda X sembra basarsi su principi fisici talmente consolidati che è difficile vedere come chiunque potrebbe accettare distanze molto più vicine quali quelle che sono sostenute in questo articolo.

In effetti, non posso che sottoscrivere quanto scrive qui onestamente Arp. Purtroppo, come tipicamente accade di fronte ad una qualsiasi delle numerose osservazioni in diretto conflitto con le sue tesi, Arp ne rifuta la validità, avendo la certezza che i redshift anomali non siano effetti di proiezione: in questo caso congettura che gli ammassi siano molto lontani dall’equilibrio, senza spiegarci perché le misure di distanza dovrebbero essere sbagliate in modo tale da coincidere con quelle dedotte attraverso il redshift degli ammassi e fornire parametri cosmologici in accordo con quelli derivati da altre osservazioni indipendenti.6

6 Bonamente, M. Et al., 2013, Measurement of the cosmological distance scale using X-ray and Sunyaev-Zel’dovich effect observations of galaxy clusters, IAU Symposium 289, pp.339-343

Ritengo d’altronde significativo che, in una review sulle cosmologie alternative7 del 2001, pubblicata sull’ Annual Review of Astronomy and Astrophysics della quale Geoffrey Burbidge era all’epoca editor, lo stesso Narlikar insieme ad un altro cosmologo indiano, T. Padbanamhan, non faccia menzione della teoria elaborata per Arp, mentre discute a lungo della Quasi-Steady State Cosmology elaborata con Fred Hoyle (per una critica della QSSC, come di altre cosmologie alternative, si vedano i commenti di Edward Wright).

7 Narlikar J.V., Padbanamhan T., 2001, Standard Cosmology and Alternatives: A Critical Appraisal, Annual Review of Astronomy and Astrophysics, 39, 211

A dire il vero, a me questa storia delle galassie che secondo Arp sembrano essere alla distanza corrispondente al loro redshift, ma non lo sarebbero in realtà, ricorda quella degli aristotelici i quali, di fronte alle imperfezioni della superficie lunare mostrate dal telescopio di Galileo, sostenevano che in realtà la luna fosse ricoperta da una sostanza liscia e trasparente: l’ipotesi fu avanzata inizialmente dall’astronomo gesuita Clavio, e poi sostenuta entusiasticamente dal letterato aristotelico Ludovico delle Colombe, autore di un discorso Contro il moto della Terra, e feroce oppositore non solo della fisica e della cosmologia galileiana, ma anche dell’idrostatica di Archimede.

> Lei può alterare solo con un falso la condivisione profonda che ha legato per tutta la vita Geoff, Margaret e lo stesso Fred Hoyle a “Chip” Arp, per il quale i quasar e le galassie non si trovano alla distanza dei loro spostamenti spettrali.

Infine, dopo la superficialità, le scandalose omissioni, il millantato credito, il fraseggiare e il non sapere ciò di cui parlo, arriva anche, perché no, l’accusa di falso.

Francamente non capisco proprio l’oggetto della sua polemica. La sua espressione non è chiara: se per “condivisione profonda” intende amicizia e solidarietà fra chi era critico nei confronti del Big Bang, è un fatto che non ho mai messo in dubbio nell’articolo (peraltro irrilevante dal punto di vista delle argomentazioni scientifiche). Ma se lei intende per condivisione profonda di Burbidge ed Hoyle l’adesione all’opinione di Arp che i quasar e le galassie non si trovino alla distanza dei loro spostamenti spettrali e che l’universo sia statico, si sbaglia. Basta leggere i loro articoli e anche quanto ha scritto lo stesso Arp nel suo libro Seeing Red.

Contrariamente ad Arp, Burbidge e Hoyle erano convinti che gli ammassi di galassie, e le galassie in generale, si trovino alla distanza corrispondente al redshift. Erano anche convinti che l’universo sia in espansione. Burbidge, come Arp, dubitava che il redshift di almeno una parte dei quasar fosse cosmologico. Hoyle, invece, era scettico sull’origine dell’universo a partire dal Big Bang. Burbidge ed Hoyle hanno assunto spesso posizioni critiche nei confronti delle opinioni maggioritarie, fungendo da pungolo nell’ambito di un sano dibattito scientifico. Qualche volta hanno avuto ragione, qualche volta torto (francamente, quando Hoyle sosteneva che l’influenza fosse portata dalle comete esagerava un po’: ma per i suoi lavori sulla produzione di elementi pesanti all’interno delle stelle avrebbe meritato il premio Nobel). Purtroppo Arp, ottimo astronomo osservativo, si è invece chiuso in un vicolo cieco da cui non è più uscito. Non ha saputo riconoscere in tempo la debolezza delle proprie argomentazioni, e il suo coinvolgimento emotivo è prevalso sulle considerazioni razionali.

> Nessuno di questi astronomi ha mai creduto al primo giorno della Creazione (Hoyle la chiamava “un’idea da preti”) e tantomeno che la radiazione di Penzias e Wilson rappresenti il residuo “fossile” di un’atavica esplosione che avrebbe originato dal nulla l’intero universo.

Vede, sig. Bolognesi, la scienza non è la teologia: non si discute attraverso le citazioni di grandi saggi o di testi considerati sacri, che sono fra l’altro un’arma a doppio taglio: le ricordo infatti che Hoyle ha anche affermato, nella stessa serie della BBC in cui ha coniato il termine di Big Bang, che considerva “noioso” un universo statico, e alla stessa epoca dedicava un intero capitolo all’universo in espansione nel suo libro Frontiers of Astronomy (a pag.309 afferma con sicurezza The Universe is expanding), mentre più di recente nel 2000 il titolo stesso del libro da lui scritto insieme a Burbidge e Narlikar era: A Different Approach to Cosmology: From a Static Universe Through the Big Bang Towards Reality, titolo che mostra come per i tre autori il Big Bang fosse quantomeno una tappa nel progresso dalla vecchia concezione di un universo statico a quella da loro propugnata della QSSC. Arp col suo universo statico è invece rimasto totalmente isolato, se si eccettua qualche ricercatore eccentrico come Tom von Flandern, il quale ha anche sostenuto che la roccia a forma di volto su Marte sia un’opera artificiale costruita 3,2 milioni di anni fa da una civiltà di extraterrestri arrivata sul pianeta rosso dopo l’esplosione del Pianeta V, esplosione che avrebbe dato origine alla fascia degli asteroidi.

Un altro discorso riguarda invece le origini del nostro universo. Lei insiste su una errata concezione del Big Bang che risale alle polemiche degli anni ’50 e ’60. Il Big Bang non è un’atavica esplosione, e la teoria del Big Bang non può dire nulla sui primi istanti dell’espansione. La radiazione fossile scoperta da Penzias e Wilson, come è stato confermato dagli studi successivi, ha invece tutte le caratteristiche predette dalla teoria del Big Bang. Che Hoyle si opponesse al Big Bang, era negli anni ’50 scientificamente sensato e legittimo. Più difficile in anni recenti, nei quali Hoyle ha dovuto ideare la variane già citata della teoria dello Stato Stazionario. E di nuovo, il fatto che il grande Fred Hoyle fosse contrario al Big Bang non è di per sé un’argomentazione scientificamente valida che si può opporre alle prove a sostegno della teoria, così come il fatto che il grande Aristotele ritenesse la Terra immobile al centro dell’universo non poteva essere un’argomentazione scientificamente valida contro le prove del moto terrestre.

Voglio però soffermarmi su un punto chiave che lei cita, la radiazione cosmica di fondo. Questa radiazione è stata oggetto di numerose osservazioni indipendenti, dalle quali si ricavano i valori dei parametri cosmologici, valori che sono in accordo con le misure indipendenti ottenute attraverso le supernovae, la distribuzione delle galassie, il lensing gravitazionale. È evidente che i risultati di WMAP e Planck confermano lo scenario standard. Su quali basi lei dunque respinge questa evidenza? Siccome dalla sua lettera non è chiaro, mi pare utile citare un brano di quanto lei ha scritto nel 2011, facendo parlare un presunto dottore in astrofisica:

Come faccio a spifferarti che le mappe di temperatura della radiazione fossile o che le “strutture primordiali” cartografate da WMAP non corrispondono a quelle prese con la nuova sonda Planck? Che è tragicamente ovvio che le dimensioni angolari dipendono dalle calibrazioni di scansione, che è dannatamente evidente che stiamo guardando componenti locali della Via Lattea, che non c’è nessun “fondo” a cui prendere la temperatura e che stiamo fuorviando i nostri contribuenti?

Che l’anonimo dottore in astrofisica sia una sua “invenzione letteraria” risulta chiaro dall’inconfondibile stile retorico e dal tenore delle sue affermazioni: non si capisce infatti come le dimensioni angolari possano dipendere “dalle calibrazioni di scansione”; inoltre non solo non è dannatamente evidente, ma è falso che stiamo confondendo il fondo con le componenti locali della Via Lattea, dato che è possibile, benché non semplice, separarle; infine, come si è visto recentemente, le mappe di temperatura di WMAP e Planck sono perfettamente compatibili. Ecco dunque che per salvare le tesi di Arp da risultati sperimentali che le confutano il suo “dottore in astrofisica” invoca esplicitamente un cover-up da parte degli scienziati che starebbero addirittura “fuorviando i contribuenti”: se non fosse un’accusa che nessuno può prendere sul serio, si tratterebbe di diffamazione nei confronti di centinaia di colleghi che per tanti anni hanno lavorato a questi progetti. D’altronde vi è chi sostiene che gli scienziati ingannino i cittadini sulle cause del cambiamento climatico o chi nega che l’uomo sia stato sulla Luna: siamo nel puro e semplice complottismo.

Lei ha peraltro manifestato entusiasmo per i risultati preliminari dell’esperimento OPERA che indicavano il superamento della velocità della luce da parte dei neutrini, risultati sui quali la comunità scientifica ha fin dall’inizio mantenuto un sano e prudente scetticismo: in effetti, gli stessi scienziati responsabili dell’esperimento hanno poi scoperto dov’era l’errore. Invece lei ne ha tratto ispirazione per irridere la relatività generale, ironizzando sulla “paccottiglia dei GPS relativistici” e sul “Padre dei buchi neri”. Prendo atto che, secondo lei, ai GPS non viene applicata alcuna correzione relativistica, il che implica che i fisici relativisti e gli ingegneri raccontano sciocchezze, e che la massa equivalente ad alcuni milioni di soli, ma totalmente invisibile, rivelata dai moti stellari al centro della nostra Galassia, non può essere un buco nero. Sarebbe però auspicabile che lei fornisse solide motivazioni a sostegno di queste sue categoriche affermazioni, motivazioni tanto più necessarie quanto la relatività generale è una delle teorie meglio verificate di tutta la fisica.

> Contrariamente a quanto lei lamenta a proposito delle tesi di Arp, è proprio la fisica dell’ ”inizio” che è completamente scollegata da ogni fisica. Se adesso questa radiazione non rappresentasse nemmeno ”l’inizio dell’universo nella sua totalità” (Coelum 173, pag.17), è la stessa cosmologia del XX secolo che cede di schianto.

Sono costrettto a ripetermi: conosciamo molto bene i processi fisici legati alle reazioni nucleari, sia da un punto di vista teorico che sperimentale, ed è grazie a queste conoscenze che nella teoria del Big Bang si possono predire con successo le abbondanze degli elementi leggeri prodotti da quelle reazioni in funzione della densità di protoni e neutroni. La radiazione cosmica di fondo è direttamente legata a quelle reazioni nucleari, e anche per essa abbiamo una descrizione scientifica basata sulla fisica nota (si veda ad esempio questa sintesi delle ragioni che hanno portato al successo della teoria del Big Bang. Per quella che lei chiama “fisica dell’inizio”, ovvero gli istanti iniziali nei quali è cominicata l’espansione, abbiamo per il momento soltanto delle estrapolazioni dalla fisica attuale, che però non fanno parte della teoria del Big Bang standard. Forse allude anche alla materia e all’energia oscura, ritenute erroneamente da molti degli elementi ad hoc della teoria standard. Un elemento ad hoc è qualcosa che si introduce per spiegare un fenomeno particolare, ma che non spiega null’altro. La materia oscura è invece stata rivelata dalle osservazioni prima di costituire un ingrediente fondamentale in cosmologia, mentre l’energia oscura corrisponde nel modello standard alla costante cosmologica, un parametro delle equazioni della relatività generale il cui valore è stato misurato tramite le osservazioni. La costante cosmologica non è dunque più ad hoc della costante di gravitazione universale G.

