Il 24 ottobre ci accoglie una giornata radiosa e spostandoci 30 km a sud della capitale arriviamo al monastero di Khor Virap, che si staglia sullo sfondo del vicinissimo Ararat, alto 5137m, innevato e illuminato dal sole nascente.
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Ai piedi del monte fluttua una leggera nebbiolina rasoterra sui campi coltivati in rapido dissolvimento.
Questa visione vale il viaggio, siamo tutti a bocca aperta, non è frequente poter vedere così bene l’Ararat ci confida Karine! Mentre ci arrampichiamo sulla strada che conduce al monastero rimaniamo un po’ assorti ad osservare il monte appena oltre i confini turchi, segnalati da lunghe reti di filo spinato.
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Karine si siede su un muretto del monastero e ci racconta che il termine Ararat deriva da Urartu che indica il territorio in cui ebbe origine l’Armenia.
Il popolo armeno è definito anche “popolo dell’Ararat” ma non solo, Noè è molto venerato in queste zone e presso il tesoro di Etchmiadzin sono conservati alcune tavole di legno che la tradizione vuole appartengano all’Arca.
La stessa chiesa principale del monastero di Khor Virap ha una forma che ricorda quella dell’ Arca, caratteristica che possiedono le chiese armene del IV secolo e qui secondo la leggenda vi fu imprigionato per 13 anni San Gregorio l’Illuminatore in un profondo pozzo, fino a quando venne graziato dal re Tiridate III, convertito dallo stesso santo al Cristianesimo.
Anche noi ci caliamo nel pozzo da una pericolosa scala a pioli, un luogo piuttosto inquietante.
Giunge purtroppo il momento di abbandonare Khor Virap e i suoi panorami unici, anche se il nostro gruppo si fermerebbe volentieri lì ancora un po’, sopratutto Sergio e Bruno, entrambi esperti alpinisti, rimasti a lungo a fissare l’Ararat e a raccontarsi impegnative scalate.
Ci aspetta la prossima tappa di un’intensa tabella di marcia, il monastero di Noravank, al confine con la regione del Nakhchivan, appartenente all’Azerbaigian e cominciamo a salire di quota.