Per il trentesimo anniversario di una delle immagini più iconiche della missione Voyager, e osiamo di tutte le immagini provenienti dalle missioni di esplorazione del Sistema Solate, il Jet Propulsion Laboratory della NASA ha rilasciato una nuova versione dell’immagine nota come “pale blue dot” (punto azzurro pallido).
L’immagine aggiornata è stata ottenuta utilizzando moderni software e tecniche di elaborazione delle immagini, ma sempre nel rispetto dell’intento di coloro che hanno pianificato l’immagine. Come l’originale, la nuova visualizzazione a colori mostra il pianeta Terra come un singolo pixel blu brillante nella vastità dello spazio, dal comunicato NASA: “Raggi di luce solare sparsi all’interno dell’ottica della camera si estendono attraverso la scena, e uno di questi si è drammaticamente intersecato con la Terra”.
Si tratta di una immagine che riprende la nostra Terra, scattata il 14 febbraio del 1990, dalla sonda Voyager 1 quando si trovava a sei miliardi di chilometri di distanza. In quel momento la sonda aveva superato Nettuno, Plutone era lontano e non avrebbe più effettuato flyby ravvicinati attorno ad altri oggetti. Diventava importante risparmiare maggior energia possibile, per prolungare il più possibile la missione della sonda, e della sorella Voyager 2. Per questo motivo, pochi minuti dopo quello scatto, le camere della sonda sarebbero state spente e avrebbe rappresentato l’ultimo sguardo alla Terra, e al Sistema Solare, di una sonda che tutt’ora continua il suo viaggio verso lo spazio interstellare, rilevando importanti dati sull’ambiente che si trova ad attraversare.
La disattivazione di strumenti per il risparmio energetico dei due veicoli spaziali è stato un processo graduale e continuo, si rinunciava via via a quegli strumenti che diventavano meno importanti a favore di quelli che potevano ancora dare un contributo scientifico rilevante, e ha garantito alle sonde una longevità tale da permettergli tutt’ora, che si trovano entrambe al di fuori dalla eliosfera, di inviare dati preziosi.
L’idea di questo scatto, e anche il merito di averlo portato alla notorietà, fu del noto astrofisico, scrittore di fantascienza e divulgatore Carl Sagan. Fu lui che propose di far girare la Voyager 1, come ultimo saluto, e di farle riprendere la Terra e i pianeti del Sistema Solare in una serie di immagini chiamata “Solar System Family Portrait” (ritratto di famiglia del Sistema Solare).
60 immagini che mostrano sei pianeti del nostro sistema: Venere, Terra, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Mercurio era troppo vicino al Sole, mentre Marte è stato “oscurato” da uno dei raggi riflessi del Sole. Plutone, che al tempo non era ancora stato declassato a pianeta nano, era comunque troppo piccolo, lontano e scuro per rientrare nell’immagine.
La Terra, un crescente di Terra visto da quella posizione, occupa quello che è solo un pixel di una delle immagini, un solo puntino azzurro pallido.
Nel 2018, Thomas Zurbuchen, amministratore associato della direzione della missione scientifica della NASA, dichiarò: «Il ritratto di famiglia è un simbolo di quello che l’esplorazione della NASA è davvero: il vedere il nostro mondo da una nuova e più ampia prospettiva», rifacendosi proprio alle parole con cui Carl Sagan descrisse quell’immagine.
Al “pale blue dot”, infatti, Sagan dedicò la copertina di un libro e quella che è diventata una famosa, e tutt’ora in questi tempi “social” tra le più condivise, riflessione sull’esplorazione spaziale ma anche sulla “prospettiva”, sul modo di vedere il mondo da lontano, per quello che è e per come questo impatta sulla visione delle nostre vicende “locali”. In questo 30esimo anniversario dell’immagine ci piace riportare la sua riflessione per esteso qui di seguito, e nel video in chiusura.
«Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.
Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.»
Indice dei contenuti
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50 anni di fisica solare e il nuovo Solar Orbiter europeo
Coelum Astronomia di Febbraio 2020
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