La sua frase conclusiva è ad effetto ma sbagliata. Per quanto ho già spiegato a più riprese il Big Bang spiega l’evoluzione globale e le proprietà dell’universo che possiamo osservare, mentre esistono quadri teorici che permettono una generalizzazione e consentono di considerare il nostro universo come una “bolla” in un universo più vasto dove possono aver luogo altri Big Bang: in questo caso non solo la cosmologia del XX secolo non “cede di schianto”, ma è moltiplicata in un numero enorme di realizzazioni. Queste nuove ipotesi cercano di dare delle risposte a ciò che la teoria del Big Bang, per sua natura, non è in grado di spiegare.

Infine, non vanno confusi diversi piani: la validità generale della relazione tra redshift e distanza è un fatto provato da una schiacciante evidenza osservativa; nessun astronomo professionista tranne Arp la mette più in discussione. Qualcuno invece continua a dubitare che in certi casi il redshift di alcuni quasar possa avere una componente non cosmologica: anche se mi sembra che i dati e le conoscenze attuali non rendano probabile una simile eventualità, non lo si può escludere a priori, ma ciò non invaliderebbe comunque la teoria del Big Bang. Si possono naturalmente cercare delle alternative, come hanno fatto Hoyle, Burbidge e Narlikar, e si può pensare che il Big Bang non sia una teoria definitiva: certo lascia aperti diversi e profondi interrogativi. Ma voler imporre un universo statico negando la validità delle osservazioni e degli esperimenti, come fa Arp e lei in modo ancor più veemente, accusando per di più la comunità scientifica di dogmatismo e di falsificazione, appartiene purtroppo al dominio di ciò che gli anglofoni chiamano crank theories.

Il mio dialogo con lei finisce pertanto qui. È evidente che continuerà a propagandare le tesi dell’astronomo americano denunciando i fallimenti della fisica moderna: ciò è legittimo, ma la pregherei soltanto di farlo senza denigrare coloro che non condividono la sua opinione.

Cordiali saluti,

Alberto Cappi

Al Planetario di Ravenna

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15.11: “Scienza e religione della ‘Storia dell’astronomia’ del giovane Leopardi” in collaborazione con la Società Dante Alighieri, ingresso libero.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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15.11: ”Le galassie perdute”.

Per info: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Osservatorio Astronomico di Roma – INAF

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15.11: “Visione Notturna – dal cinema muto all’astronomia contemporanea” a cura di ricercatori presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri.

Info: Tel. 06 94286427 – diva@oa-roma.inaf.it
www.oa-roma.inaf.it

Bentornato Luca!

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Luca di nuovo a Terra. Credit: NASA

Luca di nuovo a Terra. Credit: NASA

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L’astronauta dell’ESA Luca Parmitano di nuovo a terra

L’astronauta dell’ESA Luca Parmitano, il comandante russo Fyodor Yurchikhin e l’astronauta della NASA Karen Nyber sono tornati oggi sulla Terra, con un atterraggio nella steppa del Kazakistan.

Il viaggio di ritorno, con cui sono atterrati alle 03:49 italiane, è avvenuto nella stessa navicella Soyuz TMA-07M che li ha portati sulla Stazione Spaziale Internazionale il 29 maggio scorso.

Il viaggio della Soyuz, dopo la manovra di undocking, è stato molto breve: in poco più di tre ore gli astronauti hanno raggiunto la Terra. Durante il rientro, la navicella si è separata in tre parti, lasciando bruciare il modulo orbitale e quello di propulsione nell’atmosfera. Il modulo di discesa, con a bordo Luca e i suoi compagni, nella fase di frizione con l’atmosfera ha raggiunto temperature fino a 1600 °C.

Luca e Karen andranno ora a Houston, Texas, dove saranno sottoposti a controlli medici prima di incontrare la stampa il 13 novembre alle 14:30.

L'astronauta Luca Parmitano sulla Stazione Spaziale Internazionale vicino all'esperimento Biolab. Della missione Volare di Luca facevano parte più di 30 esperimenti, tre attracchi di navicelle spaziali e due passeggiate nello spazio. Credit: ESA/NASA

Luca ha passato cinque mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale con la missione Volare, frutto di un accordo bilaterale tra l’Agenzia Spaziale Italiana ASI e la NASA. Ha condotto oltre 30 esperimenti scientifici, effettuato due “passeggiate spaziali” – o EVA (Extra Vehicular Activity) – e compiti operativi, oltre alle operazioni di mantenimento dell’avamposto orbitante.

La tabella dei compiti scientifici di Luca comprendeva l’installazione e la realizzazione di esperimenti su emulsioni che aiuteranno l’industria a creare alimenti e farmaci con una durata più lunga.

Durante l'installazione dell'esperimento FASES. Credit: ESA/NASA

Ma non solo, l’astronauta italiano ha anche utilizzato la “fornace spaziale” per scaldare il metallo a 1400 gradi e studiarne così le microstrutture durante la fusione delle leghe metalliche. Una ricerca che può essere condotta soltanto in microgravità e che sta aprendo la strada verso la creazione di metalli ultra leggeri e stabili propri dell’era spaziale. Precedenti esperimenti hanno già, ad esempio, notevolmente migliorato i processi industriali per la creazione di complesse leghe di titanio, con il risultato di ottenere materiali, di alta qualità, più economici e di più rapida produzione industriale.

In un altro esperimento, ha dovuto prelevare dei campioni della propria pelle per contribuire allo sviluppo di un modello sulle dinamiche dell’invecchiamento del tessuto cutaneo, oltre a registrare il proprio sonno per aiutare a capire come questo viene regolato dal corpo umano.

Gli esperimenti effettuati a bordo della ISS porteranno beneficio non solo alle persone sulla Terra ma serviranno anche alla preparazione di quegli astronauti che parteciperanno alle future esplorazioni del nostro Sistema Solare.

L'attracco dell'ATV-4, traghetto europeo per l'approviggionamento che ha trasportato 7 tonnellate tra materiali di consumo, propellente e esperimenti, di cui Parmitano ha seguito le operazioni di scarico e catalogazione del carico. Credit: ESA/NASA

Oltre al carico di lavoro scientifico, Luca ha effettuato delle attività operative come il controllo dell’attracco del quarto Veicolo di Trasferimento Automatico (ATV, Automated Transfer Vehicle) dell’ESA, denominato Albert Einstein. Luca ha sovrainteso allo scarico degli oltre 1400 prodotti contenuti nella navicella spaziale automatica.

Karen e Luca hanno lavorato in squadra per prendere ed agganciare la seconda navetta spaziale commerciale che è giunta sulla Stazione Spaziale Internazionale, Cygnus.

La sua missione, ricca di avvenimenti, ha visto anche la partecipazione a due passeggiate spaziali per installare degli esperimenti all’esterno della Stazione e prepararla per un nuovo modulo russo che sarà lanciato il prossimo anno.

Prima del rientro dalla passeggiata nello spazio con l'astronauta NASA Chris Cassidy, il 9 luglio 2013. La "passeggiata" è durata 6 ore 7 minuti. Credit: ESA/NASA

La seconda uscita extra veicolare di Luca è stata interrotta a causa di un malfunzionamento della tuta spaziale, per un accumulo di acqua all’interno del casco, costringendo lui e il collega Chris Cassidy della NASA a rientrare con urgenza nella Stazione. Luca, pilota collaudatore dell’Aeronautica Militare, ha mantenuto la calma ed è rientrato nella camera stagna nonostante potesse comunicare solo ad intermittenza e senza riuscire a vedere fuori dal proprio casco.

Luca è stato il sesto italiano ad andare nello spazio e il quinto a soggiornare sulla ISS. Dopo il rientro a Houston, l’astronauta inizierà un periodo di riabilitazione per riabituarsi alla gravità terrestre e sarà sottoposto a test medici.

“Volare è stata una missione straordinaria, eccezionale sotto ogni punto di vista, che ci riempie di orgoglio e soddisfazione – ha dichiarato Enrico Saggese, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana – Ancora una volta, oggi più che mai, il nostro Paese ha saputo dimostrare che sa funzionare e che è capace di realizzare importanti progetti di portata internazionale”.

“Ora attendiamo i risultati delle sperimentazioni effettuate da Parmitano sulla Stazione – conclude il Presidente dell’ASI – e nel frattempo, l’appuntamento è tra un anno, quando sulla casa orbitante approderà la prima italiana: Samantha Cristoforetti“.

Luca sarà impegnato nella sua prima videoconferenza stampa da Houston il prossimo 13 novembre. L’evento, destinato alla stampa, si terrà presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Era questa la prima missione di Luca e la prima per uno dei nuovi astronauti ESA della Classe 2009. Il prossimo a volare sulla stazione sarà Alexander Gerst, il cui lancio è previsto per il 28 maggio 2014 dal Kazakistan.

Una vasta selezione di fotografie dalla missione Volare, molte delle quali scattate da Luca stesso, è disponibile sulla pagina Flickr

Le Alpi viste dalla Stazione Spaziale Internazionale. Durante i sei mesi della missione Volare, Luca Parmitano ha scattato questa e moltissime altre immagini dallo spazio, associandole ad un vero e proprio diario condiviso in tempo reale attraverso i vari social network - ed il blog dedicato alla missione - senza stancarsi mai di rispondere e interagire con i numerosissimi ammiratori che l'hanno seguito giorno per giorno. Credit: ESA/NASA

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La crew viene estratta dalla Soyuz. Video ASI TV

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In rete:

  • Il blog di Luca Parmitano, un vero e proprio diario quotidiano fatto di immagini, riflessioni e dialogo con tutti i suoi follower che hanno potuto interagire attraverso le relative pagine di Facebook e Twitter collegate a Volare.
  • Su ASI TV tutti i video delle varie fasi del rientro (qui sopra l’estrazione della crew dalla navicella russa).

MUSEI CAPITOLINI I MERCOLEDÌ DI ARCHIMEDE STORIE DI SCIENZA ANTICA

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13.11: “Galileo discepolo di Archimede: i fondamenti archimedei della scienza galileana” di Michele Camerota.

www.museicapitolini.org

MUSEI CAPITOLINI I MERCOLEDÌ DI ARCHIMEDE STORIE DI SCIENZA ANTICA

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13.11: “Leonardo e Archimede”, D. Laurenza.

www.museicapitolini.org

La ISON va in scena

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La cartina illustra il percorso apparente della ISON nel mese di novembre quando, durante le prime due settimane, si potrà osservare a partire all'incirca dalle 4:00 del mattino sopra l'orizzonte di est-sudest, mentre per vederla alla massima luminosità si dovranno attendere le 6:00 e la fine del mese. Si tenga presente che la scala dell'illustrazione consente di dare soltanto una vaga idea sulla posizione della cometa, che quindi dovrà essere cercata e inquadrata aiutandosi con le coordinate equatoriali orarie che potrete trovare nel sito di Coelum nella sezione "Cielo del mese".
La cartina illustra il percorso apparente della ISON nel mese di novembre quando, durante le prime due settimane, si potrà osservare a partire all'incirca dalle 4:00 del mattino sopra l'orizzonte di est-sudest, mentre per vederla alla massima luminosità si dovranno attendere le 6:00 e la fine del mese. Si tenga presente che la scala dell'illustrazione consente di dare soltanto una vaga idea sulla posizione della cometa, che quindi dovrà essere cercata e inquadrata aiutandosi con le coordinate equatoriali orarie che potrete trovare nel sito di Coelum nella sezione "Cielo del mese".

