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In difesa delle cosmologie alternative

di Alberto Bolognesi

Egregio dottor Cappi,

se bastasse un bigino per archiviare in tre puntate (Coelum 171, 172, 173) una controversia che ha impegnato per tutta la vita astronomi del calibro di Eleanor Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge e Halton Arp, allora le sue osservazioni in Alta Provenza sarebbero sulla bocca di tutti. Ma se “i lettori alle prime armi” a cui lei si rivolge desiderano farsi un’opinione meno angusta e più rispettabile delle interpretazioni cosmologiche alternative, possono andarsi a cercare nel web la “Open Letter to the Scientific Community” apparsa sul New Scientist del 22 aprile 2004 per trovarvi, con le motivazioni, anche un gran numero di nomi sorprendenti. Se poi non temono lo choc culturale, possono leggere le ultime esternazioni di Margherita Hack (“Il perchè non lo so”, Sperling & Kupfer, 2013) in cui la nostra scienziata, dopo sessant’anni di articoli, libri e conferenze a sostegno del Big Bang, si consegna a un universo infinito nel tempo e nello spazio, “che sempre è esistito e sempre esisterà”.

Lei non avrebbe mai dovuto trattare in modo così sommario e superficiale alcuni dei più noti (e non risolti) casi di redshift discorde. Quando, eludendo anche la sintassi, afferma che “il Quintetto di Stephan è un caso risolto e che non c’è in questo caso alcun redshift anomalo”, proprio i lettori alle prime armi meriterebbero di capire perchè è così facile spiegare discordanze di 1000 km/s (NGC 7318 A e B, NGC 7320 C) e così difficile accettarne dell’ordine di 5000 km/s (NGC 7320).

Nell’inverosimile concentrazione di “scherzi di prospettiva” che si accaniscono sul Gruppo di Stephan dal 1960, è scandaloso che non trovi nemmeno una menzione il quasar con z=2.11 scoperto in prossimità del nucleo di NGC 7319 (ApJ, 620, 2005), né il filamento luminoso in Ha con redshift equivalente a 6500 km/s che si staglia senza troncature sul disco di NGC 7320 (785 km/s), filamento che dovrebbe allora trovarsi DIETRO, non DAVANTI alla galassia presunta di primo piano (Gutierrez, Corredoira, Prada e Eliche, ApJ, 579, 2002). Evidentemente per chi si è inventato un’intera scienza moltiplicando incondizionatamente gli spostamenti verso il rosso per la velocità della luce, è del tutto naturale far passare per scoperta l’ipotesi di un “intruder” periodico in grado di rinfocolare le violente interazioni che si osservano nel Quintetto. Se intende promuovere la congettura a scoperta scientifica per il fatto che è stata suggerita da un ex-collaboratore di Arp (J. Sulentic), allora non solo i lettori alle prime armi potrebbero cominciare a storcere il naso.

Poiché mi aspetto che Coelum tuteli l’integrità della mia replica ma non lo spazio che necessiterebbe per dibattere gli altri casi così grossolanamente abbozzati, mi limiterò a una foto che compare a pag.21 del numero 171 che merita assolutamente una precisazione. Vi sono mostrate con altri oggetti le due galassie NGC 191 e IC 1563 che sono note da molto tempo per avere all’incirca lo stesso redshift z=0.020. Nella caption si legge però che “è bastato all’autore dell’articolo di prendere una misura precisa dei due redshift per avere una perfetta corrispondenza nella velocità di recessione dei due oggetti, e ciò a fronte di una letteratura che da anni catalogava l’oggetto (?) Arp 127 come un caso di redshift anomalo”. Se presumo che sia lei l’autore di questa didascalia, devo domandarle di che parla e a quale “letteratura” fa riferimento. Arp descrive questa configurazione nel suo Atlas (che non è una raccolta di oggetti “singoli”) semplicemente come “close and perturbing galaxies”: vogliamo allora evidenziare con una freccia a beneficio dei lettori che non intendono confondere i redshift anomali con gli errori di Catalogo qual’è il terzo oggetto con mag.18.3 (di cui Arp non parla) e con redshift z=0.046 equivalente a 13652 km/s?

Dopo il “mistero” delle galassie a guscio segnalato nei Pesci (Coelum 157, 161, 163, 165), le scie congruenti di materia così ben fotografate nel Quintetto di Stephan (Coelum 171 pag.17) e ora con la segnalazione dell’oggetto (APMUKS – BJ – BOO 3628.87.091656.7) nel campo di NGC 191 e IC 1563 (Arp 127), il suo “prontuario” contro le interpretazioni alternative sta diventando sempre più contraddittorio! E quando fraseggia “che si limita a togliere qualsiasi significato alle argomentazioni di Arp cominciando col dire che la distanza cosmologica degli ammassi di Abell è del tutto corrispondente al redshift delle componenti” (Coelum 172 pag.23), o gli scostamenti che si riscontrano sono reali o lei parla a casaccio. E’ del tutto ovvio che il redshift degli ammassi equivale a una distanza solo se la loro distanza corrisponde ai redshift che si rilevano, ma perfino i più inflessibili paladini della legge di Hubble ammettono qui deviazioni dell’ordine di 30000 km/s!! La conclusione evidente è che sebbene gli ammassi con galassie meno luminose tendono ad avere redshift più alti, non c’è l’ombra di una relazione di proporzionalità redshift-magnitudine apparente che possa legittimare un rapporto lineare con la distanza stessa di quegli ammassi (“Seeing Red”, H. Arp, pag.198).

L’invalidabilità osservativa della relazione di Hubble ha conseguenze drammatiche sulla genesi delle galassie e sulla loro distribuzione in ammassi. La più rilevante è che i nuclei stessi diventano meramente i luoghi di formazione della materia cosmica. Se la materia non proviene da un unico punto (Big Bang), allora deve provenire da tutti i punti: qual’è dunque il meccanismo universale e apparentemente ininterrotto che commuta il freddissimo “vuoto cosmico” in nascenti galassie e quasar? Sono questi solo alcuni fra i temi “tabù” dibattuti nel salotto californiano dei Burbidge a La Jolla, una specie di Radio Londra sulla Pacific Coast a cui partecipavano scienziati, intellettuali e appassionati di mezzo mondo.

Lei può alterare solo con un falso la condivisione profonda che ha legato per tutta la vita Geoff, Margaret e lo stesso Fred Hoyle a “Chip” Arp, per il quale i quasar e le galassie non si trovano alla distanza dei loro spostamenti spettrali. Nessuno di questi astronomi ha mai creduto al primo giorno della Creazione (Hoyle la chiamava “un’idea da preti”) e tantomeno che la radiazione di Penzias e Wilson rappresenti il residuo “fossile” di un’atavica esplosione che avrebbe originato dal nulla l’intero universo. Contrariamente a quanto lei lamenta a proposito delle tesi di Arp, è proprio la fisica dell’ ”inizio” che è completamente scollegata da ogni fisica. Se adesso questa radiazione non rappresentasse nemmeno”l’inizio dell’universo nella sua totalità”(Coelum 173, pag.17), è la stessa cosmologia del XX secolo che cede di schianto.

Alberto Bolognesi

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