EFFEMERIDI
di NOVEMBRE

Luna

Sole e Pianeti

> Comete

Asteroidi

E così, dopo un’attesa di 13 mesi da quando ne fu annunciata la scoperta e il suo probabile futuro da “cometa del secolo” (in senso assoluto), la C/2012 S1 (ISON) si appresta a rivelare nel mese di novembre la sua reale possibilità di diventare, più modestamente, almeno la “cometa del 21° secolo”.

Alla data in cui stiamo scrivendo (metà ottobre), non sembrano esserci sostanziali novità rispetto a quanto abbiamo riportato nell’articolo del numero scorso. Sulla base delle stime attuali, sembra che la ISON potrà raggiungere al massimo un valore di luminosità prossimo alla –6, ben al di sotto delle prime valutazioni che, come si ricorderà, la vedevano raggiungere magnitudini comprese tra la –10 e la –15. Al 15 ottobre la cometa distava dalla Terra circa 1,72 UA e nelle foto più riuscite presentava un’unica coda estesa per circa 20 primi d’arco. La chioma era invece aumentata in dimensione, assumendo una colorazione verdastra, diretta conseguenza della sublimazione di molecole di gas cianogeno e carbonio eccitate dai raggi UV provenienti dal Sole. Insomma, una graziosa cometina di decima magnitudine, ma niente che possa minimamente far pensare a una cometa in procinto di trasformarsi nello spettacolo che tutti stiamo aspettando. Nulla a che vedere, infatti, con le previsioni diffuse dopo la sua scoperta, che per quella data davano la ISON già alle soglie della visibilità ad occhio nudo… […]

Per ciò che riguarda le circostanze osservative generali possiamo dire che, salvo sorprese, la cometa ISON sarà visibile a occhio nudo un po’ prima del sorgere del Sole a partire dalla seconda decade di novembre e dovrebbe subire un rapido incremento di luminosità a partire dal 26, raggiungendo il massimo tra il 28 (giorno del passaggio alla minima distanza dal Sole) e il 29, anche se nella quindicina di giorni a cavallo del passaggio al perielio, a causa della sua estrema vicinanza al Sole, sarà di difficilissima osservazione.

In quelle condizioni potremo forse vedere la sua coda se questa raggiungerà lunghezze considerevoli. Dovrebbe quindi rimanere ancora visibile a occhio nudo sin verso la metà di gennaio.

Ma vediamo di descrivere in dettaglio come ci potrebbe apparire la ISON nei momenti clou della sua apparizione. […]

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione giorno per giorno, con tutte le immagini, nel Diario minimo di Davide Trezzi presente a pagina 17, all’interno dell’articolo La ISON va in scena,  di Coelum n.175.

Al Planetario di Ravenna

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12.11: “Decimo pianeta: dai sumeri ad oggi, cosa c’è là in fondo al Sistema Solare?” di C. Balella.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

Supernovae scoperte ad ottobre 2013

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LBV in UGC 3165
Pubblichiamo un approfondimento della ormai nota rubrica dedicata alle Supernovae curata da Fabio Briganti e Riccardo Mancini dell’Italian Supernovae Search Project e pubblicata su Coelum 175 di novembre.

Dopo l’abbondanza estiva con il record di ben 17 supernovae scoperte in poco più di due mesi, il numero dei successi italiani si è purtroppo azzerato in questo inizio di autunno.

Ne approfittiamo perciò per raccontarvi di due oggetti scoperti la passata estate dall’osservatorio di Monte Agliale (LU), che nei due numeri precedenti avevamo tralasciato per motivi di spazio, anche perché poco luminosi, ma che successivamente si sono rivelati molto interessanti.

LBV in UGC 3165 (cliccare sull'immagine per ingrandirla) ripresa da Marco Monaci con il telescopio remoto da 35cm del BRADFORD ROBOTIC TELESCOPE PROJECT posto alle Isole Canarie.

Il primo oggetto non è una supernova, ma una rara Luminous Blue Variable, particolare classe di stelle conosciute anche con il nome di Supernova Impostor, perché ad una prima analisi possono essere scambiati per una supernova classica.

Il 18 Agosto il team dell’osservatorio di Monte Agliale si accorge della presenza di una stellina di luminosità intorno alla mag. +18 nella piccola galassia UGC3165 posta nella costellazione del Toro, non lontano da Aldebaran e distante circa 170 milioni di anni luce.

Prima di comunicare la scoperta eseguono i controlli del caso e si accorgono che la posizione dell’oggetto coincide esattamente con il probabile Supernova Impostor scoperto il 25 Settembre 2012 dal CRTS Catalina Real-Time Transient Survey denominato SNhunt151 che, al massimo di luminosità nell’Ottobre 2012 non superò la mag. +19 per poi scomparire già a Gennaio 2013.

I lucchesi si erano perciò imbattuti in un nuovo outburst di questo raro oggetto, questa volta però più luminoso rispetto all’anno precedente, tanto da raggiunge il massimo a fine Agosto a mag. +17,6. Vengono immediatamente allertati gli astronomi di Asiago che avviano una campagna osservativa con il grande Telescopio Nazionale Galileo di 3,54 metri situato nelle Isole Canarie. Le accurate analisi spettroscopiche e fotometriche portano alla conclusione che SNhunt151 è molto simile al più famoso “2009ip”.

Le novità però non finisco qui: dopo un settembre in cui SNhunt151 si è leggermente affievolito, è dei primi giorni di ottobre la notizia che la sua luminosità ha ripreso a salire sfiorando la mag. +17 ed intorno al 25 di ottobre un nuovo importante outburst ha fatto aumentare la luminosità fino alla mag. +15,9. Come fu per 2009ip ci s’inizia ad interrogare sulla possibilità che l’oggetto si stia trasformando in una supernova di tipo IIn, aumentando presumibilmente ancora la sua luminosità. L’oggetto è perciò da tenere sotto sorveglianza in questo periodo perché potrebbe regalarci interessanti sorprese.

La SN2013fk in UGC1442 (cliccarel'immagine per ingrandire).

Il secondo oggetto è la SN2013fk scoperta il 3 Settembre da F. Ciabattari, E. Mazzoni e R. Simonetti nella galassia a spirale UGC1442 posta nella costellazione della Balena a circa 220 milioni di anni luce.

Al momento della scoperta la supernova mostrava un luminosità pari a mag. +18,5 quindi molto debole per la distanza a cui si trova la galassia ospite. Forse i lucchesi avevano individuato una supernova prima del massimo di luminosità ed invece nei giorni seguenti la magnitudine tende ulteriormente a diminuire.

C’era qualcosa che non tornava, eravamo forse davanti ad un altro Supernova Impostor? Niente di tutto ciò. Il 10 Settembre finalmente viene svelato il dilemma. Lo spettro, ripreso con il telescopio di 1,88 metri dell’Okayama Observatory in Giappone, permette di classificare la supernova di tipo Ia scoperta addirittura circa 100 giorni dopo il massimo di luminosità. Massimo che si è quindi verificato intorno alla fine di Maggio, con la supernova che dovrebbe aver raggiunto la discreta mag. +15,5.

Purtroppo in quei giorni la galassia stava uscendo dalla congiunzione eliaca e si trovava a circa 10° gradi sopra l’orizzonte al momento del sorgere del sole, quindi in condizioni di sufficiente oscurità la galassia era inosservabile perché praticamente sull’orizzonte o anche leggermente sotto. La galassia è rimasta perciò inosservabile per tutto il mese di Giugno, ma da Luglio si è lentamente allontanata dal sole diventando sempre meglio visibile, però prima dell’alba. Nel mese di Agosto la galassia era facilmente osservabile, anche se la luminosità della supernova era diminuita sotto la mag. +17, ma nessuno ha rivolto il proprio telescopio verso di lei fino al 3 Settembre, giorno della scoperta dei lucchesi.

La galassia si trova a meno di 2’ a nord di una stella di mag. +9 ed a circa 6’ ad ovest di una stella di mag. +6,5 mentre a circa 10’ ad ovest troviamo una galassia più luminosa, la IC176.

Ogni volta che una supernova rimane non notata per parecchio tempo, lanciamo sempre l’appello ai lettori nella speranza che qualcuno possa aver immortalato la galassia in questi mesi.

Questa volta però siamo consapevoli che UGC1442 non è un oggetto notevole da meritare una levataccia prima dell’alba, però unito alla vicina e leggermente più fotogenica IC176 forse qualcuno potrebbe averlo fatto e perciò avrebbe ottenuto una pre-discovery di grande importanza scientifica.

Moebius 173 – Alberi nel cielo

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Nel numero di settembre ho provato a indicare una possibile parentela tra le costellazioni e le reti.

I matematici hanno cominciato a parlare di reti, o di grafi, come talvolta si preferisce dire, in tempi relativamente recenti. Ad introdurre per primo questo concetto fu, intorno al 1736, lo svizzero Leonhard Euler (spesso italianizzato in Eulero), uno dei più grandi geni matematici di ogni epoca.

La Storia

A offrire a Eulero l’assist per fondare la teoria dei grafi fu un curioso enigma che si ispirava alla particolare conformazione della città prussiana di Königsberg.

Questa città, che oggi si chiama Kaliningrad e si trova in territorio russo, è famosa per avere dato i natali al filosofo Immanuel Kant e al matematico David Hilbert. Il fiume che attraversa l’area cittadina, il Pregel, forma due vaste isole, che nel Settecento erano collegate tra di loro e con le due aree principali della città tramite sette ponti. Il problema consisteva nel tracciare un percorso che attraversasse ognuno dei sette ponti una e una sola volta, tornando infine al punto di partenza.

Oggi i matematici chiamano “euleriano” un percorso di questo tipo. Cosa fece Eulero per meritare un simile onore? Semplicemente dimostrò che a Königsberg non esiste un circuito euleriano.

Come vi riuscì? La mossa vincente fu formulare il problema in termini di “rete”. Eulero rappresentò infatti ciascuna delle aree urbane come un “nodo” e ciascuno dei ponti come un “arco”. Analizzando la rete che si era originata, si accorse che da ogni nodo usciva un numero dispari di archi; nel contempo riuscì a dimostrare che in una rete esiste un percorso euleriano se e soltanto se non vi sono nodi toccati da un numero dispari di archi. Ecco allora che la passeggiata euleriana sui ponti di Königsberg è impossibile.

Un ritratto di Eulero, nome "italiano" dello svizzero Leonhard Euler, uno dei più grandi geni matematici di ogni epoca.

Il bello è che Eulero fu il primo in assoluto a risolvere un problema ricorrendo a strumenti di questo tipo: mentre disegnava il grafo della città di Königsberg, di fatto Eulero stava fondando un nuovo importante ramo della matematica.

I colleghi di Eulero lo snobbarono per questa sua trovata: secondo loro soltanto argomenti come l’analisi infinitesimale, la teoria dei numeri e la geometria erano degni delle attenzioni di un matematico, e tutto il resto era solo perdita di tempo.

Ma proprio il tempo diede ragione a Eulero. Oggi la teoria dei grafi è considerata un’area fondamentale della matematica, insostituibile in molti rami della fisica, dell’ingegneria, dell’informatica.

Senza rendercene conto, tutti i giorni abbiamo a che fare con le reti: cosa sono, secondo voi, gli alberi genealogici, gli organigrammi aziendali, i diagrammi di flusso, gli schemi elettrici? E che dire del reticolo di strade della nostra città, della rete dei telefoni cellulari, di internet, del web, dei social network?

Perché, allora, non trattare anche le costellazioni come reti? Un tempo gli atlanti si limitavano a mostrare le posizioni delle stelle presenti in ogni costellazione, decorando il tutto con eleganti disegni ispirati a personaggi mitologici; ma in tempi più recenti sono comparse le familiari linee che congiungono le stelle tra di loro. Questi intrecci sono reti a tutti gli effetti, e per di più planari, in quanto le linee non si intersecano mai, se non nelle stelle stesse.

Il problema

Come spiegato nell’articolo di settembre, già nel 1930 furono stabiliti i confini convenzionali delle costellazioni, ma il modo in cui le stelle di ogni costellazioni vengono collegate tra di loro non fu mai oggetto di standardizzazione. A seconda che il disegno di una costellazione contenga o meno circuiti chiusi, ci possiamo trovare di fronte a una rete qualsiasi o ad una rete speciale, chiamata “albero”. Sono chiamati alberi, quindi, i grafi in cui, presi a caso due nodi, esiste esattamente un percorso che li congiunga. Ovviamente, il carattere “arboreo” o meno di una costellazione è legato alla libera scelta di come unire le stelle l’una all’altra. Cassiopea, ad esempio, viene tipicamente disegnata come una grande W, ma nessuno ci impedisce, per una volta, di trasgredire e tratteggiarla in modo diverso.

Il problema di settembre richiedeva appunto di ridisegnare Cassiopea in modo che le stelle Segin, Ruchbah e Tsih siano collegate ciascuna a una sola stella, mentre Caph è collegata a tre stelle. Veniva anche richiesto di dimostrare l’unicità della soluzione trovata.

Nessun lettore ha inviato una dimostrazione veramente rigorosa, anche se le soluzioni proposte da Paolo Palma (che grazie alla sua rapidità si è aggiudicato l’abbonamento semestrale) e da Giorgia Hofer contenevano dei buoni tentativi in questo senso. Anche Patricio Calderari e Giuseppe Ruggiero hanno fornito la soluzione esatta, ma senza azzardare una dimostrazione di unicità.

A tutti questi lettori vanno però i nostri più vivi complimenti per avere affrontato la sfida!

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La soluzione

Un possibile approccio per risolvere il rompicapo è il seguente.

Dato che le stelle prese in considerazione sono cinque (Segin, Ruchbah, Tsih, Shedir e Caph), si tratta di disegnare un albero formato da cinque nodi. Ora, dal punto di vista della topologia della rete, un simile albero può essere di tre tipi soltanto (vedi figura a destra).

Che esistano soltanto queste tre topologie lo si può vedere molto facilmente. Provate a costruire un albero di cinque nodi passo dopo passo, cioè partendo da un nodo soltanto e aggiungendo via via gli altri: vi accorgerete che le opzioni possibili vi porteranno comunque verso queste tre conformazioni, e nessun’altra è raggiungibile.

Dato che nella nuova Cassiopea che vogliamo costruire c’è una stella (Caph) collegata a tre stelle, possiamo senz’altro escludere il primo tipo di albero (in cui nessun nodo ha tre adiacenti) e anche il secondo (nel quale il nodo centrale ha quattro adiacenti, e gli altri quattro ne hanno soltanto uno, appunto quello centrale).

Siamo quindi nel terzo prototipo di grafo, nel quale vi è un nodo C (nel nostro caso Caph) legata a tre suoi vicini (B, D, E). Dato che Segin, Ruchbah e Tsih devono avere una sola vicina, il nodo B è sicuramente Shedir, adiacente a Caph e collegato a due nodi.

Per trovare la soluzione, non ci resta che abbinare i nodi A, D ed E alle stelle Segin, Ruchbah e Tsih. Due di questi (D ed E) devono legarsi a Caph, e un altro (A) a Shedir. Da una rapida analisi della disposizione delle stelle di Cassiopea, appare evidente che soltanto scegliendo Ruchbah come nodo A (e quindi abbinando Segin e Tsih ai nodi D ed E) si evitano sovrapposizioni di linee, preservando la planarità del grafo.

Quindi l’unica soluzione compatibile con gli indizi dati è quella illustrata nella figura seguente (dove gli archi dell’albero individuato sono mostrati in rosso, sovrapposti alla tradizionale W di Cassiopea):

Una cometa o un asteroide?

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Si chiama P/2013 P5 e si trova nella cinta di asteroidi tra Marte e Giove. Cosa c’è di strano? Sembrerebbe un banale asteroide che orbita attorno a dei pianeti, normale amministrazione. In realtà tutto sembra tranne che un asteroide. La sua forma bizzarra a ventaglio e le sue sei code fanno proprio pensare che sia una cometa, anche se gli astronomi stanno ancora cercando una spiegazione perché sembrerebbe quasi impossibile.

È già successo qualche tempo fa, ma al contrario: una cometa che si travestiva da asteroide. con Spitzer, gli astronomi avevano scoperto che l’oggetto chiamato 3552 Don Quixote, vicino alla Terra di circa 19 km di diametro, presentava una chioma e una debole coda, nonché un albedo basso.

In questo caso, invece, i ricercatori hanno utilizzato il telescopio orbitante Hubble per studiare lo strano oggetto. Normalmente gli asteroidi appaiono come dei puntini bianchi, senza coda o strascichi di povere e gas. In questo caso, invece, le code sono ben sei e sono state osservate lo scorso settembre.

“È difficile pensare che si tratti di un asteroide”, ha detto David Jewitt dell’Università della California (UCLA). “Siamo rimasti a bocca aperta quando l’abbiamo scoperto. La struttura delle sue code è cambiata totalmente nel giro di 13 giorni mentre si liberava della polvere stellare”.

Una possibile interpretazione è che la velocità di rotazione dell’asteroide aumenti a tal punto che la sua superficie abbia iniziato a sgretolarsi, rilasciando, dalla scorsa primavera, polvere e detriti simili a quelli che seguono la chioma di una cometa. Il team ha escluso un recente impatto dell’asteroide con altri oggetti poiché una grande quantità di polvere sarebbe stata dispersa immediatamente nello spazio. Questo oggetto ha continuato a espellere polvere per almeno cinque mesi, ha detto Jewitt.

Per la prima volta P/2013 P5 è stato avvistato con il telescopio Pan-STARRS alle Hawaii, ma le code sono state scoperte da Hubble successivamente (il 10 settembre scorso). Tredici giorni dopo la prima osservazione la forma e la direzione delle code erano totalmente cambiate. Le code potrebbero essersi formate da una serie di eventi esplosivi. Il primo evento simile si è verificato il 15 aprile e l’ultimo il 4 settembre. Nel mezzo ci sono state esplosioni il 18 luglio e 24 luglio, l’8 agosto e il 26 agosto. L’effetto simile a quello della coda di una cometa è dato dalla luce del Sole che passa attraverso la polvere illuminandola.

Se la velocità di rotazione dell’asteroide aumentasse la sua debole forza di gravità non sarebbe più in grado di tenerlo insieme. Potrebbe verificarsi una valanga di polvere verso l’equatore dell’oggetto per finire nello spazio formando altre code. Finora, solo una piccola frazione della massa dell’asteroide – forse da 100 a 1000 tonnellate di polvere – è stata persa, ha detto il ricercatore. Il nucleo di 700 metri di raggio è migliaia di volte più massiccio.

Il team di studiosi crede che ci possano essere altri esemplari simili tra Marte e Giove: potrebbe essere questo il modo in cui gli asteroidi finiscono il loro ciclo di vita.

Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.

Leggi anche:

Planetario e Osservatorio Astronomico di Cà del Monte

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10.11, ore 15:00: “Il racconto del cielo per grandi e piccini” (al planetario) e osservazione del Sole.

Se siete interessati a una data non ancora pubblicata, info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Due buchi neri per una stella che muore

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La formazione e la crescita dei buchi neri al centro delle galassie è uno dei più grandi misteri attualmente studiati dagli astronomi di tutto il mondo. È noto ormai che i buchi neri sono oggetti massicci nell’universo con una forza gravitazionale talmente potente che neanche la luce riesce ad uscire per arrivare a noi (per questo sono neri). Gli esemplari più “piccoli” si formano al momento del collasso di una stella (per questo vengono spesso definiti “di massa stellare”). I buchi neri più massicci, invece, contengono fino a un miliardo di volta la massa del nostro Sole. Nel corso di miliardi di anni, i buchi neri di dimensioni più ridotte possono arrivare a dimensioni considerevoli, agglomerando stelle, materiale galattico e altri buchi neri limitrofi.

La domanda che ancora si pongono gli esperti è quando e in quanto tempo si siano formati i buchi neri nell’universo primordiale. Secondo gli esperti i buchi neri più massicci si sarebbero formati meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang. Qualche prima risposta viene da un recente studio del California Institute of Technology (Caltech). Un gruppo di ricercatori guidati da Christian Reisswig della NASA ha scoperto che alcuni modelli di crescita dei buchi neri contemplano la presenza di quello che viene chiamato “seme”, che risulta proprio dalla morte delle prime stelle apparse nell’universo e aumenta di massa assorbendo materiale espulso durante l’ultima fase della stella, gas e polvere (processo noto come “accrescimento”).

«In questi modelli non era previsto abbastanza tempo affinché i buchi neri potessero raggiungere grandi dimensioni, poco dopo la nascita dell’universo”, ha detto il ricercatore primo firmatario dello studio pubblicato su Physical Review Letters lo scorso ottobre. “Una così repentina crescita sembra possibile solo se questo seme fosse già abbastanza grande”.

Il team di ricerca si è concentrato su un modello che prende in considerazione stelle supermassicce, le quali si pensa siano esistite solo per un breve periodo di tempo nelle prime fasi dell’universo. A differenza delle normali stelle, queste più grandi  sono per lo più stabilizzate contro la forza di gravità grazie alla loro stessa radiazione di fotoni (il flusso di fotoni che viene generato a causa delle temperature molto elevate all’interno dell’oggetto). Le stelle supermassicce collassano dopo qualche milione di anni, a causa della perdita di questi fotoni e della riduzione delle dimensioni. Si pensa che dopo il collasso rimanga un oggetto dalla forma sferica. Proprio la rotazione dell’oggetto può causare la perdita di qualche frammento, che andrebbe a orbitare intorno al frammento della stella morta, aumentando man mano di temperatura. A temperature così alte si innescherebbero, secondo gli studiosi, delle reazioni tra elettroni e positroni creando delle coppie, che creerebbero due piccoli buchi neri. È proprio in questo caso che l’interazione fra i due porterebbe alla nascita di un buco nero di più grandi dimensioni.

La conclusione del team di ricerca è, quindi, che da un singolo collasso di una stella si formerebbero due piccoli buchi neri, invece che uno solo. Per provare la loro teoria gli esperti hanno usati simulazioni al computer e osservazioni da terra con l’Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) del Caltech, alla ricerca della radiazione gravitazionale.

Per saperne di più:

Planetario e Osservatorio Astronomico di Cà del Monte

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09.11: “ISON: una cometa sopra di noi”.

Se siete interessati a una data non ancora pubblicata, info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Cosmologie alternative: il dibattito continua

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Questa straordinaria immagine, sicuramente la migliore mai ripresa per questo genere di oggetti, mostra la “Shell galaxy” NGC 474, fotografata con il 3,6 metri del Canada-France-Hawaii Observatory. Oggetto dell'articolo "il mistero delle galassie a guscio" pubblicato su Coelum 157 che ha rinfocolato il dibattito sulle teorie cosmologiche alternative. Foto di Jean-Charles Cuillandre e Giovanni Anselmi.

Come anticipato sulla rivista (vedi Coelum 173 pag. 19) pubblichiamo online le “contro repliche”, e i commenti dei lettori, arrivate in redazione a seguito dell’articolo di Alberto Cappi Qualche chiarimento sulle Cosmologie Alternative, pubblicato in tre puntate (vedi link più in basso) e che ha affrontato il difficile compito di analizzare le argomentazioni delle teorie cosmologiche alternative contro l’attuale Modello Standard.

Le idee espresse in questi interventi non sono necessariamente condivise dalla nostra redazione, ma abbiamo comunque ritenuto doverosa la pubblicazione per intero delle varie argomentazioni espresse nella convinzione che, assieme agli articoli pubblicati sulla rivista (di cui riportiamo un  corposo elenco in calce), possa aiutare i lettori nello sviluppare un’opinione consapevole sui problemi che attraversano l’odierna Cosmologia.

Questi i link della presentazione delle tre parti dell’articolo di Alberto Cappi:

Qualche chiarimento sulle COSMOLOGIE ALTERNATIVE – Parte 1
Qualche chiarimento sulle COSMOLOGIE ALTERNATIVE – Parte 2
Qualche chiarimento sulle COSMOLOGIE ALTERNATIVE – Parte 3

Qui di seguito invece i link per leggere i contributi arrivati (o che arriveranno, la pagina verrà aggiornata man mano) sul tema, e l’elenco completo degli articoli pubblicati in passato. Sarà possibile commentare direttamente nelle pagine relative ai singoli interventi.

Il dibattito continua:
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Elenco degli articoli già pubblicati su Coelum che affrontano l’argomento:
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  • Halton Arp e il mistero dei quasar contributi di Roberto Crippa e Cesare Guaita – Coelum n. 12
  • Siamo pronti per una nuova rivoluzione? di Riccardo Scarpa – Coelum n. 25
  • HST e la controversia sul Quintetto di Stephan contributi di Alberto Bolognesi, Halton Arp, Paolo Maffei e Giuseppe Galletta – Coelum n. 40
  • Gruppo di Stephan. Quintetto, quartetto o tripletto? di Alberto Bolognesi – Coelum n. 44
  • La scomparsa di Fred Hoyle contributi di Halton Arp, Francesco Bertola e Alberto Bolognesi – Coelum n. 46
  • Il Lensing Gravitazionale di Massimo Meneghetti e Lauro Moscardini – Coelum n. 48
  • The smoking gun. Una “prova” a favore delle teorie di Arp? di Alberto Bolognesi – Coelum n. 50
  • Sull’interpretazione dei dati sperimentali e l’esistenza della materia oscura di Riccardo Scarpa – Coelum n. 60
  • Editoriale estratto da un testo di Konrad Lorenz – Coelum n. 62
  • La Costante di Hubble. Dispute sull’età dell’Universo di Vojko Bratina – Coelum n. 65
  • La cosmologia negata di Alberto Bolognesi – Coelum n. 65
  • Un altro caso strano nel Quintetto di Stephan di Pasquale Galianni – Coelum n. 70
  • Quel quasar cambierà la Cosmologia? di Pasquale Galianni – Coelum n. 84
  • Secondo me quel quasar è “lontano” di Renato Falomo – Coelum n. 84
  • Quasar vicino o quasar lontano? Il dibattito continua di Renato Falomo, Pasquale Galianni – Coelum n. 86
  • Il punto su “La materia oscura” di Gabriella Bernardi – Coelum n. 91
  • Il punto su “L’energia oscura” di Gabriella Bernardi – Coelum n. 92
  • Legge di Hubble o legge di Lemaître? di Rodolfo Calanca – Coelum n. 99
  • Una prova “definitiva” sull’esistenza della Materia Oscura. Oppure no? di Riccardo Scarpa – Coelum n. 100
  • Considerazioni sul “Bullet Cluster”, la prova definitiva sull’esistenza della materia oscura? di Massimo Meneghetti – Coelum n. 101
  • Milton Humason: da conduttore di muli a investigatore del cosmo profondo di Rodolfo Calanca – Coelum n. 113
  • Il Codice Celeste di Alberto Bolognesi – Coelum n. 119, 120, 121, 122
  • Sta per iniziare l’era di PLANCKCoelum n.127
  • Nuova misura della Costante di Hubble di Claudio ElidoroCoelum n. 130
  • Cosmologia, l’utopia realizzata di Alberto BolognesiCoelum n. 133
  • Scontro tra universi di Yurij CastelfranchiCoelum n. 134
  • SEEING RED L’universo non si espande di Halton ArpCoelum n.135 – Gennaio 2010
  • Sicuri di sapere quanto è grande l’Universo? di Alberto Cappi Coelum n.140 – 2010
  • Le inchieste di Coelum: la scommessa di Martin Rees di Autori Vari Coelum n.142 – 2010
  • Un punto a favore della Teoria cosmologica MOND di Elena Lazzaretto Coelum n.147 – 2010
  • Hubble sotto attacco di Alberto CappiCoelum n.152 – 2011
  • Il mistero delle galassie a guscio di Alberto CappiCoelum n.157 – 2012
  • Galassie a guscio e redshift anomali. Alcune considerazioni in risposta alle obiezioni di un discepolo di Halton Arp di Alberto CappiCoelum n.161 – 2012
  • Plank ovvero l’universo svelato di Caludio ElidoroCoelum n.170 – 2013

I numeri arretrati sono acquistabili subito:

Asteroidi: Regine d’Egitto e mogli di Re inca. Opposizioni da favola!

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Segui i progressi e partecipa anche tu per entrare nel Club dei 100 asteroidi!
asteroidi - mappa kleopatra
Nel mese di novembre l'asteroide (216) Kleopatra si muoverà nel Toro, in direzione delle stelle xi e omicron, raggiungendo l'opposizione geometrica (e la massima luminosità) il giorno 15, mentre la minima distanza verrà raggiunta il 12 novembre.

Segui i progressi e partecipa anche tu per entrare nel Club dei 100 asteroidi!

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Anche questo mese la rubrica ha trovato facilmente la sua regina. Certo, in questo caso il nome ha aiutato, ma sentirete tra poco che il titolo, dovuto anche per motivi prettamente astronomici, è del tutto meritato.

Sto parlando di (216) Kleopatra, e immagino che la storia di questo asteroide sia ormai bene conosciuta dai miei lettori; anche perché, per effetto della notorietà di cui gode per la sua forma così strana, quasi ogni sua opposizione viene commentata anche su questa rivista. Comunque, per riassumere brevemente, Kleopatra fu scoperto il 10 aprile 1880 a Pola dall’astronomo austriaco Johann Palisa, ma fu solo negli scorsi anni Ottanta che la sua disordinata curva di luce suggerì l’ipotesi che fosse formato da due asteroidi praticamente a contatto; il che fu poi confermato nel 1999 all’Osservatorio cileno di La Silla quando il 3,5 metri, assistito da un sistema di ottica adattiva, permise di risolverlo nella famosa forma a “osso di cane” ribadita da alcune modellizzazioni realizzate su immagini radar ottenute ad Arecibo. […]

EFFEMERIDI
di NOVEMBRE

Luna

Sole e Pianeti

Comete

Asteroidi

Difficile crederlo, ma esiste anche un altro grande asteroide che si comporta allo stesso modo (di Bamberga, vedi Coelum 173 e 174), e per di più negli stessi anni! Sto parlando di (505) Cava, un pianetino di discrete dimensioni scoperto il 21 agosto 1902 dall’allora giovane astronomo americano Royal Harwood Frost (1879-1950), distaccato per conto dell’Harvard University alla stazione astronomica di Arequipa (Perù). […]

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.175.

In difesa delle cosmologie alternative

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In difesa delle cosmologie alternative

di Alberto Bolognesi

Egregio dottor Cappi,

se bastasse un bigino per archiviare in tre puntate (Coelum 171, 172, 173) una controversia che ha impegnato per tutta la vita astronomi del calibro di Eleanor Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge e Halton Arp, allora le sue osservazioni in Alta Provenza sarebbero sulla bocca di tutti. Ma se “i lettori alle prime armi” a cui lei si rivolge desiderano farsi un’opinione meno angusta e più rispettabile delle interpretazioni cosmologiche alternative, possono andarsi a cercare nel web la “Open Letter to the Scientific Community” apparsa sul New Scientist del 22 aprile 2004 per trovarvi, con le motivazioni, anche un gran numero di nomi sorprendenti. Se poi non temono lo choc culturale, possono leggere le ultime esternazioni di Margherita Hack (“Il perchè non lo so”, Sperling & Kupfer, 2013) in cui la nostra scienziata, dopo sessant’anni di articoli, libri e conferenze a sostegno del Big Bang, si consegna a un universo infinito nel tempo e nello spazio, “che sempre è esistito e sempre esisterà”.

Lei non avrebbe mai dovuto trattare in modo così sommario e superficiale alcuni dei più noti (e non risolti) casi di redshift discorde. Quando, eludendo anche la sintassi, afferma che “il Quintetto di Stephan è un caso risolto e che non c’è in questo caso alcun redshift anomalo”, proprio i lettori alle prime armi meriterebbero di capire perchè è così facile spiegare discordanze di 1000 km/s (NGC 7318 A e B, NGC 7320 C) e così difficile accettarne dell’ordine di 5000 km/s (NGC 7320).

Nell’inverosimile concentrazione di “scherzi di prospettiva” che si accaniscono sul Gruppo di Stephan dal 1960, è scandaloso che non trovi nemmeno una menzione il quasar con z=2.11 scoperto in prossimità del nucleo di NGC 7319 (ApJ, 620, 2005), né il filamento luminoso in Ha con redshift equivalente a 6500 km/s che si staglia senza troncature sul disco di NGC 7320 (785 km/s), filamento che dovrebbe allora trovarsi DIETRO, non DAVANTI alla galassia presunta di primo piano (Gutierrez, Corredoira, Prada e Eliche, ApJ, 579, 2002). Evidentemente per chi si è inventato un’intera scienza moltiplicando incondizionatamente gli spostamenti verso il rosso per la velocità della luce, è del tutto naturale far passare per scoperta l’ipotesi di un “intruder” periodico in grado di rinfocolare le violente interazioni che si osservano nel Quintetto. Se intende promuovere la congettura a scoperta scientifica per il fatto che è stata suggerita da un ex-collaboratore di Arp (J. Sulentic), allora non solo i lettori alle prime armi potrebbero cominciare a storcere il naso.

Poiché mi aspetto che Coelum tuteli l’integrità della mia replica ma non lo spazio che necessiterebbe per dibattere gli altri casi così grossolanamente abbozzati, mi limiterò a una foto che compare a pag.21 del numero 171 che merita assolutamente una precisazione. Vi sono mostrate con altri oggetti le due galassie NGC 191 e IC 1563 che sono note da molto tempo per avere all’incirca lo stesso redshift z=0.020. Nella caption si legge però che “è bastato all’autore dell’articolo di prendere una misura precisa dei due redshift per avere una perfetta corrispondenza nella velocità di recessione dei due oggetti, e ciò a fronte di una letteratura che da anni catalogava l’oggetto (?) Arp 127 come un caso di redshift anomalo”. Se presumo che sia lei l’autore di questa didascalia, devo domandarle di che parla e a quale “letteratura” fa riferimento. Arp descrive questa configurazione nel suo Atlas (che non è una raccolta di oggetti “singoli”) semplicemente come “close and perturbing galaxies”: vogliamo allora evidenziare con una freccia a beneficio dei lettori che non intendono confondere i redshift anomali con gli errori di Catalogo qual’è il terzo oggetto con mag.18.3 (di cui Arp non parla) e con redshift z=0.046 equivalente a 13652 km/s?

Dopo il “mistero” delle galassie a guscio segnalato nei Pesci (Coelum 157, 161, 163, 165), le scie congruenti di materia così ben fotografate nel Quintetto di Stephan (Coelum 171 pag.17) e ora con la segnalazione dell’oggetto (APMUKS – BJ – BOO 3628.87.091656.7) nel campo di NGC 191 e IC 1563 (Arp 127), il suo “prontuario” contro le interpretazioni alternative sta diventando sempre più contraddittorio! E quando fraseggia “che si limita a togliere qualsiasi significato alle argomentazioni di Arp cominciando col dire che la distanza cosmologica degli ammassi di Abell è del tutto corrispondente al redshift delle componenti” (Coelum 172 pag.23), o gli scostamenti che si riscontrano sono reali o lei parla a casaccio. E’ del tutto ovvio che il redshift degli ammassi equivale a una distanza solo se la loro distanza corrisponde ai redshift che si rilevano, ma perfino i più inflessibili paladini della legge di Hubble ammettono qui deviazioni dell’ordine di 30000 km/s!! La conclusione evidente è che sebbene gli ammassi con galassie meno luminose tendono ad avere redshift più alti, non c’è l’ombra di una relazione di proporzionalità redshift-magnitudine apparente che possa legittimare un rapporto lineare con la distanza stessa di quegli ammassi (“Seeing Red”, H. Arp, pag.198).

L’invalidabilità osservativa della relazione di Hubble ha conseguenze drammatiche sulla genesi delle galassie e sulla loro distribuzione in ammassi. La più rilevante è che i nuclei stessi diventano meramente i luoghi di formazione della materia cosmica. Se la materia non proviene da un unico punto (Big Bang), allora deve provenire da tutti i punti: qual’è dunque il meccanismo universale e apparentemente ininterrotto che commuta il freddissimo “vuoto cosmico” in nascenti galassie e quasar? Sono questi solo alcuni fra i temi “tabù” dibattuti nel salotto californiano dei Burbidge a La Jolla, una specie di Radio Londra sulla Pacific Coast a cui partecipavano scienziati, intellettuali e appassionati di mezzo mondo.

Lei può alterare solo con un falso la condivisione profonda che ha legato per tutta la vita Geoff, Margaret e lo stesso Fred Hoyle a “Chip” Arp, per il quale i quasar e le galassie non si trovano alla distanza dei loro spostamenti spettrali. Nessuno di questi astronomi ha mai creduto al primo giorno della Creazione (Hoyle la chiamava “un’idea da preti”) e tantomeno che la radiazione di Penzias e Wilson rappresenti il residuo “fossile” di un’atavica esplosione che avrebbe originato dal nulla l’intero universo. Contrariamente a quanto lei lamenta a proposito delle tesi di Arp, è proprio la fisica dell’ ”inizio” che è completamente scollegata da ogni fisica. Se adesso questa radiazione non rappresentasse nemmeno”l’inizio dell’universo nella sua totalità”(Coelum 173, pag.17), è la stessa cosmologia del XX secolo che cede di schianto.

Alberto Bolognesi

> Leggi la Replica di Alberto Cappi

Dostoevskij a Monte Palomar

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Dostoevskij a Monte Palomar

di Enrico Biava

Spettabile redazione di Coelum,

mi permetto di fare alcune critiche ad un vostro collaboratore che in un articolo sulle cosmologie alternative metteva a confronto in modo ingenuo e un po’ goffo l’astronomo Halton Arp con il filosofo Aristotele, basandosi sul semplice fatto che entrambi  sono sostenitori di un universo considerato esistente da sempre. Essere paragonato ad Aristotele, uno dei più grandi geni dell’umanità, è tuttavia motivo di orgoglio e non di vergogna come invece traspare dall’articolo del vostro collaboratore. Il filosofo greco infatti si è occupato, durante tutto il corso della sua vita di logica, di metafisica, di biologia, di politica, di etica e anche di fisica. Il paragone però non è dei più felici perché Aristotele, come tutti i pensatori vissuti in quell’epoca lunghissima che va dall’antica Grecia fino alla metà del XIX secolo, pensa alla scienza come a qualcosa di vero e incontrovertibile. Nel medesimo segno dell’incontrovertibilità viene pensato il sapere scientifico anche da Copernico, Galileo e Newton. “Hypotheses non fingo” affermava con forza lo scienziato inglese.

Arp invece è figlio della rivoluzione epistemologica che considera la scienza come una disciplina ipotetica e controvertibile. Da qui la cura che l’astronomo americano ha sempre avuto per il calcolo delle probabilità. E’ importante notare che ogni sua ipotesi scientifica è sempre stata accompagnata da un accurato calcolo statistico. E’ però necessario dire che non tutti gli scienziati contemporanei hanno accettato tale rivoluzione epistemologica. Per esempio, Stephen Hawking crede ancora oggi che la scienza sarà presto in grado di farci conoscere “la mente di Dio”. Gli stessi Albert Einstein e Fred Hoyle, scienziati così diversi tra loro, non pensavano affatto che le teorie scientifiche fossero delle congetture. Il raffinatissimo pensiero epistemologico di Arp è dovuto da una parte alla sua onestà intellettuale e scientifica, dall’altra agli studi da lui compiuti e al clima culturale che respirava in casa.

La prima volta che io andai a trovare Arp a Monaco di Baviera, mi stupì per la vastità della sua cultura nei diversi campi del sapere come la filosofia, l’arte, la musica e la letteratura. Sapendo egli che mi occupavo di filosofia, mi chiese cosa pensassi del libro di Percy Bridgman intitolato “la logica della fisica moderna” e fu molto felice quando seppe che io avevo un’alta considerazione di tale opera e più in generale della corrente “operazionista”. L’operazionismo infatti non crede che la scienza indichi la verità ma pensa che la prassi e l’operare scientifico costruiscano in modo congetturale il sapere umano.

Posso quindi affermare con cognizione di causa che Arp è l’unico uomo di scienza da me conosciuto in grado di possedere competenze filosofiche di vasto respiro. Egli è riuscito a cogliere il nocciolo di quella radicale rivoluzione realizzata dal cosiddetto “pensiero negativo” nel corso  del XIX e XX secolo.

Mi riferisco in primo luogo alla critica che pensatori diversissimi tra loro come Leopardi, Dostoevskij, Nietzsche e Mach hanno portato all’idea di verità incontrovertibile. Forse si tratta di un semplice caso, eppure Arp durante gli studi universitari compiuti a Harvard, aveva studiato a fondo il capolavoro di Fedor Dostoevskij “I fratelli Karamazov”. Dostoevskij lungo tutto il suo percorso culturale e letterario lottò con veemenza contro ciò che lui chiamava “il muro di pietra”, vale a dire l’idea che potesse esistere una verità incontrovertibile.

“Due più due uguale quattro è la morte” diceva il grande scrittore russo. “Due più due uguale quattro” smetteva di essere verità e diventava una semplice ipotesi di lavoro. Si può quindi affermare che Arp sia diventato per l’astronomia e per la cosmologia ciò che Dostoevskij e Nietzsche sono stati per la letteratura e per la filosofia. Mentre la stragrande maggioranza degli astronomi e dei cosmologi considera la legge di Hubble come un dogma, Arp al contrario considera tale legge un “muro di pietra” da abbattere. La rottura con l’idea di incontrovertibilità presente nel pensiero di Aristotele non potrebbe essere più radicale.

A proposito: la prassi consolidata di dividere gli scienziati e gli intellettuali tra ortodossi ed eretici è basata proprio sull’idea aristotelica di verità. Il rogo degli eretici non ci sarebbe mai stato senza questa idea. Il “muro di pietra” della verità incontrovertibile è la struttura su cui si basa quello che noi oggi chiamiamo “pensiero unico”.

Auguriamoci che la futura generazione di astronomi e di cosmologi sia in grado, come Arp è riuscito a fare, di cogliere la crisi interna al sapere scientifico e di riuscire a contrastare ogni forma di sapere assoluto.

Cordiali saluti,

Enrico Biava, co-curatore dell’edizione italiana di Seeing red

P.S. Il filosofo Friedrich Nietzsche affermava che non esistono “fatti” ma solo “interpretazioni”. Impedire la libera circolazione delle diverse interpretazioni privilegiandone una sola significa precipitare nel totalitarismo.

Il totalitarismo scientifico-cosmologico dei giorni nostri tende a promuovere un’interpretazione unica che pensa se stessa come verità. E se l’interpretazione diventa unica, essa cessa di essere interpretazione per diventare “il muro di pietra” di cui parlava Dostoevskij.

Un intelligente “allievo” di Nietzsche come Michel Foucault aveva capito che “il potere più che dall’esercizio repressivo-punitivo, trae la sua forza da meccanismi di censura e gratificazione in grado di avvalersi della connivenza dei sottomessi”. Tale analisi fenomenologica è validissima anche per la “microfisica del potere” presente nella prassi scientifica che oggi si attua sia nei grandi Osservatori astronomici che nelle piccole riviste specializzate.


Risposta di Alberto Cappi

Caro Sig. Biava,

la ringrazio per aver letto i miei articoli e per avermi inviato copia della sua lettera a Coelum.
Penso ci sia un equivoco: lei mi critica perché avrei paragonato “in modo ingenuo e un po’ goffo” Arp ad Aristotele. Le assicuro che il paragone non voleva essere irrispettoso. Ho, come lei, la massima stima di Aristotele, che è stato uno dei grandi geni della storia umana, e a riprova di ciò, e di cosa penso di certe affermazioni “filosofiche” di scienziati anche illustri, la invito a leggersi la mia recensione al libro di Hawking e Mlodinow, pubblicato sul Giornale di Astronomia e visualizzabile su questo sito.

Le assicuro anche che ho il massimo interesse e rispetto verso la filosofia, e la sua lettera presenta degli spunti interessanti su temi molto importanti e profondi. Mi lasci solo notare che a mio parere il “rogo degli eretici” non è una conseguenza dell’idea aristotelica di verità: pensando ad Ipazia, Giordano Bruno e tanti altri è chiaro che sono il fanatismo religioso e quello ideologico ad aver mietuto innumerevoli vittime.

Ma per quanto questi problemi siano profondi e interessanti, alla domanda se le galassie si trovino o no alla distanza che si deduce dal loro redshift assumendo che l’universo sia in espansione non possiamo rispondere attraverso la filosofia, ma solo attraverso il metodo scientifico. E tutte le numerose misure indipendenti confermano che le galassie si trovano alla distanza corrispondente al loro redshift: la legge di Hubble è dunque non un dogma ma un risultato delle osservazioni (benché nei modelli cosmologici relativistici sia effettivamente una conseguenza dell’ipotesi di omogeneità e isotropia dell’universo).

Le assicuro infine che l’idea di un totalitarismo scientifico-cosmologico è quanto di più lontano possa esserci dalla realtà dei fatti: credo non vi siano mai state in cosmologia tante ipotesi e teorie concorrenti come quelle che circolano attualmente (benché tutte riconoscano la validità della teoria del Big Bang).

Certo, nessuna teoria è mai definitiva e nessun sapere è assoluto, concordo con lei. Ma non tutti i saperi sono equivalenti o hanno uguale probabilità di rivelarsi corretti, e non vi può essere alcun progresso adottando quello che mi piace chiamare il “relativismo assoluto”. La Terra è sferica, non piatta, e le stelle non sono puntini luminosi attaccati ad una sfera celeste: non credo che neppure lei voglia mettere in discussione queste affermazioni. Ebbene, il fatto che più grande à il redshift, maggiore è la distanza di una galassia, è un’osservazione più complicata che richiede un bagaglio di conoscenze maggiore rispetto alle prove che la Terra è sferica: ma il “livello di incertezza” nei due casi, mi creda, è molto simile, anche se Arp non vuole ammetterlo.

La saluto cordialmente,

Alberto Cappi

Unione Astrofili Bresciani Lumezzane (Brescia)

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08.11: ”La radioastronomia e i radiotelescopi ”.

Per info: osservatorio@serafinozani.it
www.astrofilibresciani.it

Planetario e Osservatorio Astronomico di Cà del Monte

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08.11: “Navigando tra le acque del mare celeste (Pesci, Balena, Acquario, Eridano, Delfino)”.

Se siete interessati a una data non ancora pubblicata, info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it

Gruppo Amici del Cielo

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08.11: “Astronomia dei Maya” di Valentina Bruschetti.

Per info e iscrizioni: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Osservatorio Astronomico di Roma – INAF

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08.11: “La Teoria della Relatività….ovvero perchè Einstein è così famoso!” di Gianluca Li Causi.

Info: Tel. 06 94286427 – diva@oa-roma.inaf.it
www.oa-roma.inaf.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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08.11: “Ison, una Grande Cometa nel cielo di novembre” di Gianpietro Ferrario.

Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Associazione Astrofili Centesi

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08.11: “Favole dal cielo: Andromeda e Perseo, un fantastico viaggio tra scienza e mitologia.”. Al telescopio: Un tour su tutti gli oggetti principali delle costellazioni di Cassiopea, Andromeda e Perseo.

Per info: 346.8699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Comete: Lovejoy ed Encke due inaspettate comete binoculari

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comete - cartina lovejoy encke
Le due comete più brillanti del mese (a parte ovviamente la ISON, di cui parliamo in un articolo dedicato, vedi Sommario del n. 175 online) saranno anche così veloci, specialmente la Lovejoy, da coprire decine di gradi nel corso del loro spostamento. Questo impedisce ovviamente di fornire ai lettori delle cartine molto dettagliate per la loro ricerca (quella che vedete qui in alto è solo indicativa) e pretende che si usino le effemeridi calcolate giorno per giorno pubblicate online (cercatele al link nel riquadro in basso a destra).

EFFEMERIDI di NOVEMBRE

Disponibili ONLINE nella sezione “Cielo del mese”, nelle relative rubriche, e ai link seguenti:

Voglio innanzi tutto congratularmi con Terry Lovejoy per la scoperta della sua quarta cometa. Davvero un grande risultato, soprattutto in tempi come questi, in cui i sistemi automatizzati hanno il sopravvento sulle scoperte individuali.

La C/2013 R1 (Lovejoy), scoperta il 9 settembre scorso, è una cometa che io stesso ho avuto modo di confermare quando è stata inserita tra i NEOCP (NEO Confirmation Page: la lista di oggetti appena scoperti e in attesa di definizione degli elementi orbitali) e che in queste settimane si sta dimostrando parecchio attiva, molto più di quanto ci si potesse aspettare. A novembre, per osservarla dovremo cercarla nel cielo nella seconda parte della notte, quando attraverserà velocemente numerose costellazioni dal Cancro al Boote spostandosi più di 3° al giorno e passando dalla magnitudine +8,5 alla +6,5 […].

La seconda cometa binoculare del mese è una vecchia conoscenza; anzi, possiamo ben dire che si tratta della più vecchia conoscenza che abbiamo tra le comete periodiche, dopo la Halley. Stiamo infatti parlando della 2P/Encke, l’inossidabile oggetto che orbita attorno al Sole ogni 3,3 anni, regalandoci talvolta degli avvicinamenti alla Terra che la portano anche alla visibilità ad occhio nudo (come nel 1805 e 1829) o a magnitudini intorno alla +5 (nel 1964) e +6 (nel 1997). Quest’anno sembra che la Encke potrà arrivare nel periodo del perielio (21 novembre) fino alla mag. +5 […].

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 72 di Coelum n.175.

Il Cielo del Mese – Il Cielo di Novembre

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Il cielo del mese cartina Novembre
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 novembre > 01:00 15 novembre > 00:00 30 novembre > 23:00

EFFEMERIDI di NOVEMBRE

Disponibili ONLINE nella sezione “Cielo del mese”, nelle relative rubriche, e ai link seguenti:

Le notti si allungano e assumono già una certa caratteristica invernale, compensata però da una maggiore limpidezza del cielo. Cielo che verso le 21:00 sarà già completamente scuro (la notte astronomica inizia intorno alle 18:30), così che in presenza di buone serate ci saranno a disposizione diverse ore per godere delle costellazioni autunnali e dei più “alti” in declinazione tra i declinanti asterismi estivi. Verso la mezzanotte si avvicinerà al “mezzocielo superiore” (il punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano, che alle nostre latitudini è situato a circa 48° di altezza) l’inconfondibile Orione, accompagnato da Toro, Gemelli e Cane Maggiore. Più in basso, il meridiano sarà attraversato dalla estesa ma debole costellazione dell’Eridano, mentre più in alto transiteranno le Pleiadi. Cigno e Pegaso saranno al tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo il Leone.

All’inizio di novembre il Sole si troverà ancora nella costellazione della Bilancia e solo il giorno 23 entrerà nello Scorpione, in cui si “fermerà” soltanto una settimana. L’eclittica, infatti, passa nella parte alta di questa figura celeste e l’attraversa solo per un breve tratto, tanto che il giorno 30 il Sole sarà già nella costellazione di Ofiuco. Nel corso del mese continuerà la discesa della nostra stella verso declinazioni e culminazioni al meridiano sempre più basse. Alle ore 0:00 del 1 novembre la sua declinazione sarà di –14,3°, mentre alle stessa ora del 1 dicembre avrà già raggiunto i –21,7°: questo si tradurrà in una perdita del periodo di luce (variabile secondo la latitudine) di circa 1 ora. La notte astronomica, pertanto, comincerà in media verso le 18:30 e terminerà alle 5:30 circa.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione di Sole, Luna e pianeti, con tutte le immagini, nella Rubrica Il cielo di novembre di Luigi Becchi e Remondino Chavez presente a pagina 58 di Coelum n.175.

ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani

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Questi gli appuntamenti mensili.
UAI con SKYLIVE Una Costellazione sopra di Noi – Il Primo venerdì di ogni mese, a cura di Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI).
07.11: La Costellazione dei Pesci.
SKYLIVE con UAI Rassegnastampa e cielo del mese – Quarto giovedì del mese a cura di Stefano Capretti.
www.skylive.it
www.uai.it

Al Planetario di Ravenna

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05.11: “In viaggio verso Orione” di M. Berretti.

Per info: tel. 0544-62534 – E-mail info@arar.it
www.racine.ra.it/planet/index.html – www.arar.it

EXMA’ CAGLIARI 5/10 NOVEMBRE

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Eventi: Calendario giorno per giorno disponibile online.
Tra seminari, dibattiti, conferenze, spettacoli, animazioni, laboratori etc…

Laboratori interattivi: Per tutta la durata del Festival saranno disponibili laboratori interattivi di: fisica,
matematica, biologia, chimica, geologia etc…

Mostre permanenti: Potrete ammirare splendidi “oggetti” di fisica e matematica o osservare dei pannelli
di storia della scienza.

Exhibit:
Sarà presente nel piazzale dell’Exmà una vera postazione di meteorologia

Visite guidate:
In occasione del Festival sarà possibile visitare alcune delle mostre più interessanti della città

PROGETTO: “L’ABC dell’Universo”.
Un progetto appositamente realizzato per il Festival dall’Osservatorio Astronomico di Cagliari.

www.festivalscienzacagliari.it – www.scienzasocietascienza.eu

Gruppo Amici del Cielo

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05.11: “Elaborare le immagini astronomiche – Parte II”.

Per informazioni e iscrizioni:
didattica@amicidelcielo.it.
www.amicidelcielo.it

Gruppo Amici del Cielo

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05.11: “Elaborare le immagini astronomiche, II. Conferenze aperte al pubblico. presso la Biblioteca Civica di Verano Brianza (MB), inizio ore 21:00

Per info e iscrizioni: didattica@amicidelcielo.it
www.amicidelcielo.it

Impatto lunare

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Immagini del flash. La serie di fotografie riprese nello stesso istante (1 agosto 2013 alle 02:21:55.7 UT) da quattro diversi telescopi che mostrano il flash luminoso: da sinistra a destra, da Andrea Manna (Cugnasco, Svizzera, con un riflettore di 200 mm), Raffaello Lena (Roma, con un rifrattore di 130 mm) e Stefano Sposetti (Gnosca, Svizzera, rispettivamente con un rifrattore da 150 mm e un riflettore di 280 mm). La sovrapposizione tra le immagini indica inoltre che il flash non manifesta una parallasse misurabile, nonostante la base assai lunga tra Roma e il Canton Ticino (maggiore di 500 km).

Registrazioni simultanee di un flash in Italia e Svizzera che supportano un impatto sul suolo lunare occorso il 1 agosto 2013

La possibilità di poter osservare, e documentare, eventi straordinari è uno degli aspetti più interessanti da un punto di vista astronomico. Tra questi, un evento spettacolare e raro è rappresentato, senza ombra di dubbio, dall’osservazione della collisione tra corpi celesti, come avvenuto per la seconda volta in quindici anni, sul più grande dei pianeti del nostro sistema solare: Giove. Nel corso del 1994, quando avvenne l’impatto dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9, molti lettori non avevano probabilmente cominciato la loro attività di astrofilo.

Più recentemente, il 19 luglio 2009, l’astrofilo australiano Anthony Wesley scoprì sul pianeta gassoso una nuova formazione scura, provocata dalla collisione di un’asteroide o una cometa. Anche noi riuscimmo a produrre varie immagini documentando al meglio questi avvenimenti: in particolare la forma e l’estensione della macchia, localizzata alle alte latitudini meridionali di Giove. L’assidua e costante osservazione di questi fenomeni può rappresentare un campo di interesse scientifico particolarmente fertile per l’astrofilo. Grazie poi anche alla diffusione di Internet queste osservazioni vengono scambiate e condivise fra gruppi di astrofili.

Ma gli impatti non sono poi così rari nell’universo, e un altro esempio è rappresentato dalla Luna. Il nostro satellite, come avvenuto in modo più intenso e devastante miliardi di anni fa, subisce ancor oggi impatti di meteoroidi. Anni orsono la NASA, tramite il MEO (Meteoroid Environment Office, Marshall Space Flight Center) ha fatto presente la possibilità di osservare questi fenomeni sulla Luna appunto, semplicemente con l’uso di un piccolo telescopio e una telecamera. Il MEO ha già registrato oltre trecento flash e l’ultimo impatto ufficialmente pubblicato risale al 17 marzo scorso.

La ricerca dei flash originati da impatti di meteoroidi sulla porzione di superficie lunare non illuminata dal Sole, tramite osservazione visuale, era già stata proposta fin dal 1939 da Walter Haas, fondatore dell’ALPO (Association of Lunar and Planetary Observer). La ricerca di questi eventi, purtroppo caratterizzata da numerosi insuccessi, ha ricevuto però una nuova attenzione dopo i primi risultati ottenuti negli Stati Uniti nel corso del 1999, con la registrazione da parte di diversi osservatori di probabili impatti. La notte del 18 novembre di quell’anno, durante il massimo delle sciame delle Leonidi, David Dunham dello IOTA (International Occultation Timing Association), con una telecamera collegata al suo telescopio, registrò una serie di flash di magnitudine visuale stimata fra la 3 e la 7. Questi eventi furono anche registrati simultaneamente dai colleghi dell’ALPO. Nel corso degli anni successivi sono stati riportati altri risultati positivi, in particolare da monitoraggi condotti da gruppi di ricercatori in Spagna ed in Giappone, che numerosi risultati di singoli osservatori; quest’ultimi rimasti però privi di conferme.

Nei primi anni del nuovo millennio alcuni di noi iniziarono a dedicarsi alla ricerca di impatti di meteoroidi sulla Luna, aggiungendo questo nuovo campo alla loro abituale attività di ricerca astronomica (Stefano Sposetti nel campo delle occultazioni asteroidali e nella ricerca di pianetini, e Raffaello Lena nello studio sui domi lunari associati alla loro classificazione). Questi studi preliminari, in accordo con quanto proposto da W. Haas, suggerirono che un impatto lunare deve essere confermato da almeno un secondo osservatore distante qualche decina di chilometri. Nel corso dei monitoraggi, come quelli effettuati dal nostro team, è necessario che le registrazioni video soddisfino i due fondamentali criteri di contemporaneità e di stessa localizzazione sul suolo lunare. Questi due fattori sono la premessa per poter assegnare il label di “probabile impatto” alla visione di un flash luminoso.

I raggi cosmici sono particelle, principalmente protoni ed elettroni, che viaggiano a velocità vicine a quelle della luce. Dalla collisione con gli atomi degli strati superiori dell’atmosfera, essi producono particelle secondarie rilevabili dalle matrici CCD. La maggior parte dei raggi cosmici lasciano un segnale puntiforme rilevabile in un frame o, in alcuni casi, sono registrabili come doppietti o più raramente tripletti, o dalle forme atipiche a “ L” o “S”. Anche la radioattività naturale, circostante il sito osservativo, è in grado di produrre segnali luminosi sui sensori CCD.

Questo aspetto, per quanto semplice possa sembrare, è fondamentale, così come lo è la sincronizzazione delle riprese da siti diversi. Per avere la ragionevole certezza di un impatto lunare è infatti necessario escludere altre cause, quali i segnali spuri causati dalla riflessione della luce solare da parte di satelliti che vagano sempre più numerosi nello spazio, eventuali meteore che dovessero impattare “head-on” contro l’atmosfera terrestre, e soprattutto i raggi cosmici che, colpendo il sensore, generano lampi luminosi anche in condizioni di completa oscurità (come verificabile dalle prove di “dark test”, cioè con camere CCD accoppiate a telescopi tappati, vedi box a lato).

L’eventuale transito di satelliti può essere verificato attraverso appositi programmi o, ad esempio, via web, attraverso il servizio offerto da Calsky, di Arnold Barmettler. Per approfondimenti i lettori interessati potranno trovare ulteriori dettagli e spiegazioni sui segnali spuri nel capitolo 11 “Spurious flash or true impact event?” (scritto da uno di noi, R. L. con il GLR group e l’American Lunar Society) nel libro di B. Cudnick dal titolo “Lunar Meteoroid Impacts and how to observe them”, pubblicato da Springer nel 2009.

Il nostro team, costituito da tre postazioni osservative in Svizzera (Marco Iten, Andrea Manna e Stefano Sposetti) e una a Roma (Raffaello Lena), da tempo esegue riprese simultanee facendo proprio il criterio fondamentale della lunga distanza tra gli osservatori; nel nostro caso quella tra Roma ed il Canton Ticino, che è maggiore di 500 km. Infatti, in questa situazione è estremamente improbabile che un flash registrato simultaneamente e nello stesso luogo lunare possa essere di origine spuria. In Italia, negli anni passati, ci sono state alcune singole segnalazioni di flash senza alcuna conferma da parte di altri osservatori, e quindi non rientranti nei criteri di confidenza che è necessario adottare per questi eventi.

In Svizzera, negli anni 2011-12, erano stati identificati 13 probabili impatti da parte di M. Iten e S. Sposetti. Queste osservazioni erano state pubblicate sulla rivista on-line, Selenology Today, del GLR group.

Il flash osservato sulla Luna la mattina del 1 agosto 2013 funge da primo evento nazionale, poiché fino ad allora in Italia non era stato ancora registrato un flash da impatto che fosse confermato simultaneamente da altri osservatori.

Ecco la nostra strumentazione:

Strumentazione di Raffaello Lena (Roma) impiegata nel monitoraggio: rifrattore di 130 mm, con accanto il suo Mak-Cassegrain da 180 mm.

– Un rifrattore da 130 mm dotato di una camera Mintron MTV-12V1C-EX (25fps), che si trova a Roma (R. Lena);

– Un rifrattore da 150 mm ed un riflettore da 280 mm entrambi equipaggiati con una camera Watec 902H2 (25fps), situati a Gnosca, in Svizzera (S. Sposetti);

Strumentazione di Andrea Manna (Cugnasco, CH) impiegata nel monitoraggio: riflettore di 200 mm.

– Un riflettore da 200 mm dotato di una camera Watec 120N+ (25fps), situato a Cugnasco, in Svizzera (A. Manna).

Alle 02:21:55.7 UT, i quattro strumenti rilevano simultaneamente un lampo breve ed intenso.

Immagini del flash. La serie di fotografie riprese nello stesso istante (1 agosto 2013 alle 02:21:55.7 UT) da quattro diversi telescopi che mostrano il flash luminoso: da sinistra a destra, da Andrea Manna (Cugnasco, Svizzera, con un riflettore di 200 mm), Raffaello Lena (Roma, con un rifrattore di 130 mm) e Stefano Sposetti (Gnosca, Svizzera, rispettivamente con un rifrattore da 150 mm e un riflettore di 280 mm). La sovrapposizione tra le immagini indica inoltre che il flash non manifesta una parallasse misurabile, nonostante la base assai lunga tra Roma e il Canton Ticino (maggiore di 500 km).
Localizzazione del flash. Immagini sovrapposte con il bordo del disco lunare generato, dopo il calcolo delle librazioni, da due software: il Lunar Terminator Visualization Tool (LTVT) di Mosher e Bondo ed il Virtual Moon Atlas (VMA) di Legrand e Chevalley. La mappa indica le coordinate determinate a 73 ° ± 4 ° Est e 27 ° ± 3 ° Nord, nella regione vicino al cratere Seneca C.

Sovrapponendo le tre immagini, il punto luminoso non manifesta alcuna parallasse evidente, nonostante la base assai lunga tra Roma ed il Canton Ticino. La simultaneità delle osservazioni e la presenza del flash nella stessa posizione sulla superficie lunare indica che, con alta probabilità, l’evento registrato sia dovuto ad un impatto di un piccolo meteoroide. Lo strumento con maggiore apertura mostra il flash per una durata di circa 80 millisecondi; negli altri strumenti (più piccoli) il flash appare più breve. L’intensità di picco del flash è pari a circa 8 mag V. La verifica della presenza di eventuali satelliti terrestri lungo la linea di vista è negativa per un diametro di 3 gradi. Le coordinate del flash vengono determinate a 73 ° ± 4 ° Est e 27 ° ± 3 ° Nord, nella regione vicino al cratere Seneca C, a nord est del Mare Crisium.

Considerando l’attività meteorica di inizio Agosto, caratterizzata soprattutto dalle alpha-Capricornidi e dalle Perseidi, è probabile che l’oggetto che ha impattato la superficie lunare appartenga ad uno di questi due sciami, più probabilmente il primo considerando il massimo predetto per la notte del 30 luglio. In questo caso la velocità relativa di impatto di una tipica alpha-Capricornide si attesta attorno ai 23 km/s.

Curva di luce. Curva di luce del flash registrata dallo strumento di 280 mm. Ogni valore orizzontale corrisponde a 20 millisecondi.

Attraverso l’uso di modelli fisici che tengono conto della velocità di un meteoroide e dell’efficienza luminosa relativa alla trasformazione dell’energia cinetica in energia luminosa, è possibile stimare sia la massa del corpo impattante che il diametro del cratere formato. Le stime di questo tipo (che utilizzano la legge di Gault) sono ovviamente teoriche considerando le incertezze relative alla velocità dello sciame, la densità del corpo impattante e il valore dell’efficienza luminosa adottata. Comunque, considerando tutte queste incertezze, le stime eseguite indicherebbero che la massa del meteoroide potrebbe essere dell’ordine del chilogrammo ed il diametro del cratere dell’ordine di 1-10 metri; potrebbe quindi essere rilevato dal Lunar Reconnaissance Orbiter, per confronto con immagini ottenute in precedenza.

Dopo le prime comunicazioni apparse nel Lunar Photo of the Day (LPOD) dell’astronomo Charles Wood, e successivamente attraverso le pagine web del Lunar Pioneer, e nel notiziario dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), il nostro report è stato trasmesso alla dottoressa Danielle Moser, l’addetta del Marshall Space Flight Center della NASA, che si occupa di raccogliere questo tipo di segnalazioni. E’ stata fonte di soddisfazione ricevere la sua risposta, confermando che questa nostra osservazione sarà inclusa nella lista NASA, attraverso il Meteoroid Environment Office.


Eclisse parziale di Sole

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La cartina riassume le circostanze dell’eclisse parziale di Sole che, verso le 14:20 del 3 novembre (13:20 TU??? linea verde), interesserà le regioni meridionali del nostro paese. La linea gialla segna il confine più settentrionale della zona di penombra proiettata dal disco lunare (vedi anche alla pag. ??? la figura che ritrae l’andamento generale dell’eclisse, dove in rosso è tracciata la linea della totalità). A nord della linea non sarà possibile osservare nessuna sovrapposizione del disco lunare a quello solare, mentre a sud la percentuale di diametro apparente occultato aumenterà con il diminuire della latitudine. Le linee rosse parallele segnano i punti geografici da cui si osserva una identica percentuale di occultazione del disco solare. I valori, come si può notare, sono tutti molto piccoli e vanno da un minimo di 0 (dalla linea gialla in su) a un massimo di circa 0,08 (che dal punto di vista angolare equivale a una porzione di disco occultata di circa 2,4') nel punto più a sud della Sicilia.
La cartina riassume le circostanze dell’eclisse parziale di Sole che, verso le 14:20 del 3 novembre (13:20 TU linea verde), interesserà le regioni meridionali del nostro paese. La linea gialla segna il confine più settentrionale della zona di penombra proiettata dal disco lunare (vedi anche in basso la figura che ritrae l’andamento generale dell’eclisse, dove in rosso è tracciata la linea della totalità). A nord della linea non sarà possibile osservare nessuna sovrapposizione del disco lunare a quello solare, mentre a sud la percentuale di diametro apparente occultato aumenterà con il diminuire della latitudine. Le linee rosse parallele segnano i punti geografici da cui si osserva una identica percentuale di occultazione del disco solare. I valori, come si può notare, sono tutti molto piccoli e vanno da un minimo di 0 (dalla linea gialla in su) a un massimo di circa 0,08 (che dal punto di vista angolare equivale a una porzione di disco occultata di circa 2,4') nel punto più a sud della Sicilia.

Il primo in ordine di tempo, nella lista dei fenomeni del mese, sarà il 3 novembre un’eclisse parziale di Sole, che per quel ci riguarda sarà però osservabile soltanto nel meridione d’Italia. L’eclisse sarà vista come anulare e totale nell’Africa centrale, e quello che interesserà le nostre regioni sarà soltanto il limite nord della penombra. Come si può vedere dalla figura qui sopra, il confine della penombra passerà a sud di Roma, città da cui l’eclisse non sarà quindi visibile, mentre da gran parte del Sud si potrà seguire una piccolissima occultazione del disco solare, che anche all’estremo sud della Sicilia non supererà l’8% dell’intero diametro apparente.

Internet superveloce sulla Luna

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credit: NASA
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Questa sì che si chiama banda larga. Seicentoventidue Megabit al secondo in download, e 20 al secondo in upload. Se un operatore telefonico offrisse queste prestazioni sbaraglierebbe la concorrenza, che nella migliore delle ipotesi arriva a 100 Megabit per secondo. Se poi quella velocità di connessione viene raggiunta comunicando con una sonda che orbita attorno alla Luna, allora siamo davvero di fronte a un record storico. La NASA lo ha stabilito nei giorni scorsi, inviando informazioni in forma di luce laser alla sonda LADEE (Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer), che oltre a studiare l’atmosfera lunare ha a bordo lo strumento Lunar Laser Communication Demonstration (LLCD). L’esperimento vuole aprire la strada a una nuova tecnica di comunicazione con le sonde interplanetarie. Ad oggi si usano le onde radio per inviare e ricevere dati alle sonde. Ma più aumenta la distanza, più è necessario aumentare la potenza del segnale, e le dimensioni delle antenne usate per ricevere dati a Terra. Voyager 1, ormai fuori dalla spazio interstellare, viene “ascoltato” da un’antenna di ben 70 metri di diametro.

L’uso di impulsi di luce laser, cioè di un raggio di luce concentrato e “coerente”, sulla carta consente di trasmettere maggiori quantità di dati, più velocemente e con apparati meno ingombranti. Il trucco è riuscire a dirigere quel raggio con precisione su un ricevitore posto a una distanza enorme: in questo caso erano 380 mila chilometri dalla Terra, e parliamo “solo” della Luna che è il corpo celeste più vicino a noi. Basta che il raggio laser cada qualche centimetro più in qua o più in là e la comunicazione cade.

L’esperimento della NASA è andato a gonfie vele, riuscendo a trasmettere e ritrasmettere dalla Luna un segnale video ad alta definizione su due canali contemporanei. Il ricevitore posto su LADEE pesa la metà di un ricevitore radio tradizionale e usa un quarto dell’energia in meno.

I prossimi test dovranno stabilire quanto il sistema regga anche quando utilizzato durante il giorno (finora tutti i test sono stati condotti di notte), e come migliorare la sua efficienza quando la Luna è bassa sull’orizzonte, costringendo il segnale ad attraversare una parte maggiore di atmosfera terrestre, che introduce interferenze. LLCD è solo il precursore di un futuro progetto più ambizioso, il Laser Communications Relay Demonstration, che verrà lanciato nel 2017 e dovrà aprire la strada a un utilizzo in grande stile delle comunicazioni laser per le sonde interplanetarie.

Pio & Bubble Boy – Coelum n.175 – 2013

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Pio & Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 175
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Pio & Bubble Boy – Coelum n.174 – 2013

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Pio & Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 174
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